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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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puri italiani malati gravi e dei vecchi oltre i 70 anni; 2) il 20 gennaio 1944 il ministro<br />

Buffarini Guidi ordina al proprio capo di Gabinetto, console Pagnozzi, di prendere<br />

contatto col feldmaresciallo Kesselring per chiedergli di dare disposizioni a tutti i<br />

comandi da lui dipendenti «onde consentire agli ebrei di poter permanere nei campi [di<br />

concentramento] italiani».<br />

I documenti ritrovati in questi ultimi anni e le ricerche compiute dal Centro di<br />

Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano e dagli Istituti storici della<br />

Resistenza di Milano, Torino, Firenze e Modena permettono di rivedere, almeno<br />

parzialmente, talune di queste affermazioni e conclusioni. Premesso che Mussolini,<br />

come sappiamo, non ignorava il pericolo mortale cui andavano incontro gli ebrei una<br />

volta internati, un documento fascista contraddice la tesi del presunto «moderatismo»<br />

dei dirigenti di Salò. Si tratta di una circolare «riservata e urgente» della questura di<br />

Firenze, che, in data 14 dicembre 1943, a firma Manna, comunica ai dipendenti<br />

commissariati di pubblica sicurezza i provvedimenti da adottare nei confronti degli ebrei<br />

«giusta ordini superiori» – specificava – e «di intesa col competente Comando della<br />

Polizia tedesca».<br />

Il ministero dell’Interno della RSI, quindi, concerta l’internamento degli israeliti italiani<br />

d’accordo con le SS – l’organismo che, in maniera specifica, svolge compiti di<br />

persecuzione razziale – ma, curiosamente, volendo ottenere che questi ebrei possano<br />

rimanere nei campi italiani evitandone così lo sterminio, non si rivolge più alle SS ma<br />

all’uomo sbagliato, cioè al comandante tedesco del teatro di guerra mediterraneo, il<br />

quale – in fatto di deportazioni di ebrei – è poco probabile possa dare ordini ad<br />

Eichmann che, come dirà la sentenza di Gerusalemme, «è il superiore di se stesso».<br />

Che poi la circolare di Buffarini Guidi rimanga lettera morta, lo conferma un altro<br />

documento relativo alla deportazione da Venezia, nell’aprile 1944, degli ebrei vecchi<br />

oltre i 70 anni e dei malati gravi ricoverati alla «Casa di riposo israelitica». Su una<br />

ventina di nomi che abbiamo scelto a caso fra i deportati alla morte, se ne trovano<br />

tredici rientranti nelle condizioni che avrebbero invece dovuto salvarli: tre donne di 70<br />

anni, 81 e 83 anni dieci uomini fra i 72 e gli 81 anni.<br />

La caccia agli ebrei<br />

Un caso emblematico è quello di Mantova che è, probabilmente, la prima città dove<br />

viene applicato immediatamente l’«Ordine di polizia numero 5». Già alle ore 14 del 1°<br />

dicembre, infatti, la polizia italiana circonda l’edificio della Comunità israelitica di via<br />

Gilberto Govi 11 che comprendeva la Sinagoga, il ricovero per persone anziane e l’asilo<br />

dei bimbi. Tutti gli ingressi sono bloccati. Il segretario della Comunità, Davide Tedeschi,<br />

convocato in questura, viene a sapere che si deve istituire a Mantova un campo di<br />

concentramento per ebrei: a questo scopo è stata scelta dalle autorità fasciste la Pia<br />

Casa di Ricovero israelitica che prenderà il nome di «Campo provinciale di<br />

concentramento ebraico».<br />

Il segretario è munito di un lasciapassare valido fino alle ore 19 e gli si dice che, in<br />

seguito, l’amministrazione del campo verrà affidata ad un commissario prefettizio (cosa<br />

che, in effetti, avvenne). In pochi giorni affluiscono alla Pia Casa di Ricovero più di un<br />

centinaio di ebrei rastrellati nella zona: a metà dicembre gli israeliti concentrati sono<br />

121 di cui 47 uomini, 64 donne e 10 bimbi, compreso il dottor Silvio Mortara, primo<br />

presidente della Corte d’Appello di Milano (polizia e carabinieri, in quelle settimane,<br />

sono efficientissimi. Il 29 dicembre 1943 il ministero dell’Interno annuncia per lettera al

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