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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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«comuni»: l’ora d’aria in cortile, la possibilità di ricevere pacchi, la corrispondenza con le<br />

famiglie, l’assistenza medica e l’acquisto di generi alimentari o di conforto allo spaccio<br />

del carcere.<br />

La persecuzione che, con questi metodi spietati, si abbatte sul piccolo ed inerme gruppo<br />

ebraico italiano è resa ancora più grave dalla confisca dei beni, decisa un mese dopo<br />

l’ordinanza di internamento – col decreto del duce del 4 gennaio 1944.<br />

Salò confisca i beni degli ebrei<br />

«Con tali provvedimenti», annota Guido Fubini, «gli ebrei venivano sottoposti ad una<br />

condizione peggiore di quella dei cittadini di Paesi dichiaratamente in guerra con l’Italia,<br />

protetti dalle norme del diritto internazionale e per i quali la legge italiana di guerra<br />

prevedeva, di regola, non la confisca dei beni ma il solo sequestro dei beni: agli ebrei<br />

[italiani] veniva infatti negato non solo il diritto di avere, ma anche di essere. I<br />

provvedimenti della Repubblica Sociale toglievano loro anche la tutela giuridica del<br />

diritto alla vita».<br />

Le confische – che il decreto rende «immediatamente eseguibili» e per le quali non<br />

ammette opposizioni né in via amministrativa né in via giudiziaria – vengono compiute<br />

con estremo rigore e con una attentissima ricerca e non risparmiano nessuno: in<br />

provincia di Pavia viene confiscato al professor Dino Provenzal, preside di liceo, il<br />

deposito bancario di 11 lire e 50 centesimi; a Vicenza è confiscato, il 23 marzo 1944, il<br />

libretto a risparmio n. 3165, appartenente all’ebreo Giuseppe Korian, con un deposito di<br />

4 lire e 35 centesimi. Giusta l’art. 1, comma c) del decreto 4 gennaio i capi delle<br />

province confiscano anche le pensioni, da quella di 153 lire al mese di cui godeva<br />

Temistocle Jona, di Pavia, aiuto di chimica all’Università, a quella dell’ingegnere capo<br />

del Genio Civile, Emilio Segrè (1363 lire mensili).<br />

Anche nel caso delle confische, alcuni studiosi ritengono che i provvedimenti di Salò<br />

erano determinati soprattutto dalle precarie condizioni finanziarie in cui versava la<br />

repubblica di Mussolini e che il decreto del 4 gennaio 1944 era un espediente per<br />

procurare un poco di ossigeno alle esauste casse fasciste. Tuttavia, se si tiene conto<br />

che fra la fine del 1943 e il 31 dicembre 1944 agli ebrei italiani vengono confiscati beni<br />

per circa due miliardi e 700 milioni (di allora) e altre proprietà valutate sul miliardo ma<br />

che la quota mensile del «contributo di guerra» pretesa dalla Germania è di 10 miliardi<br />

(il ministro fascista Pellegrini-Giampietro la calcola addirittura in 17 miliardi), è evidente<br />

che i quattro-cinque miliardi rapinati agli ebrei, e del resto non tutti in liquidi, erano una<br />

goccia nel mare: in realtà le confische rappresentano la mossa conclusiva per la<br />

deportazione poiché, spogliati dei loro beni anche i più miseri, braccati da ogni polizia,<br />

costretti a vivere alla macchia, gli ebrei italiani non hanno più vie di scampo.<br />

Una responsabilità tremenda per la RSI<br />

Sono queste, a grandi linee, le conseguenze ultime dell’«Ordine di polizia numero 5».<br />

Che la circolare di Buffarini Guidi non fosse, in realtà, destinata, come taluni<br />

sostengono, «ad evitare che gli ebrei italiani potessero essere rastrellati dai tedeschi», è<br />

dimostrato dagli atti del processo contro Bosshammer. Da essi risulta, senza possibilità<br />

di equivoci, come il suo ufficio di Verona fosse in grado di disattendere tutte le<br />

disposizioni ufficiali della RSI in materia razziale: per esempio, non solo arrestando ma

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