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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Curiosamente, Alessandro Pavolini sembra ossessionato dall’idea della bella morte. Si<br />

ricordano di lui due frasi: «Ciò che conta è morire con coraggio» e «Non sono un<br />

vigliacco, voglio morire bene». È mancato all’appuntamento del conflitto 1915-18 per<br />

ovvie ragioni anagrafiche; in Africa Orientale fa l’aviatore con Ciano, ma è il primo a<br />

rendersi conto che quella è una guerra poco gloriosa; quando infine scoppia la vera<br />

guerra, non lo lasciano partire per il fronte: deve fare il manipolatore di bugie come<br />

ministro della Cultura Popolare. Viene poi l’8 settembre e con esso la grande occasione.<br />

Pavolini ha un esasperato senso dell’onore che lo conduce, all’indomani del 25 luglio, in<br />

Germania; non per fuggire, ma a prendere lo slancio per l’ultima avventura. Nel<br />

neofascismo rappresenterà l’estremismo di sinistra, anche qui con singolare<br />

rovesciamento di ruoli rispetto a Farinacci: le origini socialiste di questi dovrebbero<br />

farne un massimalista, le origini alto-borghesi di quello dovrebbero farne un<br />

conservatore. Accade esattamente il contrario.<br />

Le vendette del 25 luglio<br />

Nell’ultima fase della sua vita, Pavolini meriterà veramente l’appellativo di «letterato<br />

feroce». Sembra infatti posseduto da una smania di intransigenza giacobina. È il più<br />

duro nel volere la distruzione del fascismo corrotto di ieri e la punizione di coloro che<br />

ben rappresentandolo hanno provocato la fine del regime: gli uomini della congiura del<br />

25 luglio. Pochi mesi prima della fine, riuscirà ad essere quello che forse<br />

inconfessatamente aveva sempre voluto essere, un capo di bande armate, così come la<br />

sua innata faziosità toscana gli detta: inventa le «brigate nere». Ritorna, ancora una<br />

volta, il leitmotiv ossessionante della morte, nelle macabre insegne e nelle funeree<br />

uniformi delle brigate. È lui, Alessandro Pavolini, fin dal primo momento il motore della<br />

repubblica dei 600 giorni, non solo perché ha addirittura varato un governo provvisorio<br />

in Germania prima dell’arrivo di Mussolini, non solo perché da questi ha avuto il 15<br />

settembre l’investitura massima (segretario del partito), ma anche perché due mesi<br />

dopo ha indetto, presieduto e orchestrato il congresso di Verona.<br />

Il congresso di Verona si apre il 14 novembre 1943 nel salone dei concerti di<br />

Castelvecchio. Le cupe strutture medievali, nelle quali aleggiano i fantasmi dei Della<br />

Scala assassinati, sono degna cornice ad un’assemblea intrisa di odor di morte. È lì,<br />

infatti, che si decide la vendetta contro i traditori del 25 luglio, è da lì che parte la prima<br />

spedizione di cruenta rappresaglia contro gli antifascisti.<br />

Il congresso, preannunciato da Pavolini in un discorso del 28 ottobre, si chiama<br />

«rapporto nazionale». Pare che l’abbozzo del documento da far approvare ai delegati<br />

sia stato gettato giù da Mussolini in persona, coadiuvato da Nicola Bombacci, ex<br />

compagno di lotte socialiste del duce ed ex leader comunista. Anche Bombacci è un<br />

personaggio straordinario di questa tragedia che si recita sulle rovine dell’Italia.<br />

Bombacci – sguardo stralunato, grande barba da profeta, chioma spettinata abiti<br />

consunti, mai una lira in tasca – nel 1926 aveva compiuto l’abiura passando al fascismo;<br />

poi, fino al 1943 aveva vivacchiato ai margini, pubblicando rivistine tollerate, anzi<br />

foraggiate (con parsimonia) dall’OVRA. Su quelle pagine la sua disordinata cultura di<br />

maestro elementare (come Mussolini) aveva potuto sfogarsi in prose abbastanza<br />

farneticanti, che peraltro nessuno leggeva. Dopo l’8 settembre Bombacci riemerge quasi<br />

con prepotenza si affianca «motu proprio» al vecchio compagno di lotta, che è troppo<br />

stanco per respingerlo e forse è intenerito da quell’immagine umana che lo riporta ai<br />

tempi ruggenti della sua giovinezza. E così Bombacci diventa, per diciannove mesi, il

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