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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Rahn è tra i primi ad incontrare Mussolini a Monaco, dopo la liberazione del duce al<br />

Gran Sasso. Ne ha subito un’impressione di totale decadenza. Si propone, e d’altronde<br />

questo è l’ordine di Hitler, di prendere il futuro capo del governo fascista repubblicano<br />

sotto la sua completa protezione. Malgrado il pessimismo sull’andamento del conflitto e<br />

la diffidenza verso gli italiani, Rahn ha una sua «linea» verso l’Italia che contrasta con la<br />

brutale occupazione militare in più occasioni e che poco o nulla ha da spartire con le<br />

follie sanguinarie degli estremisti di Salò.<br />

Sollecita Kesselring alla resa<br />

Dai rigori dell’occupazione e dagli assalti del fanatismo repubblichino Rahn cerca di<br />

«proteggere» in qualche modo l’ultimo Mussolini, ormai impotente come protagonista,<br />

ma in qualche modo, forse, suo interlocutore ideale. Rahn in sostanza continua a<br />

credere fino alla fine alla mediazione diplomatica, all’uscita dal disastro della Germania e<br />

dell’Italia salvando il salvabile di due regimi condannati dalla storia. Non intenderà tino<br />

all’ultimo la durezza della «resa senza condizioni» chiesta dagli Alleati.<br />

Sarà partecipe, con l’ambiguo generale Wolff, delle trattative con Allen Dulles, il capo<br />

dei servizi segreti americani in Svizzera, e farà opera di persuasione con Kesselring e<br />

altri generali tedeschi che vorrebbero battersi fino all’ultimo, perché le armate tedesche<br />

del Sud si arrendano a fine aprile 1945.<br />

Poco prima di essere arrestato dagli Alleati a Merano e internato in un campo di<br />

concentramento, scrive una lunga lettera all’arcivescovo di Milano, Schuster, che<br />

conclude con queste parole: «Lei sa, Eminenza, che nella misura del possibile ho<br />

sempre elevato la mia voce a favore dell’umanità e della ragione, fino a quando ebbi la<br />

speranza di poter essere ascoltato. Ora sarò costretto ad un lungo silenzio, e dovrò<br />

condividere il destino del mio popolo, che è rimasto vinto. Questo è giusto ed equo, ed<br />

io non mi lamento». Qualcosa di vero c’è in queste parole: Rahn fu certo tra i «padroni»<br />

tedeschi di Salò uno dei meno nefasti.<br />

Dopo la guerra e la prigionia è tornato ai suoi interessi per l’economia e ha diretto una<br />

grande industria a Düsseldorf.<br />

Gianfranco Romanello<br />

Alessandro Pavolini, il letterato feroce<br />

Nato a Firenze nel 1903, Alessandro Pavolini sembra destinato precocemente ad un<br />

avvenire insieme brillante e inquieto. L’ambiente della sua famiglia è il più propizio per<br />

gli studi, Il padre, Paolo Emilio è un illustre filologo, professore di sanscrito<br />

all’università: durante il regime fascista era stato nominato accademico d’Italia.<br />

Alessandro, già a cinque anni, ha la smania del giornalismo: confeziona «giornalini» con<br />

ritagli di quelli veri. In questo segue la passione del fratello maggiore Corrado.<br />

Quando nel 1911 scoppia la guerra di Libia, Corrado e Alessandro (che ha allora otto<br />

anni) «pubblicano» insieme un giornalino sotto la roboante testata La guerra, con tanto<br />

di sommario, in una specie di copertina, e di prezzo: centesimi 10. Il tutto è scritto a<br />

mano e tirato in rudimentale ciclostile. Dura un anno circa.<br />

Più tardi, nel 1915, poco prima dell’intervento italiano nella guerra mondiale, Alessandro<br />

comincia a pubblicare una vera e propria rivista stampata tipograficamente: Il<br />

Buzzegolo di cui figura direttore. È il momento in cui più scatenata è la campagna dei<br />

nazionalisti a favore dell’intervento e il giovanissimo Alessandro, senza dubbio una<br />

specie di ragazzo prodigio, è anch’egli trascinato dall’ondata che porterà al 24 maggio.

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