SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Il «derby» dei carri armati La «radiocronaca» imparziale di un incontro di carri armati, «esseri giganteschi e mostruosi» nel deserto Il carrista inglese Patrick Hore-Ruthven, nato nel 1915 e caduto in combattimento nell’Africa Settentrionale nel dicembre 1942, così descriveva in una lettera alla moglie, Claire, e al figlio, Gary, un attacco tedesco in Cirenaica: la lettera, datata semplicemente «Nel deserto nordafricano, agosto 1941», compare nella raccolta Il volto della guerra – Lettere e testimonianze sulla guerra mondiale 1939-1945, a cura di Hans Walter Bahr, Sugar Editore, Milano 1966. Sono stato svegliato verso le due di notte dal mio sostituto Gilbert Talbot, che mi ha comunicato che Rommel ha intrapreso la sua avanzata. Saltammo in sella e raggiungemmo le nostre posizioni quando la luna era ancora alta nel cielo. Già il viaggio sotto la luna verso la prima linea mi toccò profondamente; tutti i carri armati e i pezzi d’artiglieria si erano messi in movimento come un vecchio treno di frontiera, accompagnati da armi moderne. Verso le cinque del pomeriggio seguente, i miei piccoli carri armati presero contatto con il nemico e nella successiva ora di battaglia era come se si seguisse il derby per radio e se da esso dipendesse una grossa vincita o una grossa perdita di denaro. Se non si fosse trattato di una questione talmente importante, sarebbe stato un vero divertimento. I tedeschi si avvicinarono sempre più finché, con nostra grande soddisfazione, penetrarono come previsto nelle nostre linee di lotta. I nostri carri armati stavano ben nascosti e riuscirono ad arrecare pesanti danni quando Rommel si avvicinò ulteriormente. Era straordinariamente eccitante. Sedevo nel mezzo del reggimento di Sandy Scratchley che difendeva il settore centrale e che era esposto all’urto della prima fase dell’attacco. Diversi carri armati vennero colpiti proprio vicino a me ed esplosero; per fortuna gli equipaggi riuscirono a mettersi in salvo. Ci fu un baccano d’inferno e sembrava quasi impossibile che qualcuno ne uscisse vivo. Quando tutto parve perduto e ogni collegamento radio con il fianco destro era ormai perso, attraverso una nube di polvere rosso sangue si vide apparire il reggimento di Tim Redman. Il modo come questi uomini si inserirono nella mischia costituì uno spettacolo indimenticabile. Da dove li vedevo io, il sole era alle loro spalle; si aprirono la strada attraverso il fumo e si schierarono a destra. A questo punto ci fu la svolta; Rommel cedette e si ritirò a una distanza che non lo esponeva più al nostro tiro, lasciando sul terreno un gran numero di carri armati fuori uso, disseminati in una gran confusione di armi distrutte. Contammo le nostre perdite che si rivelarono molto ridotte. Il gruppo alla mia destra era stato letteralmente sopraffatto ed era scomparso dalla superficie della terra; avevamo perso anche alcuni pezzi d’artiglieria, e lo squadrone dietro cui mi trovavo non esisteva quasi più… Così si concluse questa prima giornata: la situazione era piuttosto malsicura, ma le nostre forze erano più o meno indenni. Il giorno seguente Rommel ritornò all’attacco, questa volta sul nostro fianco sinistro, ma con forze più ridotte rispetto alla sera precedente. […] Ma Rommel si ritirò molto presto; non potemmo inseguirlo perché sapevamo che aveva messo in posizione di tiro un gran numero di batterie proprio dietro i suoi carri armati e che aspettava proprio che ci mettessimo al suo inseguimento. Poi tirò su di noi con una certa intensità per tutta la giornata, ma più con la rabbia del disperato che con quella dell’attaccante, e i nostri pezzi gli risposero non senza successo.

Da quel momento in avanti ci rafforzammo continuamente mentre il nemico subiva gravi perdite; nelle ore di riflusso si potevano osservare resti singolarmente minacciosi; esseri giganteschi e mostruosi si erano arenati e stavano stesi inermi come nel letto di un mare preistorico, abbandonato dalle acque che si ritiravano. Nelle loro agonie mortali queste bestiacce armate non sono certo belle da vedersi. Oggi tutto è divenuto tanto impersonale, paura umana e coraggio umano svolgono ormai solo un ruolo secondario. La potenza delle macchine è calata su di noi, e tutto lo splendore e la miseria che caratterizzano l’umanità vengono sovrastati da questa forza sconosciuta che oggi domina il mondo. L’uomo ha creato degli oggetti davanti ai quali si deve prosternare, poiché non riesce più a sottometterli al suo controllo. Si levano come la Fenice, dalle ceneri dell’era dell’industria. E come la Fenice sono in grado di distruggere il loro creatore. Che Dio ci possa dare la forza di dominare ciò che abbiamo creato perché ci serva e non finisca per dominarci completamente. Lettere dall’Africa «Ormai tutto qui per noi rientra nella normalità; dai bombardamenti al lavoro, dal ghibli al sole, al deserto che non cambia» Il 18 settembre 1941, sulla strada di Bardia, in Libia, moriva – colpito al petto da una scheggia di una bomba di aereo – il sottotenente del Genio Alfredo De Martino. In queste lettere, spedite alla madre e alla sorella, il giovane rivela l’entusiasmo per lo svolgersi favorevole dell’offensiva di Rommel che, nella primavera del 1941, porta le truppe dell’Asse a varcare il confine con l’Egitto. (28 aprile 1941) Credete, miei cari, che siamo in un momento così culminante che tutto ciò che ci circonda e quello che ci riguarda, anche personalmente, assume una tinta affatto particolare, e soprattutto il fattore tempo non ha più valore alcuno. Dall’inizio dell’avanzata le giornate e le notti sono passate l’una dopo l’altra con la rapidità di un attimo. Immagino la felicità in Italia per le belle vittorie ottenute in Jugoslavia e in Grecia; noi stessi ne siamo esultanti perché pensiamo che sono altre tappe bruciate. Ora rimane l’Africa e questa, se pure sarà l’ultima per noi, certo sarà la più dura a spuntarsi. Ora sono qui nei pressi di Tobruk, che è l’ultima piaga da sanare in Libia e purtroppo pare che il pus abbia una virulenza estrema. […] Miei cari, state sempre tranquilli, io sto benone e l’unica speranza mia è di raggiungere presto Bardia per inoltrarmi poi finalmente in terra d’Egitto, dove si combatterà l’ultima grande battaglia di questa lotta gigantesca. (31 maggio 1941) Ma la guerra continua, dura accanita; la lotta per questo ultimo lembo del Mediterraneo orientale è una lotta paragonabile a quella disperata che un moribondo fa con la morte. L’Inghilterra si vede e si sente pugnalare sempre più vicino al cuore e come una serpe tenta di mordere e di sfuggire nel medesimo tempo. In ogni caso è ancora una serpe pericolosa che non ammette da parte dell’avversario la minima tregua. Ma ancora una volta le nostre armi vincono e Creta così è caduta. Anche questo covo inglese sparisce per sempre dal gioco britannico. A proposito di ciò: questa mattina una nave proveniente appunto da Creta (forse con gli ultimi fuggiaschi) e che tentava di rifugiarsi a Tobruk è stata avvistata vicina alla costa da Stukas. In dieci minuti di orologio la nave era scomparsa dopo un’esplosione di una violenza inaudita. È questo

Da quel momento in avanti ci rafforzammo continuamente mentre il nemico subiva<br />

gravi perdite; nelle ore di riflusso si potevano osservare resti singolarmente minacciosi;<br />

esseri giganteschi e mostruosi si erano arenati e stavano stesi inermi come nel letto di<br />

un mare preistorico, abbandonato dalle acque che si ritiravano. Nelle loro agonie mortali<br />

queste bestiacce armate non sono certo belle da vedersi.<br />

Oggi tutto è divenuto tanto impersonale, paura umana e coraggio umano svolgono<br />

ormai solo un ruolo secondario. La potenza delle macchine è calata su di noi, e tutto lo<br />

splendore e la miseria che caratterizzano l’umanità vengono sovrastati da questa forza<br />

sconosciuta che oggi domina il mondo. L’uomo ha creato degli oggetti davanti ai quali si<br />

deve prosternare, poiché non riesce più a sottometterli al suo controllo.<br />

Si levano come la Fenice, dalle ceneri dell’era dell’industria. E come la Fenice sono in<br />

grado di distruggere il loro creatore. Che Dio ci possa dare la forza di dominare ciò che<br />

abbiamo creato perché ci serva e non finisca per dominarci completamente.<br />

Lettere dall’Africa<br />

«Ormai tutto qui per noi rientra nella normalità; dai bombardamenti al lavoro,<br />

dal ghibli al sole, al deserto che non cambia»<br />

Il 18 settembre 1941, sulla strada di Bardia, in Libia, moriva – colpito al petto da una<br />

scheggia di una bomba di aereo – il sottotenente del Genio Alfredo De Martino. In<br />

queste lettere, spedite alla madre e alla sorella, il giovane rivela l’entusiasmo per lo<br />

svolgersi favorevole dell’offensiva di Rommel che, nella primavera del 1941, porta le<br />

truppe dell’Asse a varcare il confine con l’Egitto.<br />

(28 aprile 1941) Credete, miei cari, che siamo in un momento così culminante che tutto<br />

ciò che ci circonda e quello che ci riguarda, anche personalmente, assume una tinta<br />

affatto particolare, e soprattutto il fattore tempo non ha più valore alcuno. Dall’inizio<br />

dell’avanzata le giornate e le notti sono passate l’una dopo l’altra con la rapidità di un<br />

attimo. Immagino la felicità in Italia per le belle vittorie ottenute in Jugoslavia e in<br />

Grecia; noi stessi ne siamo esultanti perché pensiamo che sono altre tappe bruciate.<br />

Ora rimane l’Africa e questa, se pure sarà l’ultima per noi, certo sarà la più dura a<br />

spuntarsi. Ora sono qui nei pressi di Tobruk, che è l’ultima piaga da sanare in Libia e<br />

purtroppo pare che il pus abbia una virulenza estrema. […]<br />

Miei cari, state sempre tranquilli, io sto benone e l’unica speranza mia è di raggiungere<br />

presto Bardia per inoltrarmi poi finalmente in terra d’Egitto, dove si combatterà l’ultima<br />

grande battaglia di questa lotta gigantesca.<br />

(31 maggio 1941) Ma la guerra continua, dura accanita; la lotta per questo ultimo<br />

lembo del Mediterraneo orientale è una lotta paragonabile a quella disperata che un<br />

moribondo fa con la morte. L’Inghilterra si vede e si sente pugnalare sempre più vicino<br />

al cuore e come una serpe tenta di mordere e di sfuggire nel medesimo tempo. In ogni<br />

caso è ancora una serpe pericolosa che non ammette da parte dell’avversario la minima<br />

tregua.<br />

Ma ancora una volta le nostre armi vincono e Creta così è caduta. Anche questo covo<br />

inglese sparisce per sempre dal gioco britannico. A proposito di ciò: questa mattina una<br />

nave proveniente appunto da Creta (forse con gli ultimi fuggiaschi) e che tentava di<br />

rifugiarsi a Tobruk è stata avvistata vicina alla costa da Stukas. In dieci minuti di<br />

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