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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Capitolo settantunesimo<br />

La Repubblica Sociale Italiana<br />

All’indomani dell’annuncio dell’armistizio fra Italia e Alleati, il comando supremo tedesco<br />

a Berlino (Keitel) e i comandi periferici interessati (Rommel e Kesselring) avevano le<br />

idee chiare su che cosa fare: occupare la penisola, fin dove possibile, stabilire<br />

un’amministrazione rigidamente militare, utilizzare le risorse del paese «traditore» in<br />

funzione esclusiva dell’interesse bellico tedesco.<br />

I generali non pensavano nemmeno lontanamente che fosse auspicabile un revival del<br />

fascismo e del suo capo: sapevano benissimo che, come fenomeno storico, il fascismo<br />

era finito e che Mussolini era un cadavere politico. Ma Hitler mette il bastone fra le<br />

ruote ai suoi generali (non è la prima volta): ordina la liberazione di Mussolini dalla<br />

prigione del Gran Sasso. Il gigantesco capitano delle SS Otto Skorzeny compie<br />

l’impresa, di cui menerà gran vanto anche se non ha presentato alcun rischio. Perché<br />

Hitler ha dato quell’ordine? Non c’è dubbio, è stata una decisione sentimentale, non<br />

politica, quella di correre in aiuto dell’amico che, un tempo, fu suo maestro. Il gesto<br />

però avrà lunghe e complicate conseguenze.<br />

Così, portato sulle onde della radio, il 15 settembre risuscita il pallido fantasma del<br />

duce. Nel primo messaggio rivolto agli italiani (ma letto al microfono da uno speaker)<br />

Mussolini annuncia la rinascita del fascismo, la nomina di Alessandro Pavolini a<br />

segretario del PNF – ribattezzato PRF, Partito Repubblicano Fascista – e lo scioglimento<br />

dei militari dal vincolo del giuramento al re. È il primo, anche se non esplicito, atto di<br />

nascita della effimera repubblica fascista. Ne seguiranno altri e – in tre mesi – la<br />

rachitica creatura cambierà tre nomi: Stato Fascista Repubblicano, Stato Nazionale<br />

Repubblicano d’Italia e – quello definitivo – Repubblica Sociale Italiana. Ma sarà<br />

sempre, sino alla fine, uno stato-fantoccio di cui lo stesso maresciallo Graziani in un<br />

appunto di quei giorni scriverà: «Le autorità politiche tedesche hanno nominato un<br />

governo fascista per puri motivi di interesse politico interno tedesco».<br />

Quando Mussolini rientra in Italia, apprende una novità che i tedeschi, finché è stato in<br />

Germania, gli hanno accuratamente taciuto: Hitler si è fagocitato l’Alto Adige e la zona<br />

di Trieste, che sono divenuti parte integrante del Terzo Reich. Si chiamano ora<br />

«Voralpendland» (il Gauleiter è Franz Hofer) e «Adriatisches Künstenland» (Gauleiter<br />

Friedrich Rainer). È la prima, cocente umiliazione per il duce. Ne dovrà subire molte<br />

altre. La decisione Hitler l’aveva presa quando Mussolini era ancora prigioniero al Gran<br />

Sasso, il 10 settembre. Vani saranno tutti gli sforzi del duce per far ritornare Hitler sulla<br />

sua decisione, compreso il patetico tentativo di mandare a Berlino il figlio Vittorio a<br />

perorare la causa, in novembre.<br />

Quando si tratta di scegliere la sede per il resuscitato capo del fascismo (e di Roma,<br />

ovviamente, non si parla nemmeno) Mussolini indica timidamente ai padroni tedeschi la<br />

sua preferenza: Merano. La risposta è un brutale no. A Berlino hanno pensato a tutto,<br />

anche a dove collocare Mussolini e il suo evanescente governo: sulle rive del lago di<br />

Garda, proprio la sistemazione meno gradita al duce. Viene requisita la villa Feltrinelli, a<br />

Gargnano, e adibita a dimora di Mussolini e della sua famiglia e a sede di lavoro; solo in<br />

seguito l’ufficio del duce verrà separato dall’abitazione. Un massiccio ufficiale della<br />

Wehrmacht, il colonnello Jandl, ha l’incarico di proteggere il duce; un suo subordinato, il<br />

tenente Dyckerdorff, prende alloggio addirittura nella villa. Ci vuole poco a capire che

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