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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Così l’8 settembre lo vede tra i primi attivissimi organizzatori dei fascisti rifugiati in<br />

Germania; i tedeschi si fidano di lui e Mussolini, liberato al Gran Sasso, non appena<br />

avvia la costituzione della repubblica di Salò affida a Pavolini la segreteria del Partito<br />

Fascista Repubblicano.<br />

Durante Salò Pavolini si distingue per l’attivismo nella lotta a oltranza contro i nemici<br />

interni della repubblica di Mussolini, riesuma lo spirito intransigente e violento «di San<br />

Frediano». Partecipa personalmente ad azioni di repressione contro le forze partigiane.<br />

Durante una di queste nel 1944 a Cuorgné, in Piemonte, è anche ferito. Il crollo di Salò<br />

non lo risparmia. Catturato dai partigiani è fucilato il 28 aprile del 1945 con gli altri<br />

gerarchi a Dongo, e coinvolto così con gli altri massimi esponenti dell’ultimo fascismo<br />

nello scempio di Piazzale Loreto.<br />

Gianfranco Romanello<br />

La lunga notte di Ferrara<br />

Una fredda domenica, il 14 novembre 1943. A Verona, nel salone di Castelvecchio, si<br />

svolge la confusa e rumorosa assemblea costituente del Partito Fascista Repubblicano<br />

che dovrebbe dare, al governo fantoccio di Mussolini, un simulacro di dibattito e di<br />

libertà. A mezzogiorno, mentre Pavolini annuncia l’iscrizione al partito di 251.000<br />

camerati di sicura fede (ma lo interrompono voci eccitate di delegati: «Troppi, troppi!<br />

Vogliamo rimanere in pochi!»), entrano in sala gli squadristi ferraresi Mirandola e Borelli<br />

e annunciano al segretario del partito che il federale Ghisellini, scomparso dalla sera<br />

prima, è stato rinvenuto assassinato a Castel d’Argile di Cento. Immediatamente<br />

Pavolini balza in piedi, imponendo silenzio all’assemblea: «Il Commissario della<br />

federazione di Ferrara che avrebbe dovuto essere qui con noi, il camerata Ghisellini, è<br />

stato ucciso con sei colpi di pistola», dice. «Noi eleviamo a lui il nostro pensiero. Egli<br />

verrà subito vendicato». Dalla sala parte un urlo: «A Ferrara! Tutti a Ferrara!». «Non si<br />

può gridare in presenza del morto; si agisce in modo disciplinato», ribatte Pavolini. «I<br />

lavori continuano. I rappresentanti di Ferrara raggiungano la loro città. Con essi vadano<br />

formazioni della polizia federale di Verona e gli squadristi di Padova» In realtà Igino<br />

Ghisellini è stato ucciso dai suoi camerati. Lo hanno soppresso per contrasti interni di<br />

partito, per rivalità e anche perché il federale è un «moderato», un seguace, cioè, della<br />

politica di Mussolini che, di fronte all’estendersi del movimento partigiano e<br />

all’agitazione delle masse, punta sulla carta della «pacificazione» e della concordia<br />

nazionale tentando di «isolare la ribellione che non sa reprimere».<br />

«Tutta carne da macello»<br />

Così, diciotto ore più tardi, ai piedi del Castello Estense, undici antifascisti ferraresi<br />

vengono abbattuti a raffiche di mitra dalle squadracce del PFR e fra loro vi sono quattro<br />

di quegli ebrei che la Costituente di Verona ha appena dichiarato «stranieri» e<br />

«appartenenti a nazionalità nemica»: «Da allora la notte di Ferrara», dirà Piero<br />

Calamandrei in una celebre orazione, «fu citata ad esempio. Nel linguaggio della stampa<br />

fascista entrò, per indicare quel procedimento esemplare, un nuovo delicato vocabolo:<br />

“ferrarizzare”. Il compito di tutti i buoni fascisti fu, da allora, di “ferrarizzare” l’Italia».<br />

A Ferrara il rastrellamento delle vittime comincia dopo le 20 della domenica, una serata<br />

di pioggia, quando la gente è costretta nelle case dal coprifuoco. Una lista nera di 84<br />

antifascisti sospetti giace da qualche giorno sul tavolo della federazione del PFR dove,<br />

ora, siedono il gerarca Franz Pagliani, l’ispettore regionale Enrico Vezzalini e il console

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