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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Alle 16 il treno riprende la sua lenta marcia verso il nord e, al momento della partenza,<br />

un funzionario della stazione di Padova, Gino Giocondi, abitante in via Tiziano Aspetti<br />

17, scorge un bimbo gettare dalla grata di un carro un pezzetto di carta igienica. Lo<br />

raccoglie: sopra, a matita, c’è scritto: «Avvertite a “Prima” negozio via Nazionale che la<br />

moglie e la madre stanno insieme con i Mieli e Di Bave. Saluti». Anche l’ingegner<br />

Tedeschi lancia un altro biglietto in cui «avverte la famiglia che alle ore 16 del 19-10 è<br />

arrivato a Padova, e prosegue per l’estero. Benedice la famiglia e prega di fargli avere,<br />

dove sarà, a mezzo qualsiasi, le vostre notizie».<br />

Il convoglio giunge ad Auschwitz la sera di venerdì 22 ottobre e l’indomani a<br />

mezzogiorno tre quarti dei suoi passeggeri sono già stati sterminati. La prima selezione,<br />

compiuta dalle SS col pretesto di creare «gruppi di lavoro», riduce i 1007 ebrei a 250<br />

soltanto; una successiva, operata dal dott. Joseph Mengele – il sinistro medico del<br />

campo di sterminio – fa scendere la cifra a circa 200. Ai 153 maschi e alle 47 femmine<br />

passati alla seconda selezione viene tatuato un numero sull’avambraccio: la<br />

numerazione degli uomini parte dalla metà della serie 158.000, quella delle donne dal<br />

principio della serie 66.000. Gli altri 850 ebrei vengono portati a Birkenau e gassati nei<br />

crematori «K-II» e «K-III».<br />

Dei 153 ebrei romani maschi che hanno superato le due selezioni, 75 vengono mandati<br />

nelle miniere di carbone di Jawiszowice, 42 a rimuovere le macerie del ghetto di<br />

Varsavia e 36 rimangono ad Auschwitz: se ne salveranno undici del primo gruppo, tre<br />

del secondo, nessuno del terzo. Delle 47 ebree, tutte rimaste nel lager di Birkenau, ne<br />

scamperà una sola, Settimia Spizzichino, nata nel 1921 e oggi impiegata delle Poste.<br />

Giuseppe Mayda<br />

Il popolo italiano aiuta gli ebrei<br />

Accadde durante la venticinquesima udienza del processo contro Adolf Eichmann, il<br />

mercoledì 21 maggio 1961. Sul banco dei testimoni della Beth Ha’am, la «Casa del<br />

popolo» di Gerusalemme dove si svolgeva il dibattito, erano sfilati per tutta la mattina i<br />

superstiti dei ghetti di Vilnius e di Łodz e gli scampati delle comunità ebraiche tedesche,<br />

francesi, austriache, ungheresi. Il giudice Halevi aveva sempre chiesto ai testi:<br />

«Ricevevate qualche aiuto?», e le risposte erano state sempre più o meno identiche:<br />

«Tutta la popolazione era contro di noi»; oppure: «Nessuno aveva il coraggio di<br />

muovere un dito»; o ancora: «Aiutarci voleva dire fare la nostra fine». Dalla sua gabbia<br />

di vetro a prova di proiettile Eichmann ascoltava a testa china.<br />

Alle 11 il Procuratore Generale Hausner chiama a testimoniare una professoressa di<br />

matematica, Hulda Campagnano, vedova del dottor Nathan Cassuto, rabbino di Firenze;<br />

suo marito, catturato dalle SS nel novembre 1943, è morto ad Auschwitz.<br />

La professoressa Campagnano narra la propria storia, una vicenda di persecuzioni, di<br />

fughe, di sofferenze ma quando il giudice Halevi le rivolge la consueta domanda<br />

(«Ricevevate qualche aiuto?») la sua risposta è, per la prima volta, diversa da quelle dei<br />

testimoni che l’hanno preceduta: «Si», disse, «tutti gli strati della popolazione italiana ci<br />

hanno aiutato: professionisti, protestanti, cattolici, militanti di ogni partito».<br />

Nel silenzio che si è fatto nell’aula, Hulda Campagnano aggiunge: «Ci sono molte<br />

ragioni per spiegare il comportamento degli italiani: odio tradizionale e profondamente<br />

radicato per i nazisti, l’azione partigiana, il buon cuore e il profondo senso umano. Ogni<br />

ebreo italiano sopravvissuto deve la sua vita agli italiani».<br />

È difficile stabilire con esattezza quanti sono gli ebrei soccorsi in Italia fra il settembre<br />

1943 e il maggio 1945. Se esistono dati per quanto concerne l’opera condotta, ad

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