SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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minaccia le comunicazioni delle loro truppe. Il sette l’operazione è già conclusa e il Quartier Generale ne dà l’annuncio trionfalmente. Il colonnello Kaspar Völcker ha rioccupato Fiume esautorando il generale che comanda la 2ª Armata, che è poi Gastone Gambara: ha nominato prefetto l’italiano Riccardo Gigante ed è ripartito. Gorizia viene occupata dal colonnello Scharenberg, e quindi tutto il resto che sta a cuore a Hitler, cioè Spalato, Zara, Cattaro, le isole del Carnaro. A Trieste, un fascista che ha retto per anni la segreteria dell’Unione lavoratori dell’industria, Idreno Utimperghe, avventuriero toscano pronto a qualsiasi bravata, riapre la federazione e diventa una specie di «padrino» della città, utile ai tedeschi per i più bassi servizi. Resterà padrone finché i suoi protettori non ne avranno abbastanza. Allora nomineranno un loro prefetto, nella persona di Bruno Coceani, vecchio nazionalista, volontario contro l’Austria nel 1915, consigliere nazionale fino al 25 luglio. Uomini di Salò che comandino, i tedeschi non ne vogliono. Accettano solo la ricomparsa dei segretari federali, Mario Cabai a Udine, Attilio Romano a Gorizia, Luigi Bilucaglia a Pola, l’avvocato Ramiro Antonini a Fiume. Li lasciano fare perché non contano nulla. L’operazione è completa il 15 ottobre, quando si annuncia ufficialmente l’istituzione del Supremo Commissariato per la zona d’operazioni del Litorale Adriatico. comprendente le province di Trieste, Gorizia, Udine, l’Istria, il Carnaro, Lubiana e i territori di Susak, Buccari, Conca Nera, Castua e Veglia. I poteri civili finora esercitati dalle forze armate passano a questo Supremo Commissariato, a capo del quale c’è il dottor Friedrich Rainer. Il dottor Rainer, tuttavia, è nativo di Klagenfurt e in quella città ha il suo ufficio di gauleiter della Carinzia, sicché preferisce risiedere a casa sua. A Trieste delega le sue funzioni al Regierungspräsident dottor Wolsegger. Ricordando che il termine Litorale Adriatico era stato coniato per la prima volta dagli austriaci dopo il crollo di Napoleone, Coceani ha un dubbio: «Con l’esumazione del nome, Hitler voleva esumare anche il programma politico dell’Austria?». Subito offrono la loro collaborazione gli industriali triestini, che si recano da Wolsegger in commissione (capitano Augusto Cosulich presidente dell’Unione Industriali, ammiraglio Luigi Rizzo presidente dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico, senatore Giovanni Banelli presidente dell’Arsenale e dottor Mario Marconi direttore degli stabilimenti «Aquila»). Viene reso noto un comunicato in cui Wolsegger «esprime il desiderio che le forze vitali delle singole città si uniscano e collaborino con le autorità tedesche nel comune interesse… ». Le forze vitali si uniscono e collaborano. Si sono messi d’accordo presto. I risultati si vedono: Coceani è nominato appunto prefetto il 22 ottobre, con Cesare Pagnini podestà, e Gustavo Comici e Guido Vosulich vice podestà. Il 30 ottobre tocca a Gorizia, dove il prefetto scelto dai tedeschi è il conte Marino Pace, in novembre a Udine (prefetto Riccardo De Beden), a Fiume (prefetto Alessandro Spalatin, però con un coprefetto croato a fianco, nella persona del dottor Frank Spehar), all’Istria (prefetto Ludovico Artusi, coprefetto lo slavo Bogdan Mogorovic, con sede a Pola). Quanto a Coceani gli si mette accanto un controllore tedesco, un tale dottor Hinteregger. I risultati dell’annessione, nella Venezia Giulia, si toccano con mano. A Trieste già Idreno Utimperghe ha provveduto a ripulire la stampa, cacciando dal «Piccolo» il direttore Silvio Benco. Subito esce un giornale tedesco locale, il «Deutsche Adria Zeitung». In mani tedesche sono la radio, le ferrovie, la polizia, tutto. A Trieste non si fa difficoltà alla nomina di un nuovo federale, quando il brigantesco Utimperghe verrà finalmente cacciato via. Anzi, si lascia che ne siano nominati tre, con qualifica di commissari, nelle persone di Luigi Ruzzier, Italo Sauro figlio di Nazario e Renzo Migliorini. Non hanno potere ma collaborano, aiutano i tedeschi a far sopportare ogni cosa alla città: dalle persecuzioni agli arresti degli ebrei che finiscono gasati nei forni crematori della risiera di San Sabba (l’unico campo di sterminio tedesco fuori del
territorio del Reich e della Polonia), alle stragi di rappresaglia come quella di via Ghega, alle deportazioni, alle prepotenze sui singoli cittadini, agli arresti arbitrari, ai saccheggi, alle violenze d’ogni genere, alle sopraffazioni per impedire manifestazioni nazionali care al popolo, alle spoliazioni di beni e di impianti, alle drastiche misure censorie sulla stampa, al servizio militare obbligatorio nell’esercito tedesco, all’assalto ai beni delle imprese di assicurazione. «Parliamo ci chiaro» «Parliamoci chiaro», scrive il duce agli italiani, dal suo «ritiro» di Gargnano, nuovamente in veste di giornalista Praticamente prigioniero di quella villa Feltrinelli di Gargnano che egli stesso definiva «prigione umida e triste», Mussolini torna a dedicarsi, nel 1943-1944, al giornalismo. Oltre a scrivere quella Storia di un anno che sarebbe stata un enorme successo editoriale, il duce crea una agenzia di stampa, la Corrispondenza repubblicana, che diffonde note ufficiose e anonime. Sono complessivamente novantanove articoli, in parte di pugno di Mussolini, come quello che pubblichiamo, intitolato Parliamoci chiaro e uscito sui giornali della RSI il 28 settembre 1943. La domanda più assillante che oggi si pone ogni italiano è questa: che cosa dobbiamo fare? A questo interrogativo, che sembrerebbe avere molte facili risposte, noi cercheremo di darne una chiara e concreta. Per primo è necessario fare il punto della situazione odierna, cioè prendere come base di partenza l’oggi. È opportuno quindi non ricominciare con la solita frase del perché ci siamo ridotti a mal partito. A questa domanda potrà rispondere lo storico futuro. Inutile ora recriminare. Bisogna uscire con le ossa rotte, magari, ma ancora vivi e capaci di vivere. Gli anglo-americani, dopo avere combattuto contro di noi tre anni con ogni mezzo legale e illegale ed essere stati sull’orlo della sconfitta totale nell’inverno del 1941, nel novembre e nel luglio del 1942 in Egitto, ora sono da due mesi e mezzo installati sul suolo italiano. Da El Alamein comincia a lavorare a favore degli inglesi il tradimento. Troppo forti erano ancora le nostre Forze Armate, poiché l’Asse aveva allora l’iniziativa nel Mediterraneo. Anche la Marina partecipava, allora, ma in parte a denti stretti, per connivenza coi traditori, alle operazioni. Ma a Marsa Matruh non giunse la famosa petroliera, quella petroliera che, dopo numerosi incidenti, rinvii di partenze e contrattempi di ogni genere, veniva silurata da forze nemiche prima di giungere a destinazione. Esaurito così, momentaneamente, il vantaggio che avevamo, il nemico passò decisamente all’attacco. Cominciò allora la grande battaglia africana, che vide ancora una volta i reparti italiani affiancati a quelli germanici. La divisione Folgore si batté con disperato ardore, data la sua origine più fascista che regia. L’Aeronautica si sacrificò in magnifiche azioni contro le soverchianti forze anglo-americane. In Tunisia, il Maresciallo Messe galvanizza per l’ultima volta le truppe, ma sono ancora una volta i giovani fascisti, già eroi di Bir El Gobi, a battersi valorosamente, e le camicie nere a tenere duro sul mare, mentre i generali regi brillarono per la loro scarsa volontà di battersi, quasi che la guerra fosse un fatto che non li riguardasse. Direte voi: ma la guerra non l’avevamo voluta? Perché battersi e morire, direte voi? Ma la guerra ormai c’era e lo stesso re l’aveva dichiarata. Nel giugno del 1940, quando si
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stampa, al servizio militare obbligatorio nell’esercito tedesco, all’assalto ai beni delle<br />
imprese di assicurazione.<br />
«Parliamo ci chiaro»<br />
«Parliamoci chiaro», scrive il duce agli italiani, dal suo «ritiro» di Gargnano,<br />
nuovamente in veste di giornalista<br />
Praticamente prigioniero di quella villa Feltrinelli di Gargnano che egli stesso definiva<br />
«prigione umida e triste», Mussolini torna a dedicarsi, nel 1943-1944, al giornalismo.<br />
Oltre a scrivere quella Storia di un anno che sarebbe stata un enorme successo<br />
editoriale, il duce crea una agenzia di stampa, la Corrispondenza repubblicana, che<br />
diffonde note ufficiose e anonime. Sono complessivamente novantanove articoli, in<br />
parte di pugno di Mussolini, come quello che pubblichiamo, intitolato Parliamoci chiaro e<br />
uscito sui giornali della RSI il 28 settembre 1943.<br />
La domanda più assillante che oggi si pone ogni italiano è questa: che cosa dobbiamo<br />
fare? A questo interrogativo, che sembrerebbe avere molte facili risposte, noi<br />
cercheremo di darne una chiara e concreta.<br />
Per primo è necessario fare il punto della situazione odierna, cioè prendere come base<br />
di partenza l’oggi. È opportuno quindi non ricominciare con la solita frase del perché ci<br />
siamo ridotti a mal partito. A questa domanda potrà rispondere lo storico futuro.<br />
Inutile ora recriminare. Bisogna uscire con le ossa rotte, magari, ma ancora vivi e capaci<br />
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Gli anglo-americani, dopo avere combattuto contro di noi tre anni con ogni mezzo legale<br />
e illegale ed essere stati sull’orlo della sconfitta totale nell’inverno del 1941, nel<br />
novembre e nel luglio del 1942 in Egitto, ora sono da due mesi e mezzo installati sul<br />
suolo italiano.<br />
Da El Alamein comincia a lavorare a favore degli inglesi il tradimento. Troppo forti erano<br />
ancora le nostre Forze Armate, poiché l’Asse aveva allora l’iniziativa nel Mediterraneo.<br />
Anche la Marina partecipava, allora, ma in parte a denti stretti, per connivenza coi<br />
traditori, alle operazioni. Ma a Marsa Matruh non giunse la famosa petroliera, quella<br />
petroliera che, dopo numerosi incidenti, rinvii di partenze e contrattempi di ogni genere,<br />
veniva silurata da forze nemiche prima di giungere a destinazione.<br />
Esaurito così, momentaneamente, il vantaggio che avevamo, il nemico passò<br />
decisamente all’attacco. Cominciò allora la grande battaglia africana, che vide ancora<br />
una volta i reparti italiani affiancati a quelli germanici. La divisione Folgore si batté con<br />
disperato ardore, data la sua origine più fascista che regia. L’Aeronautica si sacrificò in<br />
magnifiche azioni contro le soverchianti forze anglo-americane.<br />
In Tunisia, il Maresciallo Messe galvanizza per l’ultima volta le truppe, ma sono ancora<br />
una volta i giovani fascisti, già eroi di Bir El Gobi, a battersi valorosamente, e le camicie<br />
nere a tenere duro sul mare, mentre i generali regi brillarono per la loro scarsa volontà<br />
di battersi, quasi che la guerra fosse un fatto che non li riguardasse.<br />
Direte voi: ma la guerra non l’avevamo voluta? Perché battersi e morire, direte voi? Ma<br />
la guerra ormai c’era e lo stesso re l’aveva dichiarata. Nel giugno del 1940, quando si