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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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nulla cambierà in Italia perché nulla in Italia è serio, e che per questo non c’è motivo di<br />

darsene troppa pena.<br />

L’opposizione clandestina<br />

Ai primi del 1944 Mussolini nomina ministro dell’Economia corporativa un dottore in<br />

chimica, Angelo Tarchi, persona al di fuori delle convulsioni del fascismo, il quale prende<br />

sul serio il suo compito ed elabora una «Premessa fondamentale per la nuova struttura<br />

dell’economia italiana». Patetica fatica: della premessa e della socializzazione si parlerà,<br />

senza il minimo risultato, fino al giorno in cui il sipario calerà definitivamente<br />

sull’effimera repubblica di Salò. L’ostilità maggiore ai progetti socialisteggianti della RSI<br />

è venuta, da un certo momento in poi, oltre che dai tedeschi, dalle masse operaie e<br />

dagli svizzeri. I lavoratori non sono caduti nel tranello demagogico della socializzazione,<br />

e quando vi è stato qualche sintomo di cedimento, sono intervenute le organizzazioni<br />

clandestine – specialmente comuniste – a richiamare bruscamente gli illusi alla realtà.<br />

Gli scioperi del marzo 1944 a Torino, Milano e Genova sono la risposta che l’opposizione<br />

clandestina, attraverso le masse, dà agli ingenui tentativi di Tarchi. Provvedono poi i<br />

tedeschi a chiarire del tutto le idee ai lavoratori italiani arrestando i promotori degli<br />

scioperi e spedendoli in Germania: anzi, Hitler ordina da Rastenburg tout court di<br />

deportare il 20 per cento degli operai italiani. A fatica i responsabili tedeschi della<br />

produzione bellica in Italia riescono a convincere il Führer che un provvedimento del<br />

genere si ritorce contro gli stessi interessi del Terzo Reich. Gli svizzeri – dal canto loro –<br />

sono intervenuti con decisione sia presso le autorità fasciste che quelle tedesche per<br />

ricordare che sostanziosi pacchetti azionari dell’industria italiana sono in mani elvetiche<br />

e che loro di socializzazione non vogliono nemmeno sentir parlare.<br />

Quanto al padronato italiano – come abbiamo detto – si è rapidamente convinto che<br />

della progettata rivoluzione economica non se ne farà nulla. Il padronato pensa a<br />

barcamenarsi, fra i tedeschi che vogliono produzione, i fascisti che rompono le scatole e<br />

i partigiani con i quali – gli industriali lo sanno benissimo – domani si dovranno fare i<br />

conti. Esemplare in questo senso è il comportamento di Vittorio Valletta, capo in testa<br />

della FIAT in assenza (forzata) della famiglia Agnelli. All’ambasciatore tedesco Rahn il<br />

10 febbraio propina una reazione moderatamente positiva alla «socializzazione»; ma la<br />

versione destinata al generale Hans Leyers, responsabile della produzione bellica in<br />

Italia, dev’essere stata ben diversa se il generale scrive al suo ministro, Speer, di essere<br />

contrario alla «socializzazione» perché «con i signori della FIAT desidero stare in pace».<br />

La più grossa battaglia combattuta dalla RSI, comunque, non è quella della<br />

«socializzazione», è quella dell’esercito. È una battaglia personale di Mussolini e,<br />

subordinatamente, di Graziani. L’ostinazione del duce a volere un esercito è<br />

comprensibile: di fronte a Hitler egli è umiliato per lo sfascio delle forze armate italiane<br />

all’indomani dell’armistizio e ne vuole rinverdire l’onore. C’è poi un altro motivo: uno<br />

stato deve avere un esercito, altrimenti è una vuota parvenza di stato. Non si può dare<br />

torto al duce. Il guaio è che i tedeschi sono di parere diametralmente opposto: non<br />

hanno mai avuto grande stima per le forze armate italiane e quella poca che avevano è<br />

stata cancellata dagli eventi di settembre. Il comando tedesco è favorevole ad un’altra<br />

soluzione: la costituzione di reparti armati autonomi l’uno dall’altro (ma ben controllati<br />

dai comandi nazisti) ai quali affidare compiti minori e ingrati, per esempio l’ordine<br />

pubblico e la lotta alle formazioni partigiane che già dall’autunno del 1943 operano sulle<br />

Alpi e sugli Appennini.

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