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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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mesi del conflitto, da organizzare la resa tedesca in Italia riuscendo a non far trapelare<br />

nulla, nemmeno all’occhiuto suo nemico di Berlino, Kaltenbrunner.<br />

Wolff venderà senza battere ciglio Mussolini e la sua repubblica agli americani. Con<br />

umorismo macabro e forse involontario, in uno degli ultimi incontri col duce, quando già<br />

le trattative segrete con Dulles per la resa sono a buon punto, parla di «heroischer<br />

Untergang», eroico tramonto. Mussolini lo guarda con occhi più sbarrati che mai e non<br />

capisce.<br />

Il terzo della trojka nazista è Rudolph Rahn, dottore in filosofia, «missus dominicus» del<br />

ministro degli Esteri Ribbentrop dovunque ci siano situazioni scabrose. È stato in Siria,<br />

poi in Francia, ora è in Italia con la qualifica di plenipotenziario. All’«Auswärtiges Amt»,<br />

il Ministero degli esteri tedesco, non lo amano. I diplomatici tedeschi – nonostante il<br />

regime – sono ancora degli snob. Chiamano Rahn «der Proletnazi», il nazista proletario,<br />

per le sue modeste origini. Svevo di nascita, in fondo è il meno peggio che potesse<br />

capitare alla sconquassata repubblica mussoliniana. Rahn, al contrario dei suoi colleghi<br />

militari e non, non odia l’Italia. È un uomo che ha qualche scrupolo e agisce con una<br />

certa finezza. Soprattutto non è uno stupido. Anfuso gli attribuisce la tendenza a voler<br />

«pastorizzare» l’Italia, camuffando la mano d’acciaio nel guanto di velluto.<br />

Su una cosa il vertice nazista in Italia è perfettamente d’accordo: il paese va spremuto<br />

fino all’ultima goccia, per tutto quello che può dare in potenziale umano, soprattutto in<br />

materiali e prodotti. Al reclutamento della forza-lavoro ci pensa l’inviato di Fritz Sauckel,<br />

il Generalarbeitsführer Kretschmann che rastrella uomini per l’organizzazione Todt. Alla<br />

rapina in grande stile ci pensa il generale Hans Leyers, che ha precise disposizioni dal<br />

suo capo, Albert Speer, ministro degli Armamenti. È incredibile quanto possa dare un<br />

paese che pure sembra stremato da tre anni di guerra. Partono per la Germania non<br />

solo le 120 tonnellate di oro della Banca d’Italia, non solo le armi fabbricate negli<br />

stabilimenti bresciani, non solo interi impianti industriali smantellati, ma anche prede<br />

inconsuete: per esempio, l’intero Istituto Geografico Militare di Firenze, con le sue<br />

attrezzature e i suoi 200 dipendenti, vagoni di cravatte e di scope di saggina; e persino<br />

8 tonnellate di pipe, 32 di bottoni, 328 di erbe mediche! La RUK (Rüstung und<br />

Kriegsproduktion, armamenti e produzione bellica) ha idee molto elastiche su ciò che<br />

s’intende per materiale bellico.<br />

Il podestà di Gargnan o<br />

Intanto la RSI tenta di darsi una fisionomia, una funzione, una ragion d’essere. Sforzo<br />

disperato; non c’è italiano, fascisti compresi, che non veda la realtà: chi comanda sono i<br />

tedeschi e solo loro. Il risorto fascismo serve – e male – per i bassi compiti. Un giorno<br />

persino Mussolini, in uno dei frequenti momenti di sconforto, si lascia sfuggire questa<br />

frase: «Sono stufo di fare il podestà di Gargnano». Il più penoso di questi conati della<br />

repubblica mussoliniana è il congresso di Verona. Del quale però non si può parlare<br />

senza prima avere parlato dei due personaggi più eminenti dei seicento giorni di Salò:<br />

Farinacci e Pavolini.<br />

Entrambi hanno preceduto il duce in Germania; dopo la caduta del regime, i tedeschi li<br />

hanno sottratti a Badoglio portandoli in Germania con un trimotore Heinkel che per<br />

molti giorni ha fatto la spola tra Roma e Monaco di Baviera. Non è che i tedeschi siano<br />

felici di importare quel genere di personaggi, però pensano che potranno venire buoni,<br />

non si sa mai.

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