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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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possibilità di abolirle ad un certo momento per sacrificare tutto ad un’unica esigenza<br />

rivoluzionaria. È questo il senso morale, non tecnico, della mobilitazione. Una gioventù<br />

che non si conserva «disponibile» che si perde completamente nelle varie tecniche, è<br />

compromessa. Ad un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di trasferire la<br />

loro esperienza sul terreno dell’utilità comune, ciascuno deve saper prendere il suo<br />

posto in una organizzazione di combattimento.<br />

Questo vale soprattutto per l’Italia. Gli italiani sono un popolo fiacco, profondamente<br />

corrotto dalla sua storia recente, sempre sul punto di cedere ad una viltà o ad una<br />

debolezza. Ma essi continuano ad esprimere minoranze rivoluzionarie di prim’ordine:<br />

filosofi e operai che sono all’avanguardia d’Europa. Oggi in nessuna nazione civile il<br />

distacco tra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande; tocca a noi di<br />

colmare questo distacco e di dichiarare lo stato di emergenza.<br />

Musicisti e scrittori, dobbiamo rinunciare ai nostri privilegi per contribuire alla liberazione<br />

di tutti. Contrariamente a quanto afferma una frase celebre, le rivoluzioni riescono<br />

quando le preparano i poeti e i pittori, purché i poeti sappiano quale deve essere la loro<br />

parte. Vent’anni fa la confusione dominante poteva far prendere sul serio l’impresa di<br />

Fiume. Oggi sono riaperte agli italiani tutte le possibilità del Risorgimento: nessun gesto<br />

è inutile purché non sia fine a se stesso. Quanto a me, ti assicuro che l’idea di andare a<br />

fare il partigiano in questa stagione mi diverte pochissimo; non ho mai apprezzato come<br />

ora i pregi della vita civile e ho coscienza di essere un ottimo traduttore e un buon<br />

diplomatico, ma secondo ogni probabilità, un mediocre partigiano. Tuttavia è l’unica<br />

possibilità aperta e l’accolgo.<br />

Nelle retrovie dei «ribelli»<br />

Uno stralcio da un saggio dell’ex comandante partigiano Giorgio Bocca sulla Resistenza<br />

Il ribellismo del 1943, quando giovani, anziani, renitenti alla leva fascista, ex soldati del<br />

Regio Esercito e antifascisti di antica data abbandonano città e lavoro e vanno in<br />

montagna, è il fenomeno di popolo di cui Giorgio Bocca, ch’è stato comandante<br />

partigiano giellista nel cuneese, parla con cognizione di causa, e con profonda<br />

partecipazione, in un brano della sua Storia dell’Italia partigiana, Laterza, Bari 1966.<br />

Ad ottobre i ribelli della montagna conoscono la solitudine e il silenzio. La storia del<br />

grande mondo, fuori delle valli, non si è fermata, ma la sua eco è più debole. Eppure il<br />

paesaggio della guerra sta cambiando: nell’Italia occupata rinasce il fascismo, in quella<br />

liberata c’è un governo del re, in entrambe comandano gli stranieri. La guerra grossa<br />

assiste a fatti decisivi: in Russia le armate sovietiche stanno concludendo una offensiva<br />

che le ha fatte avanzare di 300-400 chilometri, su un fronte di 2000; nelle fabbriche<br />

americane si producono 7000 aerei al mese; l’Inghilterra è un immenso campo militare,<br />

dove si prepara lo sbarco in Normandia. Ma per i ribelli sono fatti lontani e comunque è<br />

finita l’ansia dei primi giorni quando ascoltavano la radio per sapere quanto mancasse di<br />

giorni, di ore alla soluzione facile dell’avanzata anglo-americana; ora il ribellismo pensa<br />

a se stesso, scopre se stesso: le sue difficoltà, gli umili bisogni di una retrovia<br />

partigiana. La vita in montagna apre gli occhi dei borghesi e degli operai sulla<br />

condizione della campagna povera. È una scoperta diretta, una partecipazione effettiva.<br />

Si capisce che questa vita è una fatica continua, che tutto vi è lento, difficile; si<br />

partecipa ad un’esistenza priva di servizi e di servitori, dove tutto deve essere fatto da<br />

se stessi: tagliare la legna, portare i pesi, cercare il cibo, cuocere il cibo, cercare vestiti,

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