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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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ufficiali di marina, colpevoli solamente di avere obbedito agli ordini del governo<br />

legittimo, dopo l’8 settembre. Sono gli ammiragli Luigi Mascherpa e Inigo Campioni, per<br />

i quali il partito (cioè il suo feroce segretario) riesuma il «tribunale speciale per la difesa<br />

dello stato» di truce memoria.<br />

Luigi Mascherpa, contrammiraglio, 51 anni, era comandante del presidio di Lero, una<br />

delle isole del Dodecanneso. Era stato uno dei pochi ufficiali generali a prendere sul<br />

serio gli ordini del governo Badoglio e aveva resistito ai tedeschi. Sopraffatto da forze<br />

enormemente superiori, era stato catturato il 16 novembre, portato in Germania e dopo<br />

qualche tempo consegnato ai repubblichini. Inigo Campioni, 66 anni, ammiraglio di<br />

squadra, senatore, aveva comandato la flotta nelle battaglie di Punta Stilo e di Capo<br />

Teulada. All’armistizio, era governatore di Rodi. La sua vicenda è in tutto simile a quella<br />

di Mascherpa: sopraffatto dopo tre giorni di lotta, catturato, portato in Germania e<br />

consegnato ai fascisti. Il processo viene celebrato a Parma ed è una farsa perché ogni<br />

più elementare principio giuridico viene tranquillamente stravolto: il reato imputato<br />

consiste nel fatto che i due ammiragli non hanno commesso un reato, vale a dire<br />

Mascherpa e Campioni – secondo i giudici fascisti – avrebbero dovuto disobbedire agli<br />

ordini dei loro legittimi superiori. Nell’accanimento contro i due alti ufficiali da parte di<br />

Pavolini e dello stesso Mussolini, che ordina al tribunale di Parma di condannarli a<br />

morte, c’è il rigurgito di un vecchio rancore: quello contro la marina, colpevole di avere<br />

sempre snobbato il fascismo. Mascherpa e Campioni vengono fucilati all’alba del 24<br />

marzo 1944. Hanno rifiutato entrambi di inoltrare domanda di grazia; Campioni ha<br />

voluto dare lui l’ordine di fuoco al plotone d’esecuzione.<br />

Socializzazione: lo slogan economico della RSI<br />

Nel caotico congresso di Verona ha fatto capolino, fra chi insultava a gran voce Ciano e<br />

chi urlava: «Mai più i GUF!» oppure «Meno iscritti nel partito!», anche qualche timida<br />

voce che chiedeva di affrontare i problemi spaventosi dell’economia. La parola magica è<br />

«socializzazione»: impossibile stabilire quanti, in quel primo dibattito, hanno parlato di<br />

socializzazione nell’illusione di una prospettiva concreta, e quanti semplicemente l’hanno<br />

fatto per demagogia cinica e cosciente. Scrive Deakin nella sua Storia della repubblica di<br />

Salò: «Era inevitabile che, per conquistarsi la fiducia del popolo, il tema centrale fosse<br />

quello della socializzazione… Si presentava la grande occasione e nei pochi mesi che il<br />

nuovo regime era destinato a vivere, esso combatté intorno a questo tema la sua<br />

maggiore battaglia verbale».<br />

Grosso modo, l’abbozzo di legge per la socializzazione prevede che tutte le imprese con<br />

capitale superiore al milione (di allora) e con più di 50 dipendenti siano «incorporate»:<br />

termine nel quale è legittimo vedere più il principio della nazionalizzazione che quello<br />

della socializzazione. Cosa che allarma i tedeschi perché vi scorgono un preoccupante<br />

ritorno a concezioni socialista o addirittura comunistoidi. Quanto agli imprenditori, il loro<br />

allarme iniziale rientra presto perché il padronato italiano ormai è assolutamente sicuro<br />

che la Germania perderà la guerra e che quindi anche la repubblica di Mussolini – con<br />

tutte le sue illusioni sinistreggianti - sarà travolta. I tedeschi che – al contrario –<br />

«devono» essere convinti della vittoria, si spaventano di un Mussolini che ritorna alle<br />

origini e si dichiarano nettamente contrari al progetto.<br />

I tedeschi, ma non Hitler, il quale al preoccupatissimo ambasciatore in Italia Rudolph<br />

Rahn fa rispondere da Ribbentrop: «Il Führer è del parere che i provvedimenti<br />

economico-sociali adottati dal duce non ci interessano». Forse Hitler è convinto che

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