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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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consigliere «rivoluzionario» di Mussolini. Gramsci, nel 1924, in una lettera da Vienna<br />

aveva scritto, venendo meno una volta tanto al buon gusto e alla correttezza di<br />

linguaggio: «La destra del partito (comunista) si compone di due gruppi: Tasca che<br />

bisogna assimilare e Bombacci che bisogna defecare».<br />

La carta di Verona<br />

Se Mussolini e Bombacci avevano impostato il documento, Pavolini gli aveva dato la<br />

stesura definitiva (con la collaborazione del plenipotenziario tedesco Rahn). Su di esso<br />

si apre il dibattito, in un’atmosfera a dir poco caotica, tanto che poi Mussolini (che non<br />

vi ha partecipato ma ne è stato minutamente informato) commenterà: «È stata una<br />

bolgia vera e propria! Molte chiacchiere confuse, poche idee chiare e precise. Si sono<br />

manifestate le tendenze più strane, comprese quelle comunistoidi. Qualcuno, infatti, ha<br />

chiesto l’abolizione nuda e cruda del diritto di proprietà […]. E nessuno, dico nessuno di<br />

questi viene da me per chiedere di combattere!».<br />

Dal congresso esce la «carta di Verona» in 18 punti. Fra l’altro, vi si trova una singolare<br />

contraddizione: il partito unico «repubblicano» di un sedicente stato «repubblicano» nel<br />

suo congresso rinvia ad un’assemblea costituente di là da venire, a data imprecisata, la<br />

dichiarazione di decadenza della monarchia e la istituzione della repubblica. Tragicomico<br />

è l’impegno a riconoscere il diritto di ogni italiano alla casa, in un paese nelle cui città il<br />

30 per cento delle case è inabitabile perché bombardate. C’è poi la promessa<br />

dell’abolizione del sistema capitalistico «interno», promessa destinata a non suscitare<br />

serie apprensioni nel padronato perché un altro punto assicura la garanzia dello stato<br />

alla proprietà privata. Naturalmente è ignorato il diritto di sciopero. La «carta di<br />

Verona» è insomma un guazzabuglio inestricabile di contraddizioni, un immenso<br />

sciocchezzaio che Pavolini uomo intelligente non poteva prendere sul serio. La verità è<br />

che il congresso è servito non tanto a gettare le basi di uno stato fantomatico, quanto a<br />

suggellare l’egemonia di Pavolini nel partito e ad avviare la grande vendetta contro l’ex<br />

amico e ora odiatissimo nemico: Galeazzo Ciano. Meno di due mesi dopo la vendetta<br />

sarà compiuta.<br />

Ma già durante lo svolgimento del congresso si sono avute le avvisaglie della ventata di<br />

odio che sta per erompere dalla repubblica di Mussolini. Durante la seduta pomeridiana,<br />

Pavolini viene informato che a Ferrara è stato ucciso il federale di quella città, Igino<br />

Ghisellini. Pavolini comunica la notizia ai delegati che urlano: «Tutti a Ferrara!». Pavolini<br />

blocca lo spontaneismo dell’assemblea e incarica uno squadrista noto per fanatismo e<br />

ferocia, l’avvocato Enrico Vezzalini, di organizzare una spedizione punitiva. Vezzalini<br />

parte con un manipolo di fascisti padovani e un plotone di militi veronesi e a Ferrara<br />

compie la vendetta: davanti al castello vengono massacrate 17 persone del tutto<br />

incolpevoli dell’uccisione di Ghisellini: ebrei, professionisti, un magistrato.<br />

Se è vero che la vendetta è un piatto da consumare freddo, Pavolini è un buongustaio.<br />

Come si vedrà al processo di Verona contro Ciano e gli altri gerarchi protagonisti del 25<br />

luglio, Pavolini persegue il suo obiettivo – l’eliminazione fisica dei «traditori» – con<br />

gelida tenacia. La sua pazienza non conosce ostacoli e il suo fanatismo ha la meglio<br />

anche sul dramma umano di Mussolini, costretto ad accettare l’uccisione del marito di<br />

sua figlia, e su tutti gli ostacoli frapposti da coloro – anche fascisti ai quali ripugna di<br />

lasciarsi coinvolgere in un bagno di sangue. A distanza di quattro mesi dall’allucinante<br />

congresso di Verona con le sue parole di morte, Pavolini (e questa volta con la piena<br />

solidarietà del duce) ottiene un altro gesto di pura vendetta: la fucilazione di due alti

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