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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Il maggiore apporto all’opera di aiuto (fornire un nascondiglio, del cibo, dei documenti<br />

falsi) è dato dai sacerdoti cattolici e dalle loro organizzazioni. Soltanto a Roma oltre 150<br />

Case religiose ospitano più di 4000 ebrei: le suore di Nostra Signora di Sion danno asilo<br />

a 187 donne israelite; le suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue ne accolgono altre<br />

136; i padri francescani di San Bartolomeo all’Isola ospitano 400 uomini ebrei. In Italia,<br />

fin dal 1930, svolge la sua attività la «Delasem» (Delegazione Assistenza Emigranti<br />

Ebrei), ente organizzato ed amministrato dall’avvocato Lelio Vittorio Valobra, genovese,<br />

e che ancora nel maggio 1944 riesce ad assistere, nella sola Roma, oltre 2500 israeliti.<br />

La montagna è un rifugio sicuro<br />

Quando i suoi dirigenti vengono braccati e arrestati, l’opera di soccorso è assunta da un<br />

cappuccino francese, padre Benedetto, che si merita in seguito il nome di «padre degli<br />

ebrei». A Milano e Varese, il 12 settembre 1943, quattro sacerdoti – don Ghetti, don<br />

Bigatti, dan Giussani e don Motta – creano un’organizzazione per il soccorso ai<br />

perseguitati politici e razziali che, in breve, raccoglie attorno a sé una quarantina di<br />

collaboratori. Grazie ad essa decine di ebrei possono espatriare in Svizzera attraverso i<br />

valichi di Saltrio, Clivio, Ligurno, Rodero e il fiume Tresa.<br />

L’impresa più clamorosa è il salvataggio di un bambino ebreo di quattro anni, Gabriele<br />

Balcone: il piccolo, fatto ricoverare in ospedale col pretesto di un attacco di appendicite,<br />

è poi «rapito» e condotto, assieme alla madre, in Svizzera dove agisce, a favore dei<br />

perseguitati, il banchiere modenese Angelo Donati che, nel 1942-1943, ha soccorso gli<br />

ebrei rifugiati nella zona di occupazione italiana in Francia.<br />

Il mondo contadino e montanaro rappresenta il principale rifugio per i braccati. Nelle<br />

valli del cuneese si disperde, ad esempio, una larghissima parte degli ebrei fuggiti l’8<br />

settembre dalla Francia; accolti a gruppi di due-tre nelle case private, nelle baite, nelle<br />

canoniche, riescono a sopravvivere fino alla Liberazione. Quelli catturati dalle SS, circa<br />

400, vengono rinchiusi nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo, l’ex<br />

caserma degli alpini. Il giorno della loro partenza per la Slesia, 20 novembre 1943, il<br />

parroco del paese, don Raimondo Viale, allora trentaseienne e che, nella canonica, ha<br />

già nascosto una trentina di israeliti cuneesi, cerca con l’amico Luigi Peano di portare<br />

via dalla colonna dei deportati due sorelline, di cinque e sette anni (figlie dell’ebreo<br />

francese Lohrber, rifugiato in montagna) che si trovano assieme alla madre. Purtroppo<br />

la donna non capisce l’intenzione del sacerdote e di Peano: quando li vede avvicinarsi<br />

alle figlie, lancia un grido che richiama l’attenzione delle SS di scorta e il tentativo<br />

fallisce.<br />

Si sa che dopo la «grande razzia» di Roma del 16 ottobre 1943 il Papa dà disposizioni<br />

perché conventi ed istituti religiosi si aprano ai perseguitati. Ma a «Villa Emma» di<br />

Nonantola, a nove chilometri da Modena, dove sono accolti a cura della «Delasem» una<br />

cinquantina di giovani ebrei, dai 9 ai 21 anni, orfani o superstiti dei massacri nazisti in<br />

Slovenia, non si attende questo invito. Quando il 9 settembre 1943, guidati dai<br />

repubblichini, i tedeschi arrivano a «Villa Emma» per arrestare e deportare i piccoli<br />

ospiti, trovano l’edificio vuoto: come narra la professoressa Ilva Vaccari in un suo<br />

documentato studio (Il tempo di decidere, Modena 1968), i ragazzi ebrei sono già stati<br />

posti in salvo e nascosti in un seminario da monsignor Ottavio Pelati e da don Arrigo<br />

Beccari.<br />

L’opera di soccorso è instancabile e, senza mai arrestarsi, si svolge a tutti i livelli, dal<br />

CUN – che costituisce un apposito comitato per l’assistenza agli ebrei «siano essi<br />

detenuti, chiusi in campo di concentramento o costretti a vita clandestina» – ai privati,<br />

professionisti, magistrati, medici, operai, impiegati. Un collaboratore de La Stampa di<br />

Torino, il giudice Emilio Germano, salva parecchi israeliti ricorrendo al sotterfugio di

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