SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

20.05.2013 Views

La razzia dura tutta la mattina; verso e 11, infatti, i «camion della morte» – chiamati così perché sono dipinti di nero e ricoperti di teloni dello stesso funebre colore – continuano a circolare di strada in strada alla ricerca delle vittime. A mezzogiorno i razziati, 1259 ebrei, sono tutti rinchiusi nell’angusto Collegio Militare a via della Lungara, fra il Tevere e i piedi del Ganicolo, dove si trovano detenuti soltanto pochi soldati. Le SS separano gli ebrei, da una parte gli uomini e dall’altra le donne e i bambini; poi li spingono nei locali vuoti dell’edificio (aule, palestre, corridoi) dopo avere sparso un po’ di paglia in terra e avere sbarrato le finestre con assi inchiodate: «Fra un gruppo e l’altro con burbanzoso cipiglio di ispettori ed aria soddisfatta da giorno di sagra, furono visti circolare anche alcuni fascisti repubblichini». Spogliati e depredati di tutto «La vita nella caserma era atroce», narra ancora Arminio Wachsberger. «Si dormiva tutti per terra. C’erano tra noi dei bambini e anche de malati. Le SS battevano e gridavano Un sottufficiale dell’esercito italiano, arrestato per non avere voluto aderire alla repubblica di Salò e rinchiuso in quella stessa Scuola Militare, cerca di dare del pane ad un bimbo ebreo ma viene picchiato e allontanato da una SS. Solo nella notte fra sabato e domenica furono rilasciate 252 persone e «nessuno è riuscito a sapere fino a tutt’oggi il perché di tanta generosità da parte tedesca». La mattina di domenica 17, quando gli arrestati non toccano né cibo né acqua da 24 ore, Kappler decide di mandare una squadra di SS accompagnata da un detenuto che funge da interprete, nelle case abbandonate degli ebrei alla ricerca di viveri. Poiché i militi incaricati si occupano, invece, di fare man bassa su quanto di prezioso trovano negli alloggi, i tedeschi sono costretti ad acquistare (naturalmente col denaro rubato agli ebrei) due quintali di pane. Le vittime, infatti, vengono sistematicamente depredate di tutti i loro averi. Wachsberger riferisce che uno dei capi dell’operazione, la SS Dannecker, gli ordina di salire su un tavolo e di tradurre ai mille ebrei prigionieri queste parole: «Voi partirete per un campo di lavoro in Germania. Gli uomini lavoreranno, le donne baderanno ai bambini e si occuperanno delle faccende di casa. Ma ciò che avete portato con voi, il denaro e i gioielli, potrà servire a migliorare la vostra situazione. Comincerete col consegnare all’amministrazione, che si occuperà delle vostre sostanze, tutto il denaro e i vostri preziosi. Se qualche ebreo intendesse invece conservarli nascosti sarà passato per le armi. Mettete dunque nella mano destra i gioielli e nella sinistra il denaro: passerete in fila e mi consegnerete tutto». Di fianco al comandante fu posta una cassa, dove egli deponeva i gioielli e il denaro ma quando vedeva un bel gioiello se lo metteva semplicemente in tasca. Un calvario che dura sei giorni In una riunione nell’ufficio di Kappler, in via Tasso, alla quale partecipano anche il generale Harster, giunto da Verona la sera della razzia, il colonnello Dollmann e la SS Dannecker, è preparato il rapporto ufficiale da inviare a Himmler, Kaltenbrunner, Müller ed Eichmann e, soprattutto, vengono decise le ultime fasi della deportazione, cioè il trasporto degli ebrei per ferrovia. Un convoglio con diciotto carri bestiame viene approntato a Roma-Tiburtina: per motivi precauzionali, la stazione è sgomberata dai viaggiatori e i treni in partenza e in arrivo dirottati a Termini (di queste misure eccezionali appare un cenno indiretto in un comunicato stampa diffuso dai giornali cittadini usciti nelle edicole la mattina di lunedì: «La partenza degli ufficiali italiani per il nord fissata per oggi alle ore 9», diceva, «non può effettuarsi alla stazione Tiburtina. Si parte domani da Termini»).

Gli ebrei vengono condotti dalla Lungara al treno a gruppi, su camion, e stipati in 50-60 ogni vagone, senza viveri e con pochissima acqua. Dopo un’attesa di sei ore, alle 14.05, il tragico convoglio – condotto da un ignaro capotreno, Quirino Mazza – si mette lentamente in moto sull’itinerario Roma-Chiusi-Firenze. Dalla grata di uno dei vagoni il deportato Lionello Alatri, proprietario di un grande magazzino e membro del Consiglio ebraico, getta una busta su cui aveva scritto: «Per amore dell’umanità, chiunque trovi questa lettera la imposti». Dentro c’era un biglietto che diceva: «Partiamo per la Germania io, mia moglie e mio suocero e Annita avvertite nostro viaggiatore Mieli. Date ogni fine mese lire 600 alla mia portiera e lire 250 a Irma cui rimborserete anche gas e luce. Fate leggere la presente alla signora Ermelinda. Ignoro se la merce rimarrà requisita. Se potremo venderla ricordatevi che i prezzi del primo blocco devono essere venduti proporzionatamente alla merce tipo. Se potete fare il cambio alla Banca di Sicilia fatelo chiamando il signor Riccardo. Partiamo con fortezza d’animo: certo la compagnia di mio suocero in quelle condizioni mi sgomenta. Fatevi forza come ce la facciamo noi. Un abbraccio a tutti. Lione». Il viaggio fino ad Auschwitz dura sei giorni, Il convoglio, dopo essere stato preso di mira da aerei alleati poco fuori Roma, fa una breve sosta a Chiusi e giunge a Firenze alle 10.30 del mattino di martedì 19 ottobre e il cavalier Mario Tagliati, capo gestione delle Ferrovie, nota che il treno è scortato da paracadutisti tedeschi, «particolarmente spietati, che non permettevano assolutamente di avvicinarsi al convoglio, le cui portiere erano chiuse senza alcuno spiraglio». Il Tagliati, percorrendo incuriosito il terzo binario, arriva al penultimo carro merci e si sente chiamare per nome. Solleva gli occhi alla grata del vagone e riconosce l’ingegner Arrigo Tedeschi, nato e vissuto a lungo a Ferrara e che dal 1930 si era trasferito a Roma, fratello dell’ingegner Ermanno Tedeschi, alto funzionario delle Ferrovie. Poiché i militi di guardia si sono allontanati un istante, il Tagliati si accosta al carro. L’ingegnere Tedeschi gli fa cenno di voler gettare una lettera ma gli riesce soltanto al momento della partenza del treno, quando le SS sono già balzate sulla loro carrozza. Il messaggio dice: «Ferrara – Martedì 19 ottobre. Prego caldamente avvertire l’ing. Ermanno Tedeschi che è passato di qui in tradotta suo fratello deportato in Germania. Spera di essere lui solo, che avverta i miei cari a Roma». A mezzogiorno, dopo avere attraversato il ponte sul Po, il treno entra nella stazione di Padova e qui deve sostare perché uno dei vagoni appare guasto ed è necessario sostituirlo. Nello stesso tempo dal convoglio si leva un coro agghiacciante di lamenti, di urla, di pianti: sono gli ebrei che, assetati, chiedono acqua disperatamente. Un’infermiera della Croce Rossa, Lucia De Marchi, si presenta ai tedeschi per chiedere spiegazioni e, quando apprende che sul treno si trovano ebrei destinati all’internamento in Germania, insiste per poter distribuire i generi di conforto in possesso della sua organizzazione, I tedeschi si oppongono. Interviene allora un gruppo di militi della polizia ferroviaria italiana. «Ma sono ebrei», spiega un tedesco. «Va bene», ribatte uno dei militi, «però hanno sete». La discussione si anima; alla fine uno dei fascisti, imitato dai suoi colleghi, spiana il mitra contro i tedeschi: «Se non aprite quel treno e non lasciate che quella gente prenda un po’ d’acqua vi ammazziamo». I tedeschi sono costretti a cedere alla richiesta dell’infermiera. «Alle 13 si aprono i vagoni chiusi da ventotto ore!», annoterà nel diario l’infermiera De Marchi. «In ogni vagone stanno ammassate una cinquantina di persone: bambini, donne, vecchi, uomini, giovani e maturi. Mai spettacolo più raccapricciante è offerto ai nostri occhi». Lo strazio dei biglietti lanciati dai carri bestiame

Gli ebrei vengono condotti dalla Lungara al treno a gruppi, su camion, e stipati in 50-60<br />

ogni vagone, senza viveri e con pochissima acqua. Dopo un’attesa di sei ore, alle 14.05,<br />

il tragico convoglio – condotto da un ignaro capotreno, Quirino Mazza – si mette<br />

lentamente in moto sull’itinerario Roma-Chiusi-Firenze. Dalla grata di uno dei vagoni il<br />

deportato Lionello Alatri, proprietario di un grande magazzino e membro del Consiglio<br />

ebraico, getta una busta su cui aveva scritto: «Per amore dell’umanità, chiunque trovi<br />

questa lettera la imposti». Dentro c’era un biglietto che diceva: «Partiamo per la<br />

Germania io, mia moglie e mio suocero e Annita avvertite nostro viaggiatore Mieli. Date<br />

ogni fine mese lire 600 alla mia portiera e lire 250 a Irma cui rimborserete anche gas e<br />

luce. Fate leggere la presente alla signora Ermelinda. Ignoro se la merce rimarrà<br />

requisita. Se potremo venderla ricordatevi che i prezzi del primo blocco devono essere<br />

venduti proporzionatamente alla merce tipo. Se potete fare il cambio alla Banca di Sicilia<br />

fatelo chiamando il signor Riccardo. Partiamo con fortezza d’animo: certo la compagnia<br />

di mio suocero in quelle condizioni mi sgomenta. Fatevi forza come ce la facciamo noi.<br />

Un abbraccio a tutti. Lione».<br />

Il viaggio fino ad Auschwitz dura sei giorni, Il convoglio, dopo essere stato preso di mira<br />

da aerei alleati poco fuori Roma, fa una breve sosta a Chiusi e giunge a Firenze alle<br />

10.30 del mattino di martedì 19 ottobre e il cavalier Mario Tagliati, capo gestione delle<br />

Ferrovie, nota che il treno è scortato da paracadutisti tedeschi, «particolarmente<br />

spietati, che non permettevano assolutamente di avvicinarsi al convoglio, le cui portiere<br />

erano chiuse senza alcuno spiraglio».<br />

Il Tagliati, percorrendo incuriosito il terzo binario, arriva al penultimo carro merci e si<br />

sente chiamare per nome. Solleva gli occhi alla grata del vagone e riconosce l’ingegner<br />

Arrigo Tedeschi, nato e vissuto a lungo a Ferrara e che dal 1930 si era trasferito a<br />

Roma, fratello dell’ingegner Ermanno Tedeschi, alto funzionario delle Ferrovie. Poiché i<br />

militi di guardia si sono allontanati un istante, il Tagliati si accosta al carro. L’ingegnere<br />

Tedeschi gli fa cenno di voler gettare una lettera ma gli riesce soltanto al momento<br />

della partenza del treno, quando le SS sono già balzate sulla loro carrozza. Il messaggio<br />

dice: «Ferrara – Martedì 19 ottobre. Prego caldamente avvertire l’ing. Ermanno<br />

Tedeschi che è passato di qui in tradotta suo fratello deportato in Germania. Spera di<br />

essere lui solo, che avverta i miei cari a Roma».<br />

A mezzogiorno, dopo avere attraversato il ponte sul Po, il treno entra nella stazione di<br />

Padova e qui deve sostare perché uno dei vagoni appare guasto ed è necessario<br />

sostituirlo. Nello stesso tempo dal convoglio si leva un coro agghiacciante di lamenti, di<br />

urla, di pianti: sono gli ebrei che, assetati, chiedono acqua disperatamente.<br />

Un’infermiera della Croce Rossa, Lucia De Marchi, si presenta ai tedeschi per chiedere<br />

spiegazioni e, quando apprende che sul treno si trovano ebrei destinati all’internamento<br />

in Germania, insiste per poter distribuire i generi di conforto in possesso della sua<br />

organizzazione, I tedeschi si oppongono. Interviene allora un gruppo di militi della<br />

polizia ferroviaria italiana. «Ma sono ebrei», spiega un tedesco. «Va bene», ribatte uno<br />

dei militi, «però hanno sete». La discussione si anima; alla fine uno dei fascisti, imitato<br />

dai suoi colleghi, spiana il mitra contro i tedeschi: «Se non aprite quel treno e non<br />

lasciate che quella gente prenda un po’ d’acqua vi ammazziamo». I tedeschi sono<br />

costretti a cedere alla richiesta dell’infermiera. «Alle 13 si aprono i vagoni chiusi da<br />

ventotto ore!», annoterà nel diario l’infermiera De Marchi. «In ogni vagone stanno<br />

ammassate una cinquantina di persone: bambini, donne, vecchi, uomini, giovani e<br />

maturi. Mai spettacolo più raccapricciante è offerto ai nostri occhi».<br />

Lo strazio dei biglietti lanciati dai carri bestiame

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!