SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Comandante dello Sciré, dopo un lungo periodo di preparazione tecnica (ha tra l’altro il brevetto di palombaro) ha contribuito a perfezionare in modo decisivo la tecnica dei «mezzi d’assalto». Lo Sciré, insieme con il gemello Gondar, è infatti un sommergibile specialmente attrezzato per il trasporto dei «maiali» fino in prossimità delle basi navali avversarie. Alla specialità, Borghese si è dedicato fin dal 1940 con passione. L’idea di combattere con un pugno di uomini dalle caratteristiche fisiche decisamente superiori, in una specie di «corpo separato» formato da gente dedita ad atti di straordinario ardimento, lo affascina e sollecita il suo permanente desiderio di distinguersi dalla massa. Una divisione ribelle Le imprese di Alessandria e Suda confermano il grado di preparazione e di valore dei «marò» della Decima MAS. La sera dell’8 settembre Borghese ha l’adesione entusiastica dei suoi uomini al proposito di seguire una strada autonoma, quella di una ribellione, un gesto dannunziano in mezzo al crollo e alle miserie del paese. E tale spirito Borghese si sforza di mantenere nei suoi reparti; quello di distinguersi sempre, di essere sempre all’avanguardia. Subito apprezzati dai tedeschi per la loro ribellione, Borghese e i suoi ottengono facilmente armi e il permesso di costituirsi in reparti autonomi. Ma il prezzo da pagare, e pagato lautamente con il progredire della resistenza antitedesca, è quello di assumere il compito assai meno nobile di condurre la repressione contro i gruppi partigiani. Abbandonato il mare, dove la «Decima» ben poco potrebbe realizzare, i reparti di Borghese diventano feroci rastrellatori delle valli del Nord. Borghese e i suoi «si distinguono» soprattutto nella repressione; soltanto piccoli reparti (tra cui il «Barbarigo» sul fronte di Anzio) affrontano gli anglo-americani. Il resto degli oltre ventimila volontari diventa una milizia anti-guerriglia. L’eccesso d’indipendenza di Borghese finisce per urtare i gerarchi di Salò. Questi decidono di convincere Mussolini a porre fine alla «Decima» così com’è concepita. È stabilito che gli uomini arruolati devono essere inviati in Germania, dove seguiranno un periodo di addestramento e quindi saranno incorporati nella divisione «San Marco» agli ordini diretti di Graziani. Si pensa anche di sostituire Borghese con Bedeschi, ma gli uomini de! «comandante» arrestano il nuovo venuto alla stazione di Firenze. Borghese, a sua volta, convocato da Mussolini, è messo agli arresti, ma subito dopo liberato perché la «Decima» minaccia di marciare su Salò. La resa ai partigiani Nell’ultimo scorcio del conflitto Borghese stabilisce rapporti sempre più intensi con esponenti del Sud. Il principe ha conservato solide amicizie, malgrado la diversa scelta di campo, con uomini della marina; inoltre è protetto a Roma dagli ambienti nobiliari, per i quali Junio Valerio continua ad essere soltanto «un discolo», come negli anni della gioventù. Borghese imbastisce un tentativo di far sopravvivere la sua «Decima» al crollo di Salò, unendola alle forze italiane dei Sud a protezione della frontiera orientale, e soprattutto di Trieste. Rifiuta di unirsi ai gerarchi fascisti in fuga il 25 aprile verso il fantomatico «ridotto della Valtellina» e si arrende ad esponenti della Resistenza con i quali è entrato in contatto. Lo stesso giorno saluta gli uomini della «Decima» esortandoli a prepararsi per nuove imprese «a difesa della patria». Borghese spera ancora di essere protagonista, ma gli Alleati sono di diverso avviso, e lo arrestano a Roma. Processato da un tribunale italiano qualche anno dopo, condannato a 12 anni, viene quasi subito liberato. Muore a Cadice, in Spagna, nel 1974, lontano dall’Italia dove è implicato in un tentativo di golpe la cui consistenza finora non è stata chiaramente accertata. Dopo la liberazione

dal carcere ha partecipato alla vita politica come presidente del Movimento Sociale (ma anche qui prendendo le distanze dai dirigenti del partito), poi fondando un suo «Fronte nazionale». Gianfranco Romanello «Sono solo italiano» Nell’Italia del 1943 si può morire per la Resistenza, per Graziani o per Badoglio. Tre giovani lo raccontano Tre lettere di combattenti, caduti nell’Italia che lotta per la Resistenza e quella che si è schierata con Salò. Il tenente di fanteria Maurizio Giglio, romano, dott ore in legge, ferito nella campagna di Grecia, combattente contro i tedeschi a Porta S. Paolo a Roma dopo l’8 settembre, non esita a giustificare ai suoi familiari la sua ferma decisione di agire: Se non ho mantenuto la promessa fattavi di restare tranquillo a Pescasseroli è stato perché ciò non era materialmente possibile in primo luogo, e poi perché sarebbe stato poco bello che io, che ho sempre professato la religione della Patria, mi tirassi indietro al momento dell’azione. No, così non poteva essere e voi lo capite benissimo. Qui non si tratta di spirito eroico, è lo spirito umano che è in piedi ed ogni uomo con esso. Da lungo tempo io cercavo in me stesso la verità, cercavo affannosamente dove e quale fosse il retto cammino; sono frasi banali e luoghi comuni che esprimo, lo sento, ma è quanto al momento passa per questo mio cervello che ancora non ha avuto il modo di formarsi ad una disciplina costante, ma che, pur nel buio, è stato sempre guidato e sorretto da quelle idee e principi morali che sono stati sempre base di qualsiasi tempo e costume… Clinio e gli altri vi racconteranno il nostro viaggio piacevole ed avventuroso. Tale esperimento era necessario per la nostra formazione e per confermare le nostre idee e propositi. Abbiamo in esso appreso più che in tanti anni di scuola, abbiamo in esso visto mille cose più che in un tranquillo decennio non avremmo neppure notato. Arrestato e torturato dalla banda Koch, Maurizio Giglio sarà consegnato ai tedeschi e massacrato il 23 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine. Giampietro Civati della divisione Monterosa, caduto sul fronte dell’Appennino il 5 dicembre 1944, in sei righe dice semplicemente quello che pensa, o meglio quello che sente: Pochissime parole mi spiego le mie idee e il mio sentimento. Sono figlio d’Italia di anni 21. Non sono di Graziani e nemmeno badogliano ma sono italiano: e seguo la via che salverà l’onore d’Italia. Filippo Uecher, pilota ventenne, avendo combattuto dopo l’8 settembre con l’Aeronautica Nazionale Repubblicana ad Anzio, cade alla presa di Roma. Fin dal dicembre 1943 confidava alla madre il suo orgoglio e la sua esultanza per essersi ritrovato il giorno di Natale insieme con i gerarchi del nuovo regime: (31 dicembre 1943) […] ed io il Natale l’ho passato proprio facendo il mio dovere. Al mattino del giorno 23 sono partito in missione per Bassano del Grappa (Quartiere Generale delle Forze Repubblicane), al mezzogiorno del 25 sono stato a pranzo a Bassano con tutti gli ufficiali, e quello che più conta, con il nostro amato Duce, il Mr. Graziani e tutte le alte gerarchie del nuovo Regime. Il mio entusiasmo e la mia

Comandante dello Sciré, dopo un lungo periodo di preparazione tecnica (ha tra l’altro il<br />

brevetto di palombaro) ha contribuito a perfezionare in modo decisivo la tecnica dei<br />

«mezzi d’assalto». Lo Sciré, insieme con il gemello Gondar, è infatti un sommergibile<br />

specialmente attrezzato per il trasporto dei «maiali» fino in prossimità delle basi navali<br />

avversarie. Alla specialità, Borghese si è dedicato fin dal 1940 con passione. L’idea di<br />

combattere con un pugno di uomini dalle caratteristiche fisiche decisamente superiori,<br />

in una specie di «corpo separato» formato da gente dedita ad atti di straordinario<br />

ardimento, lo affascina e sollecita il suo permanente desiderio di distinguersi dalla<br />

massa.<br />

Una divisione ribelle<br />

Le imprese di Alessandria e Suda confermano il grado di preparazione e di valore dei<br />

«marò» della Decima MAS. La sera dell’8 settembre Borghese ha l’adesione entusiastica<br />

dei suoi uomini al proposito di seguire una strada autonoma, quella di una ribellione, un<br />

gesto dannunziano in mezzo al crollo e alle miserie del paese. E tale spirito Borghese si<br />

sforza di mantenere nei suoi reparti; quello di distinguersi sempre, di essere sempre<br />

all’avanguardia. Subito apprezzati dai tedeschi per la loro ribellione, Borghese e i suoi<br />

ottengono facilmente armi e il permesso di costituirsi in reparti autonomi.<br />

Ma il prezzo da pagare, e pagato lautamente con il progredire della resistenza<br />

antitedesca, è quello di assumere il compito assai meno nobile di condurre la<br />

repressione contro i gruppi partigiani. Abbandonato il mare, dove la «Decima» ben poco<br />

potrebbe realizzare, i reparti di Borghese diventano feroci rastrellatori delle valli del<br />

Nord. Borghese e i suoi «si distinguono» soprattutto nella repressione; soltanto piccoli<br />

reparti (tra cui il «Barbarigo» sul fronte di Anzio) affrontano gli anglo-americani. Il resto<br />

degli oltre ventimila volontari diventa una milizia anti-guerriglia.<br />

L’eccesso d’indipendenza di Borghese finisce per urtare i gerarchi di Salò. Questi<br />

decidono di convincere Mussolini a porre fine alla «Decima» così com’è concepita. È<br />

stabilito che gli uomini arruolati devono essere inviati in Germania, dove seguiranno un<br />

periodo di addestramento e quindi saranno incorporati nella divisione «San Marco» agli<br />

ordini diretti di Graziani. Si pensa anche di sostituire Borghese con Bedeschi, ma gli<br />

uomini de! «comandante» arrestano il nuovo venuto alla stazione di Firenze. Borghese,<br />

a sua volta, convocato da Mussolini, è messo agli arresti, ma subito dopo liberato<br />

perché la «Decima» minaccia di marciare su Salò.<br />

La resa ai partigiani<br />

Nell’ultimo scorcio del conflitto Borghese stabilisce rapporti sempre più intensi con<br />

esponenti del Sud. Il principe ha conservato solide amicizie, malgrado la diversa scelta<br />

di campo, con uomini della marina; inoltre è protetto a Roma dagli ambienti nobiliari,<br />

per i quali Junio Valerio continua ad essere soltanto «un discolo», come negli anni della<br />

gioventù. Borghese imbastisce un tentativo di far sopravvivere la sua «Decima» al crollo<br />

di Salò, unendola alle forze italiane dei Sud a protezione della frontiera orientale, e<br />

soprattutto di Trieste. Rifiuta di unirsi ai gerarchi fascisti in fuga il 25 aprile verso il<br />

fantomatico «ridotto della Valtellina» e si arrende ad esponenti della Resistenza con i<br />

quali è entrato in contatto. Lo stesso giorno saluta gli uomini della «Decima»<br />

esortandoli a prepararsi per nuove imprese «a difesa della patria».<br />

Borghese spera ancora di essere protagonista, ma gli Alleati sono di diverso avviso, e lo<br />

arrestano a Roma. Processato da un tribunale italiano qualche anno dopo, condannato<br />

a 12 anni, viene quasi subito liberato.<br />

Muore a Cadice, in Spagna, nel 1974, lontano dall’Italia dove è implicato in un tentativo<br />

di golpe la cui consistenza finora non è stata chiaramente accertata. Dopo la liberazione

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