SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Alla fine, siccome Hitler si è impegnato con il duce, l’esercito regolare si fa e comincia la coscrizione. Pavolini e Ricci sono stati facili profeti: i giovani che si presentano sono pochi (stranamente, più numerosi nella «rossa» Emilia) e di quei pochi, molti tagliano la corda alla prima occasione. Con enorme fatica, usando le minacce (per chi non si presenta c’è addirittura la pena di morte) e le lusinghe (il 2 novembre Mussolini ha varato un provvedimento che equipara nel soldo e nel trattamento il soldato italiano a quello tedesco) vengono raffazzonate quattro divisioni: «Monterosa» (alpini), «Italia» (bersaglieri), «San Marco» (fanteria di marina), «Littorio» (fanteria). I ragazzi vengono spediti in Germania e messi alla mercé dei «Feldwebel» tedeschi. Il sottufficiale tedesco è il più ringhioso istruttore del mondo, lo sanno tutti, a cominciare dalle povere reclute tedesche. Ma con gli italiani i «Feldwebel» diventano addirittura sadici; i ragazzi delle quattro divisioni sono trattati come si usa nelle compagnie di disciplina, mangiano male e sono sottoposti ad un addestramento micidiale. La parola «micidiale» non è esagerata: durante le esercitazioni muoiono 130 giovani italiani, 13 della «Littorio» per eccesso di fatica. Delle unità minori che compaiono nella RSI – Decima Mas, battaglioni vari della GNR, reparti speciali, SS italiane ecc. – non fa conto parlare: si tratta quasi sempre di formazioni raccogliticce, cui sono demandati compiti odiosi di repressione: sono le unità che piacciono ai tedeschi. Vale la pena invece di ricordare la creatura prediletta di Pavolini, le Brigate Nere. Il segretario del partito ha dovuto inghiottire il doppio rospo della formazione dell’esercito agli ordini di Graziani e del conglobamento della ex Milizia, ora GNR, nelle forze armate regolari. Ma non si è arreso: vuole avere anche lui il suo esercito e il 30 giugno 1944 nascono le Brigate Nere. Rappresentano la fase di militarizzazione del partito: infatti tutti gli iscritti al PFR tra i 18 e i 60 anni che non appartengano già ad altre forze armate entrano obbligatoriamente nelle nuove formazioni. La struttura-base è la squadra, tre squadre formano una compagnia, tre compagnie un battaglione, tre battaglioni una brigata. Nell’arruolamento si è di bocca buona: la percentuale di delinquenti comuni tirati fuori dalle galere e rivestiti col maglione nero e il berretto col teschio è molto alta. Comandante di tutte le Brigate Nere – non c’è bisogno di dirlo – è lui, Alessandro Pavolini, capitano di ventura nato con qualche secolo di ritardo. Non una di queste brigate viene impiegata al fronte: la loro unica utilizzazione è nella lotta contro i partigiani, lotta in cui eccellono per ferocia ma, nello stesso tempo, per assoluta incapacità professionale e militare. Un risultato – certo – Pavolini lo raggiunge, in perfetta coerenza con quel «cupio dissolvi» che è dentro di lui come una maledizione: egli riesce, attraverso le Brigate Nere, a fare odiare irrimediabilmente il neofascismo e la Repubblica di Salò. Intanto le divisioni concesse da Hitler a Mussolini si stanno approntando in Germania. Il loro addestramento è quasi completato e il duce decide di andarle a visitare. Come quasi tutte le iniziative di Mussolini, anche questa viene accolta con malcelata insofferenza dal comando tedesco; ma è giocoforza aderire al desiderio dell’amico del Führer. Senonché il destino gioca un tiro a Mussolini. Egli parte il 15 luglio con Graziani, Mazzolini (sottosegretario agli Esteri), Anfuso (ambasciatore a Berlino) e Rahn alla volta della Germania. In territorio tedesco sul convoglio sale anche il capo del Generalstab, lo Stato Maggiore generale, Keitel. Durante il viaggio una serie di allarmi aerei costringerà il treno a lunghe fermate e a noiose deviazioni. Sembra quasi (ma sappiamo che non è così) che l’aviazione alleata cerchi di colpire proprio il convoglio del duce. Keitel dice ad Anfuso: «Meno male che dobbiamo visitare solo quattro divisioni!». Il 16 luglio, Mussolini si presenta alla «Monterosa» schierata a Münzingen; qualcosa del vecchio carisma mussoliniano funziona ancora, perché effettivamente i soldati rompono le righe e gli si affollano festosamente attorno. Il 17 e il 18 luglio, visita alle altre

divisioni. Per il 20 è previsto l’incontro con Hitler; ma il convoglio viene misteriosamente bloccato a qualche chilometro da Rastenburg, cioè dalla tana del lupo. Qualche ora prima, la bomba collocata dal colonnello von Stauffenberg è esplosa nel bunker, Hitler si è salvato per miracolo. Il colloquio fra i due dittatori si riduce ad un monologo di Hitler, dominato (e lo si può capire) dal tema «attentato». Sarà l’ultimo incontro fra i due uomini, la storia ha già cominciato il conto alla rovescia per il Terzo Reich di Hitler e per la repubblica di Mussolini. Fortunatamente, le quattro divisioni tornano in Italia prima che l’apocalisse si abbatta sulla Germania: la «San Marco» è la prima a rientrare, alla fine di luglio: entro agosto rientrano la «Monterosa» e la «Littorio»; ultima, a dicembre, l’«Italia». Varcate le Alpi, un terzo degli effettivi diserta, esattamente come avevano previsto i generali tedeschi e – a onor del vero – anche Pavolini e Ricci. L’impiego massiccio al fronte, cioè sulla Linea Gotica, è assolutamente escluso perché non danno alcun affidamento; si costituisce una risibile «Armata Liguria» al comando di Graziani, e ne fanno parte tre delle quattro divisioni, i cui effettivi vengono sparpagliati sulle Alpi liguri-piemontesi. Svolgono un servizio di guarnigione da «deserto dei Tartari» perché il comando tedesco in Italia, ossia Kesselring (e poi von Vietinghoff) sa benissimo che, essendo già avvenuto lo sbarco alleato nella Francia meridionale, il comando anglo-americano non si impegolerà certamente né in un’altra operazione di sbarco in Liguria né in una difficile quanto inutile offensiva attraverso la catena alpina. Quando la guerra finisce, dei 40.000 uomini delle quattro divisioni, solo due battaglioni di fanteria, due gruppi di artiglieria e una compagnia di bersaglieri potranno dire di avere partecipato alla battaglia sulla Linea Gotica. Mussolini è vissuto abbastanza per assistere al crollo della sua ultima illusione, quella di un vero esercito fascista combattente fianco a fianco con l’alleato tedesco.

Alla fine, siccome Hitler si è impegnato con il duce, l’esercito regolare si fa e comincia la<br />

coscrizione. Pavolini e Ricci sono stati facili profeti: i giovani che si presentano sono<br />

pochi (stranamente, più numerosi nella «rossa» Emilia) e di quei pochi, molti tagliano la<br />

corda alla prima occasione. Con enorme fatica, usando le minacce (per chi non si<br />

presenta c’è addirittura la pena di morte) e le lusinghe (il 2 novembre Mussolini ha<br />

varato un provvedimento che equipara nel soldo e nel trattamento il soldato italiano a<br />

quello tedesco) vengono raffazzonate quattro divisioni: «Monterosa» (alpini), «Italia»<br />

(bersaglieri), «San Marco» (fanteria di marina), «Littorio» (fanteria). I ragazzi vengono<br />

spediti in Germania e messi alla mercé dei «Feldwebel» tedeschi. Il sottufficiale tedesco<br />

è il più ringhioso istruttore del mondo, lo sanno tutti, a cominciare dalle povere reclute<br />

tedesche. Ma con gli italiani i «Feldwebel» diventano addirittura sadici; i ragazzi delle<br />

quattro divisioni sono trattati come si usa nelle compagnie di disciplina, mangiano male<br />

e sono sottoposti ad un addestramento micidiale. La parola «micidiale» non è<br />

esagerata: durante le esercitazioni muoiono 130 giovani italiani, 13 della «Littorio» per<br />

eccesso di fatica.<br />

Delle unità minori che compaiono nella RSI – Decima Mas, battaglioni vari della GNR,<br />

reparti speciali, SS italiane ecc. – non fa conto parlare: si tratta quasi sempre di<br />

formazioni raccogliticce, cui sono demandati compiti odiosi di repressione: sono le unità<br />

che piacciono ai tedeschi. Vale la pena invece di ricordare la creatura prediletta di<br />

Pavolini, le Brigate Nere. Il segretario del partito ha dovuto inghiottire il doppio rospo<br />

della formazione dell’esercito agli ordini di Graziani e del conglobamento della ex Milizia,<br />

ora GNR, nelle forze armate regolari. Ma non si è arreso: vuole avere anche lui il suo<br />

esercito e il 30 giugno 1944 nascono le Brigate Nere.<br />

Rappresentano la fase di militarizzazione del partito: infatti tutti gli iscritti al PFR tra i 18<br />

e i 60 anni che non appartengano già ad altre forze armate entrano obbligatoriamente<br />

nelle nuove formazioni. La struttura-base è la squadra, tre squadre formano una<br />

compagnia, tre compagnie un battaglione, tre battaglioni una brigata. Nell’arruolamento<br />

si è di bocca buona: la percentuale di delinquenti comuni tirati fuori dalle galere e<br />

rivestiti col maglione nero e il berretto col teschio è molto alta. Comandante di tutte le<br />

Brigate Nere – non c’è bisogno di dirlo – è lui, Alessandro Pavolini, capitano di ventura<br />

nato con qualche secolo di ritardo. Non una di queste brigate viene impiegata al fronte:<br />

la loro unica utilizzazione è nella lotta contro i partigiani, lotta in cui eccellono per<br />

ferocia ma, nello stesso tempo, per assoluta incapacità professionale e militare. Un<br />

risultato – certo – Pavolini lo raggiunge, in perfetta coerenza con quel «cupio dissolvi»<br />

che è dentro di lui come una maledizione: egli riesce, attraverso le Brigate Nere, a fare<br />

odiare irrimediabilmente il neofascismo e la Repubblica di Salò.<br />

Intanto le divisioni concesse da Hitler a Mussolini si stanno approntando in Germania. Il<br />

loro addestramento è quasi completato e il duce decide di andarle a visitare. Come<br />

quasi tutte le iniziative di Mussolini, anche questa viene accolta con malcelata<br />

insofferenza dal comando tedesco; ma è giocoforza aderire al desiderio dell’amico del<br />

Führer. Senonché il destino gioca un tiro a Mussolini. Egli parte il 15 luglio con Graziani,<br />

Mazzolini (sottosegretario agli Esteri), Anfuso (ambasciatore a Berlino) e Rahn alla volta<br />

della Germania. In territorio tedesco sul convoglio sale anche il capo del Generalstab, lo<br />

Stato Maggiore generale, Keitel. Durante il viaggio una serie di allarmi aerei costringerà<br />

il treno a lunghe fermate e a noiose deviazioni. Sembra quasi (ma sappiamo che non è<br />

così) che l’aviazione alleata cerchi di colpire proprio il convoglio del duce. Keitel dice ad<br />

Anfuso: «Meno male che dobbiamo visitare solo quattro divisioni!».<br />

Il 16 luglio, Mussolini si presenta alla «Monterosa» schierata a Münzingen; qualcosa del<br />

vecchio carisma mussoliniano funziona ancora, perché effettivamente i soldati rompono<br />

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