SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

anche deportando gli stessi ebrei misti e coniugi di matrimoni misti in precedenza discriminati da Buffarini Guidi e tutto questo senza provocare la minima incrinatura nei rapporti italo-tedeschi. Ciò significa che l’adesione di Salò ai piani nazisti per la «soluzione finale» in Italia è almeno a livello di governo: non diversamente si può spiegare la visita ufficiale compiuta, fra il giugno e il luglio 1944, dal ministro Buffarini Guidi al campo di concentramento di Fossoli che, dall’inizio alla fine, è diretto e amministrato dalle SS. E non è un caso che il 24 luglio 1944, Giovanni Preziosi – diventato sotto la RSI «Ispettore generale per la Razza» – richiesto dal capo della provincia di Verona di un intervento per far liberare da Fossoli l’ebreo avvocato Jenna, sposato con una ariana, risponda che «non è sua competenza la decisione del rilascio». Tale è la tragedia degli ebrei italiani sotto Salò, vittime innocenti sacrificate prima alle utopie razziste e imperiali di Mussolini, e poi sull’altare di una scellerata «ragione di Stato» che, già nell’ottobre-novembre 1943, faceva scrivere a Il Popolo di Alessandria questa terribile parola d’ordine: «È l’ebreo che si deve eliminare». Proprio da Alessandria, una Comunità comprendente anche Acqui ed Asti, vengono deportati 31 ebrei e uno solo potrà fare ritorno. Dei sedici ebrei di Casale Monferrato nessuno sopravvive, e così sarà dei ventinove portati via da Saluzzo, dei 45 deportati di Gorizia, dei 58 di Merano, dei 14 di Modena e Reggio Emilia, dei 12 di Napoli, dei 23 di Parma, dei 40 di Udine, dei 24 di Vercelli, dei 30 di Verona. Ad Ancona sono prelevati dieci ebrei e se ne salverà uno. A Bologna i deportati che troveranno la morte sono 84, cioè il 10 per cento dei membri di quella Comunità. Degli 87 ebrei deportati da Ferrara cinque si salveranno ma da Firenze e Siena – dove ne vengono razziati 263 – soltanto nove rientreranno in Italia. Fiume ha 258 deportati e 22 superstiti; Genova e La Spezia, con 244 deportati complessivi, ne vedranno tornare dodici. A Livorno, su 93 deportati, se ne salveranno 15; a Mantova, su 39, uno solo. Degli 896 ebrei deportati di Milano, ne torneranno 50; a Pisa i deportati sono 9 e un solo superstite. Da Roma e da Rodi, complessivamente, vengono deportati 3394 ebrei e si conosce soltanto il numero degli scampati romani: 105. Torino ha 407 ebrei e 31 superstiti; degli 837 ebrei triestini ne torneranno 77; dei veneziani 15. Con ragione Piero Caleffi ha scritto: «Ne fossero o no coscienti, i fascisti erano stati gli anticipatori del campo di sterminio».

Documenti e testimonianze Giovanni Preziosi, il «mangiaebrei» del fascismo «Ho vissuto tutta la mia vita per la grandezza della Patria. Seguii Mussolini perché vidi in lui l’uomo che alla Patria poteva dare grandezza. Dopo il 25 luglio sperai ancora. Oggi che tutto crolla non so fare nulla di meglio che non sopravvivere. Mi segue in questo atto colei che ha condivisa tutte le mie lotte e tutte le mie speranze. Di questo, un giorno, nostro figlio Romano ne andrà orgoglioso». È il messaggio di addio che Giovanni Preziosi scrive a Milano la notte del 26 aprile 1945 nell’alloggio dell’ingegner Ottolini, che l’ha ospitato in corso Venezia 25. Qualche minuto più tardi, Preziosi, assieme alla moglie, si getta dalla finestra della camera – nella quale dorme, ignaro, Romano, che ha 9 anni – sita al quinto piano e che si affaccia sul cortile interno del palazzo. L’indomani mattina, 27 aprile, i due corpi vengono raccolti, senza una immediata identificazione, da un’ambulanza e trasportati all’obitorio. In corso Venezia, a quell’ora, giacciono numerosi cadaveri di gente assassinata o caduta in combattimento. È un cronista del Corriere della Sera a scoprire per primo e a riconoscere il corpo di Preziosi nella camera mortuaria. Scompare così l’alfiere dell’antisemitismo italiano, la Cassandra inascoltata della repubblica di Salò che perfino in Germania si era acquistata una fama attribuita soltanto a Julius Streicher, quella di «Judenfresser», di «mangiatore di ebrei». Preziosi, primogenito di sei figli, nasce a Torella dei Lombardi (Avellino) il 28 ottobre 1881 da Aniello Preziosi, piccolo possidente del luogo, e da Antonia Bellofatto. Cresciuto in una famiglia borghese di formazione cattolica, Preziosi si laurea in filosofia e prende gli ordini religiosi a Napoli: aspira a diventare missionario dell’Opera Bonomelli ma viene ridotto allo stato laicale nel 1911-1912. Già autore di studi sull’emigrazione (1904), dopo un breve soggiorno in America inizia a Roma (1913) la pubblicazione della rivista La vita italiana destinata a durare sino al crollo della repubblica di Salò. Nazionalista durante la Prima Guerra Mondiale (è curioso rilevare che, fra le carte della segreteria particolare del Duce 1943-1945, conservate all’Archivio di Stato in Roma, si trovi anche un lungo giudizio politico-letterario, anonimo ma evidentemente preparato per Mussolini, su un libro antitedesco di Preziosi che risale al 1915, La Germania alla conquista dell’Italia), nel 1917, con Maffeo Pantaleoni, Giovanni Preziosi promuove la costituzione del fascio parlamentare di difesa nazionale. Più tardi aderisce al fascismo e contribuisce ad elaborarne il programma economico. Al principio degli Anni Venti è direttore di due giornali di Napoli, Il Mezzogiorno e Roma. Il 14 dicembre 1921 sposa Valeria Bertarelli, vedova, che ha un figlio, olimpionico di nuoto, morto diciannovenne di tubercolosi: dopo la tragica scomparsa del giovane, i coniugi Preziosi, nel 1936, adottano un bimbo a Roma, cui danno il nome di Romano. È convinto che esista l’«internazionale ebraica» È attorno al 1920 che Preziosi scopre la «congiura ebraica mondiale» ed è di quest’epoca la sua amicizia con Farinacci e, in seguito, l’alleanza fra La vita italiana e il Regime fascista, alleanza che non dura a lungo perché Preziosi, freddo intellettuale fanatico, finirà per rinfacciare a Farinacci le sue compromissioni con la massoneria contro la quale egli ha «lottato infaticabilmente per tutta la vita». Preziosi comincia la sua polemica antisemita su La vita italiana sostenendo la tesi dell’esistenza di una «internazionale ebraica»: il ben noto falso storico I protocoili dei Savi anziani di Sion,

anche deportando gli stessi ebrei misti e coniugi di matrimoni misti in precedenza<br />

discriminati da Buffarini Guidi e tutto questo senza provocare la minima incrinatura nei<br />

rapporti italo-tedeschi. Ciò significa che l’adesione di Salò ai piani nazisti per la<br />

«soluzione finale» in Italia è almeno a livello di governo: non diversamente si può<br />

spiegare la visita ufficiale compiuta, fra il giugno e il luglio 1944, dal ministro Buffarini<br />

Guidi al campo di concentramento di Fossoli che, dall’inizio alla fine, è diretto e<br />

amministrato dalle SS. E non è un caso che il 24 luglio 1944, Giovanni Preziosi –<br />

diventato sotto la RSI «Ispettore generale per la Razza» – richiesto dal capo della<br />

provincia di Verona di un intervento per far liberare da Fossoli l’ebreo avvocato Jenna,<br />

sposato con una ariana, risponda che «non è sua competenza la decisione del rilascio».<br />

Tale è la tragedia degli ebrei italiani sotto Salò, vittime innocenti sacrificate prima alle<br />

utopie razziste e imperiali di Mussolini, e poi sull’altare di una scellerata «ragione di<br />

Stato» che, già nell’ottobre-novembre 1943, faceva scrivere a Il Popolo di Alessandria<br />

questa terribile parola d’ordine: «È l’ebreo che si deve eliminare». Proprio da<br />

Alessandria, una Comunità comprendente anche Acqui ed Asti, vengono deportati 31<br />

ebrei e uno solo potrà fare ritorno. Dei sedici ebrei di Casale Monferrato nessuno<br />

sopravvive, e così sarà dei ventinove portati via da Saluzzo, dei 45 deportati di Gorizia,<br />

dei 58 di Merano, dei 14 di Modena e Reggio Emilia, dei 12 di Napoli, dei 23 di Parma,<br />

dei 40 di Udine, dei 24 di Vercelli, dei 30 di Verona. Ad Ancona sono prelevati dieci ebrei<br />

e se ne salverà uno. A Bologna i deportati che troveranno la morte sono 84, cioè il 10<br />

per cento dei membri di quella Comunità. Degli 87 ebrei deportati da Ferrara cinque si<br />

salveranno ma da Firenze e Siena – dove ne vengono razziati 263 – soltanto nove<br />

rientreranno in Italia. Fiume ha 258 deportati e 22 superstiti; Genova e La Spezia, con<br />

244 deportati complessivi, ne vedranno tornare dodici. A Livorno, su 93 deportati, se ne<br />

salveranno 15; a Mantova, su 39, uno solo. Degli 896 ebrei deportati di Milano, ne<br />

torneranno 50; a Pisa i deportati sono 9 e un solo superstite. Da Roma e da Rodi,<br />

complessivamente, vengono deportati 3394 ebrei e si conosce soltanto il numero degli<br />

scampati romani: 105. Torino ha 407 ebrei e 31 superstiti; degli 837 ebrei triestini ne<br />

torneranno 77; dei veneziani 15. Con ragione Piero Caleffi ha scritto: «Ne fossero o no<br />

coscienti, i fascisti erano stati gli anticipatori del campo di sterminio».

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