SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

di stabilire la difesa alla Sirte. Con la carta alla mano spiegai al generale come pressappoco pensavo dovesse svolgersi la condotta delle operazioni in Tripolitania. L’essenziale era di non fare più alcun passo indietro, di intensificare l’impiego dell’arma aerea, di gettare nel settore della Sirte tutte le forze a disposizione e mettere immediatamente in azione sul fronte anche la prima unità tedesca che fosse arrivata. Pensavo che i britannici avrebbero continuato la marcia se non avessero incontrato alcuna resistenza; ma non credevo che il nemico avrebbe proseguito l’attacco davanti ai segni di una nuova, imminente battaglia. Supponevo, invece, che in questo caso gli inglesi avrebbero prima portato avanti le scorte. Nel frattempo sarebbero giunte le mie truppe e io speravo, infine, di essere in grado di affrontare l’attacco avversario. Mentre parlavo, vedevo il volto di Gariboldi rannuvolarsi sempre più. Egli era molto depresso per la sconfitta e mi consigliò prima di tutto di esplorare personalmente il terreno nella Sirte poiché non potevo avere un’idea delle grandi difficoltà di questo teatro di operazioni, dato che ero appena arrivato. Replicai con tutta chiarezza che potevamo dare il nostro aiuto soltanto se veniva effettivamente presa la decisione di resistere sulla Sirte. «Il terreno lo conoscerò ben presto», dissi al generale, poiché volevo esplorarlo in volo nello stesso pomeriggio. La sera intendevo passare di nuovo al comando superiore. In vista della situazione tesa e della lentezza dei capi italiani, ero fermamente deciso – contrariamente all’incarico ricevuto di limitarmi a esplorare – ad assumere io stesso il comando del fronte al più presto possibile, nel peggiore dei casi subito dopo l’arrivo delle prime unità tedesche. Il generale von Rintelen, nostro addetto militare a Roma, con il quale avevo accennato a questa intenzione, si era espresso in senso contrario, sconsigliandomi di attuarla, perché si poteva perdere con ciò onore e reputazione. Nelle ore del pomeriggio un Henschel.111 mi trasportò, insieme con il colonnello Schmundt, sulla terra africana. Vedemmo le fortificazioni campali e i profondi fossi anticarro a oriente di Tripoli, sorvolammo una cintura di sabbia difficilmente attraversabile con veicoli a ruote e a cingoli, che rappresentava un buon ostacolo naturale nel terreno antistante la fortezza di Tripoli. Il volo proseguì al di sopra della regione montuosa fra Tarhuna e Homs, che ci sembrò poco adatta per l’impiego di unità motorizzate in contrapporto alle distese pianeggianti fra Homs e Misurata. La via Balbia si stendeva come un nastro nero attraverso le regioni deserte nelle quali non si scorgevano, a perdita d’occhio, né alberi, né cespugli. Buerat, piccolo forte del deserto, con alcune baracche e un ponticello d’approdo, sfuggì sotto di noi. Finalmente roteammo sulle bianche case di Sirte. A sud-est e a est di questa località vedemmo truppe italiane in posizione. Salvo le paludi salate fra Buerat e Sirte, che si stendevano soltanto per pochi chilometri verso sud, non si scorgevano in alcun punto netti lineamenti del terreno, come, ad esempio, una valle profonda. Il volo di ricognizione confermò il mio piano di fortificare la Sirte e il terreno ai due lati della strada litoranea e di approntare le unità motorizzate per la guerra difensiva di movimento. Quando la sera conferimmo di nuovo con il generale Gariboldi e gli presentammo il risultato dei nostri accertamenti, il generale Roatta era già arrivato con le nuove istruzioni del Duce. Nessun ostacolo fu più frapposto all’esecuzione dei miei piani. Nel corso del giorno successivo il 10° corpo italiano con le divisioni Brescia e Pavia doveva avanzare nella zona intorno a Sirte-Buerat e là sistemarsi a difesa. Contemporaneamente, la divisione Ariete, che allora disponeva soltanto di 60 vecchi carri armati, troppo leggeri e che avevano già servito in Abissinia per la caccia agli indigeni, doveva portarsi nella zona a occidente di Buerat. Altre forze non erano per il momento disponibili. Già il trasporto di queste unità diede molti fastidi al supercomando

perché non era disponibile un numero sufficiente di automezzi e il tratto Tripoli-Buerat era lungo 400 chilometri. Non potevo, dunque, contare sul loro rapido arrivo. All’infuori della debole guarnigione italiana di Sirte, soltanto l’arma aerea tedesca poteva arrestare l’avanzata britannica. Di conseguenza fu chiesto l’appoggio del generale comandante il 10° corpo d’aviazione e del capo dell’arma aerea in Africa, generale Fröhlich. Con le limitate forze di cui disponevano essi fecero di tutto, con azioni diurne e notturne, per essere di aiuto nella difficile situazione. Il successo non mancò. L’armata del generale Wavell si fermò presso El Agheila. Già pochi giorni dopo andai in volo verso Sirte per ispezionare quelle unità italiane. La truppa del presidio poteva appena raggiungere l’effettivo di un reggimento ed era bene comandata dal colonnello Grati e dal maggiore Santamaria. La nostra unità più vicina distava da Sirte 300 chilometri e noi consideravamo la situazione con notevole preoccupazione. In seguito alle mie pressioni, il 14 febbraio la prima divisione italiana iniziò la marcia in direzione di Sirte. Lo stesso giorno arrivarono nel porto di Tripoli i primi contingenti tedeschi: il 3° reparto esplorante e un reparto di carri armati leggeri. […] L’operazione notturna di scarico di questo trasporto di 6000 tonnellate rappresentò un primato per il porto di Tripoli. Nelle prime ore del mattino la truppa ricevette il suo equipaggiamento tropicale. Alle 11 i miei uomini erano già schierati sul piazzale davanti al palazzo del governo. I loro volti raggianti esprimevano un’assoluta fiducia nella vittoria e anche a Tripoli la speranza rinasceva. Dopo una breve sfilata, l’unità, al comando del barone von Wechmar, partì per il fronte presso Sirte e con una marcia di 26 ore raggiunse la prima linea. Già il 16 febbraio le avanguardie tedesche, insieme con la colonna Santamaria, andavano incontro al nemico. Io assunsi il comando al fronte. Il colonnello Schmundt era già tornato da alcuni giorni al Quartier generale del Führer. Il «paese del diavolo» Fronte d’Africa: il clima, le enormi distanze, i pochi insediamenti umani sono caratteristiche importanti di questo settore della guerra Che cos’è il deserto della Tripolitania e della Cirenaica e come si presentò ai tedeschi dell’Afrikakorps, agli italiani dell’Ariete e agli inglesi dell’8ª Armata lo descrive un alto ufficiale britannico: è il generale C.E. Lucas Phillips che combatté sotto Montgomery e che, nel dopoguerra ha pubblicato un saggio, El Alamein (Garzanti, Milano 1964). Il deserto libico, o occidentale, si estende ad ovest del Nilo e a sud del Mediterraneo per circa cinquecentomila chilometri quadrati. Comprende uno dei territori più aridi del globo. Fatta eccezione per alcuni piccoli corsi d’acqua sulle colline della Cirenaica, nessun fiume bagna la sua superficie aspra e arida. Lungo la costa del Mediterraneo può piovere parecchie volte durante la stagione invernale, ma a pochi chilometri dal mare la pioggia cade soltanto due o tre volte in un anno e nel cuore del deserto può accadere che non piova per parecchi anni. Tuttavia, quando piove, il deserto può diventare un pantano nel giro di un’ora, rendendo impossibile il movimento di qualsiasi veicolo a ruote. Questo fenomeno doveva salvare per ben due volte i resti dell’esercito di Rommel in fuga dall’accerchiamento e dalla distruzione da parte delle divisioni di Montgomery.

perché non era disponibile un numero sufficiente di automezzi e il tratto Tripoli-Buerat<br />

era lungo 400 chilometri.<br />

Non potevo, dunque, contare sul loro rapido arrivo. All’infuori della debole guarnigione<br />

italiana di Sirte, soltanto l’arma aerea tedesca poteva arrestare l’avanzata britannica. Di<br />

conseguenza fu chiesto l’appoggio del generale comandante il 10° corpo d’aviazione e<br />

del capo dell’arma aerea in Africa, generale Fröhlich. Con le limitate forze di cui<br />

disponevano essi fecero di tutto, con azioni diurne e notturne, per essere di aiuto nella<br />

difficile situazione. Il successo non mancò. L’armata del generale Wavell si fermò presso<br />

El Agheila.<br />

Già pochi giorni dopo andai in volo verso Sirte per ispezionare quelle unità italiane. La<br />

truppa del presidio poteva appena raggiungere l’effettivo di un reggimento ed era bene<br />

comandata dal colonnello Grati e dal maggiore Santamaria. La nostra unità più vicina<br />

distava da Sirte 300 chilometri e noi consideravamo la situazione con notevole<br />

preoccupazione.<br />

In seguito alle mie pressioni, il 14 febbraio la prima divisione italiana iniziò la marcia in<br />

direzione di Sirte. Lo stesso giorno arrivarono nel porto di Tripoli i primi contingenti<br />

tedeschi: il 3° reparto esplorante e un reparto di carri armati leggeri. […]<br />

L’operazione notturna di scarico di questo trasporto di 6000 tonnellate rappresentò un<br />

primato per il porto di Tripoli. Nelle prime ore del mattino la truppa ricevette il suo<br />

equipaggiamento tropicale. Alle 11 i miei uomini erano già schierati sul piazzale davanti<br />

al palazzo del governo. I loro volti raggianti esprimevano un’assoluta fiducia nella<br />

vittoria e anche a Tripoli la speranza rinasceva. Dopo una breve sfilata, l’unità, al<br />

comando del barone von Wechmar, partì per il fronte presso Sirte e con una marcia di<br />

26 ore raggiunse la prima linea. Già il 16 febbraio le avanguardie tedesche, insieme con<br />

la colonna Santamaria, andavano incontro al nemico. Io assunsi il comando al fronte. Il<br />

colonnello Schmundt era già tornato da alcuni giorni al Quartier generale del Führer.<br />

Il «paese del diavolo»<br />

Fronte d’Africa: il clima, le enormi distanze, i pochi insediamenti umani sono<br />

caratteristiche importanti di questo settore della guerra<br />

Che cos’è il deserto della Tripolitania e della Cirenaica e come si presentò ai tedeschi<br />

dell’Afrikakorps, agli italiani dell’Ariete e agli inglesi dell’8ª Armata lo descrive un alto<br />

ufficiale britannico: è il generale C.E. Lucas Phillips che combatté sotto Montgomery e<br />

che, nel dopoguerra ha pubblicato un saggio, El Alamein (Garzanti, Milano 1964).<br />

Il deserto libico, o occidentale, si estende ad ovest del Nilo e a sud del Mediterraneo per<br />

circa cinquecentomila chilometri quadrati. Comprende uno dei territori più aridi del<br />

globo. Fatta eccezione per alcuni piccoli corsi d’acqua sulle colline della Cirenaica,<br />

nessun fiume bagna la sua superficie aspra e arida. Lungo la costa del Mediterraneo<br />

può piovere parecchie volte durante la stagione invernale, ma a pochi chilometri dal<br />

mare la pioggia cade soltanto due o tre volte in un anno e nel cuore del deserto può<br />

accadere che non piova per parecchi anni. Tuttavia, quando piove, il deserto può<br />

diventare un pantano nel giro di un’ora, rendendo impossibile il movimento di qualsiasi<br />

veicolo a ruote. Questo fenomeno doveva salvare per ben due volte i resti dell’esercito<br />

di Rommel in fuga dall’accerchiamento e dalla distruzione da parte delle divisioni di<br />

Montgomery.

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