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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Mia cara signora con il cuore afflitto lascio la mia terra nativa. Parto per terre lontane da<br />

sola, però mi faccio coraggio. Porga un bacio alla mia cara mamma e fratello e che<br />

preghino per me e che non li dimenticherò mai. Farò di tutto per dare mie notizie. Sto<br />

bene. Si ricordi Carlo [il fratello] che quei due [i figli Emanuele e Raffaele] non sono con<br />

me e che li protegga lui e li assista come fossero suoi. Speriamo di potersi rivedere<br />

presto. La bacia e l’abbraccia la sua aff. ma Wanda».<br />

L’ebreo Renato Pace, di Roma, deportato a Mauthausen il 6 gennaio 1944, per mezzo di<br />

una guardia italiana fece giungere alla famiglia questa lettera, probabilmente datata 13<br />

dicembre 1944:<br />

Carissimi, vi do nuovamente mie notizie, sempre ottime. Siamo tutti nella località della<br />

Germania migliore sotto ogni punto di vista, in prossimità di Vienna. Prima eravamo<br />

vicino a Monaco ma ora ci troviamo qui e stiamo molto bene. Il vitto è ottimo ed<br />

abbondante e il lavoro pochissimo. Anche il trattamento è molto buono. State tranquilli<br />

sul mio conto e speriamo di rivederci presto. Pensate che mangiamo burro, salame e<br />

formaggio. Beviamo tè continuamente.<br />

Mamma stia tranquilla e serena e non se la prenda. Al mio ritorno voglio trovarla<br />

tranquillissima. Non date retta a tante storie che si raccontano perché sono tutte<br />

chiacchiere e nulla più. Quindi calma e pazienza.<br />

Mi auguro che voi stiate bene e non soffriate troppo per quanto dovete passare.<br />

Coraggio e forza d’animo. Intanto io approfitto dell’occasione propizia per cercare di<br />

imparare un po’ il tedesco e presto potrò darmi delle arie in materia.<br />

Non so se potrò scrivervi ancora ma comunque non ve la prendete. Salutissimi al signor<br />

Ernesto e famiglia. Se dovessero chiedergli informazioni sul mio conto, dica pure che<br />

sono suo dipendente come ragioniere ma senza presentare i miei libretti. Scrivo male<br />

perché sono in posizione scomoda. Vi mando il mio portafoglio e la penna a matita<br />

perché qui temo di perderle. State tranquilli e tanti baci a mamma, Mino e Silvia. Saluti<br />

a tutti, Renato.<br />

Renato Pace non tornerà da Mauthausen e, nella semplice frase «Vi mando il mio<br />

portafoglio… » c’è la rivelazione della tragica realtà fino allora nascosta dietro il pietoso<br />

velo della missiva.<br />

Una famiglia di ebrei – padre, madre e figlia – fu deportata da La Spezia al campo di<br />

Fossoli, all’inizio del febbraio 1944, e di qui – il 22 dello stesso mese – partì alla volta di<br />

Auschwitz.<br />

Erano il rappresentante Enrico Revere, torinese, quarantenne, Emilia De Benedetti, di<br />

37 anni, originaria di Cuneo, e l’unica figlia, Adriana, di dieci anni.<br />

La loro ultima lettera è del 2 febbraio 1944, inviata – per motivi di prudenza – ad una<br />

amica della loro famiglia:<br />

Riferite cortesemente che saremo forti, che non cercheremo di drammatizzare la<br />

situazione, nonostante i patimenti sofferti e il buio che ci viene incontro.<br />

«Soluzione finale» in Venezia Giulia<br />

Dalla Risiera di San Sabba, a Fiume, a Gorizia, i nazifascisti mietono centinaia<br />

di vittime tra la popolazione ebraica della Venezia Giulia<br />

Nella persecuzione degli ebrei italiani fra il 1943 e il 1945 un capitolo particolare è<br />

quello di Trieste e della sua provincia. Là, si era infatti installata una amministrazione

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