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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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citarli come testimoni in processi civili – cioè in cause che si protraevano mesi e mesi –<br />

mantenendoli il più a lungo possibile a disposizione del tribunale e strappandoli così alla<br />

deportazione.<br />

Si nascondono gli israeliti addirittura nelle corsie degli ospedali<br />

Lo storico Renzo De Felice cita anche il caso di un medico torinese, il dottor Domenico<br />

Coggiola, che all’ospedale Mauriziano ha istituito una «sezione infettiva» col solo scopo<br />

di ospitare ebrei ricercati (vi è accolto fra gli altri il noto compositore e musicista Leone<br />

Sinigaglia, settantaseienne, che morirà il 16 maggio 1944, ucciso da sincope, mentre i<br />

fascisti stanno per arrestarlo nell’ospedale).<br />

A Milano il dottor Luigi Mario Parravicini, medico ispettore di Niguarda, tiene nascosti<br />

numerosi ebrei nei padiglioni e nelle corsie e, quando è scoperto dalle SS, fa in tempo a<br />

trasferirli tutti in altro rifugio. Ancora a Milano due impiegati dell’anagrafe – Gina Righi<br />

in Garbatini e Antonio Ingeme – procurano agli ebrei alla macchia decine di false carte<br />

di identità: arrestati entrambi il 23 marzo 1944, la Garbatini è deportata a Dachau ma si<br />

salva; l’Ingeme viene internato a Berlino e fucilato. Il 2 novembre 1943, a Genova, la<br />

signora Romana Rossi Serotti, moglie di un funzionario della «Schell», finisce in carcere<br />

per avere messo in guardia gli ebrei che, con un inganno, vengono attirati dalle SS nel<br />

Tempio di Passo Bertra e arrestati.<br />

A scorrere gli elenchi di nomi di coloro che, spontaneamente, senza pensare al rischio<br />

mortale che corrono, per carità cristiana, o impegno politico, o senso di umana<br />

solidarietà, prestano il loro aiuto ai perseguitati, ci si accorge che tutte le categorie<br />

sociali sono partecipi di quest’opera. Con ragione la scrittrice Hannah Arendt,<br />

esaminando il comportamento delle popolazioni europee verso gli ebrei nel periodo<br />

1938-1945, nota come «quello che in Danimarca è il risultato di una profonda sensibilità<br />

politica, di una innata comprensione dei doveri e delle responsabilità di una Nazione che<br />

vuole essere veramente indipendente […], in Italia fu il prodotto della generale,<br />

spontanea umanità di un popolo di antica civiltà».<br />

Giuseppe Mayda<br />

La Brigata ebraica<br />

Il 29 settembre 1944 Winston Churchill, nel corso di una delle sue periodiche relazioni ai<br />

Comuni sull’andamento della guerra, annuncia che è stata decisa la formazione di una<br />

unità da combattimento composta esclusivamente da ebrei. «So benissimo», dice<br />

Churchill, «che c’è un gran numero di ebrei nelle nostre forze armate e in quelle<br />

americane; ma mi è sembrato opportuno che una unità formata unicamente da soldati<br />

di questo popolo, che così indescrivibili tormenti ha dovuto patire per colpa dei nazisti,<br />

fosse presente come formazione a sé stante fra tutte le forze che si sono riunite per<br />

sconfiggere la Germania». Nasce così ufficialmente la Brigata ebraica (denominazione<br />

ufficiale: «Jewish Brigade Group»). «Meglio tardi che mai», commentano i due uomini<br />

che più si sono battuti per la sua costituzione, Chaim Weizmann a Londra e Moshe<br />

Sharett a Gerusalemme.<br />

Condurre in porto l’impresa non è stato facile, infatti. Ci sono voluti quattro anni per<br />

convincere il governo e il comando supremo inglese. Subito dopo l’ingresso in guerra<br />

dell’Italia, cioè nel giugno del 1940, Weizmann – l’ebreo di maggior prestigio agli occhi<br />

dei britannici – ha scritto una lettera chiedendo la formazione di un’unità ebraica. Non<br />

ha ricevuto alcuna risposta. Nell’agosto ha scritto di nuovo, questa volta personalmente<br />

a Churchill, ed è riuscito a smuovere le acque: in ottobre il governo inglese approva un

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