SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

vostro Re, e prodigaste sangue e valore per il bene supremo della Grande Madre comune. Molti di voi sono già al mio fianco ed a fianco del mio Governo, mentre si inizia la restaurazione morale e materiale della Patria. Domani, in accordo col Comando in capo anglo-americano. riprenderete la marcia interrotta a Vittorio Veneto e, come sempre, sarete degni delle vostre gloriose tradizioni. Soldati d’Italia! Un solo amore sia nel vostro cuore: la Patria, un solo grido sulle vostre bocche: Italia. Vittorio Emanuele Le rivolte del Mezzogiorno Gli episodi di lotta contro i tedeschi si moltiplicano, dopo la rivolta di Napoli, in tutto il Regno del Sud Nel Sud la resistenza al tedesco invasore scoppia spontaneamente dinanzi ai soprusi , alle violenze, ai delitti dell’occupante. È, questo, un capitolo a lungo ignorato della storia della guerra di liberazione, ma che prefigura . con vivida immagine, quella che sarà – nei seicento giorni della Repubblica di Salò – la lotta degli italiani più genuini contro la barbarie e che bene emerge dall’episodio di Caiazzo, citato da Roberto Battaglia nella Storia della Resistenza italiana, Einaudi, 1964. Nel clima delle Quattro Giornate di Napoli è da collocarsi quell’ignorata «rivolta del Mezzogiorno» che s’accese nella parte più stretta della penisola fra il Tirreno e l’Adriatico dalla fine del settembre alla prima metà dell’ottobre 1943, prima che il fronte si stabilizzasse definitivamente a Cassino. […] Il primo esempio fu dato da Matera che con la fulminea insurrezione del 21 settembre mise in fuga il tedesco e scontò l’atto d’audacia con la strage di 11 ostaggi fatti saltare in aria insieme alla caserma dov’erano stati rinchiusi. Il più largo contributo di sangue (circa 500 caduti) fu pagato dalla Terra di Lavoro, la zona in cui non soltanto s’addensava la disperazione dei braccianti, ma erano sopravvissuti, come a Capua, gli elementi d’una lotta consapevole contro il fascismo, l’organizzazione clandestina del Partito comunista. In Acerra data alle fiamme dai guastatori tedeschi (1° ottobre) i contadini costituiscono delle barricate con i carri agricoli e tentano di sbarrare la strada ai carri Tigre: questi abbattono la debole difesa e 200 persone vengono massacrate per rappresaglia. Insorge Rionero in Vulture, insorge Santa Maria Capua Vetere dove due soldati sovietici evasi dalla prigionia impegnano con il fuoco d’una mitragliatrice lungamente il nemico finché non vengono polverizzati, stretti alla loro arma, sotto i colpi dell’artiglieria tedesca; insorge Capua presso le cui porte combatte strenuamente il giovinetto quindicenne Carlo Santagata finché non viene catturato e impiccato dai nazisti (5 ottobre). 19 carabinieri, fedeli al giuramento, sono massacrati a Teverola, 7 innocenti, fra cui tre sacerdoti quasi ottantenni, sterminati presso Garzano come rappresaglia ad un’azione partigiana. Per un tedesco ucciso a Bellona «per motivi d’onore» da parte di alcuni contadini per vendicare l’oltraggio recato ad una giovinetta del luogo, ben 54 cittadini vengono allineati sull’orlo d’una rupe a picco e sospinti verso l’abisso a raffiche di mitraglia. Contemporaneamente, sull’altro versante della penisola, verso l’Adriatico, insorge Lanciano, riproducendo in scala minore, ma con uguale intensità, il grande esempio di Napoli. Tre giornate di tumulto popolare e di combattimento (4-6 ottobre), le armi recuperate a furia di popolo nelle caserme locali, l’urto del nemico affrontato a viso

aperto dalla gioventù. Sotto il bombardamento dei tedeschi decisi a riconquistare ad ogni costo la città, correva fra la popolazione, come è annotato in una relazione ufficiale, la parola d’ordine in dialetto: «Iame, iame a la guerra». Tutta l’insurrezione è come impregnata d’un forte sapore locale: la più tipica insurrezione «di provincia» di tutta la lotta di liberazione. La provincia italiana, generalmente remota dalle grandi vicende storiche, abitualmente «passiva» nel suo stato di segregazione, si risvegliò a Lanciano dando prova della sua vitalità. Ecco qualche frammento di cronaca da cui emana vivo questo senso diremmo ancora vergine degli affetti: «I genitori pur sapendo i figli impegnati, non piangevano, ma solo chiedevano dell’andamento dell’azione. Gli inermi si adoperavano come portaordini, per il trasporto delle munizioni e dei feriti, centuplicando i loro sforzi per emulare chi combatteva. Con eguale cura venivano raccolti i tedeschi feriti e portati all’ospedale. Un vecchio che trasportava le munizioni, nel punto di maggiore pericolo, dietro le Torri Montanare, attendeva all’opera cantando e fumando ed ebbe la pipa asportata da un proiettile di fucile. Aveva sempre per sé due bombe a mano per servirsene, diceva, in caso di incontro con i tedeschi. I nostri morti giacevano là dove avevano avuto la consegna di combattere. I genitori, i congiunti li ricercarono poi per dare ad essi sepoltura mutamente, senza pianto. La madre di Bianco Vincenzo ferito a morte in combattimento e finito con la mitragliatrice dalla brutalità teutonica, che ebbe altri due figli impegnati nell’azione, volle raccogliere il corpo esanime del figlio e sulle sue braccia, pietosamente, lo riportò a casa. I vicini facevano ala e s’inginocchiavano al suo passaggio. Un caduto, Sammaciccia Pierino, col proprio sangue lasciava sull’asfalto della piazza l’impronta del suo corpo». C’è il clima d’una vecchia civiltà popolare, che risparmia i caduti nemici e venera i propri come santi, un tono di «sacra rappresentazione» medievale specie nell’ultimo e suggestivo accenno, in quel persistere miracoloso dell’«impronta» d’un caduto malgrado le intemperie e il passare del tempo. Tanto più vivo ed evidente questo sentimento di «pietà religiosa» se si contrappone alla barbarie nazista: i tedeschi fucilano per rappresaglia dodici cittadini, bruciano l’abitato, impiccano ad un albero, dopo averlo torturato e accecato, Trentino La Barba: il primo dei mille e mille impiccati della Resistenza italiana. Undici giovani caddero fra il popolo di Lanciano, in gran parte meno che ventenni, circa cinquanta i morti tedeschi. Dopo avere sedato l’insurrezione, il Comando nazista condannò la città ad essere interamente sgombrata, ma inutilmente: i lancianesi resistettero sul posto, annidati nei rifugi, nelle cantine, fin nelle fogne, per tutto il durissimo inverno. Troveremo nello studio della Resistenza certamente fatti più complessi, avvenimenti di maggiore rilievo politico e militare: ma non troveremo più così evidente come nella situazione del Mezzogiorno, questo «urto elementare» fra la dominazione nazista e il popolo italiano: non ci sono dubbi o esitazioni da parte degli oppressi, c’è la scelta immediata della «strada giusta», imboccata d’istinto fino alle sue estreme conseguenze. Gli avvenimenti che trovano la loro origine nell’8 settembre, dalla resistenza di Porta San Paolo a quella dei partigiani all’estero, da Napoli a Lanciano, formano un unico ciclo «storico» determinato con diverse accentuazioni dalla riscossa popolare, in netto contrasto con i calcoli sbagliati, con la viltà o col tradimento della vecchia classe dirigente. Perciò ci sembra giusto concludere la rassegna di questa serie tumultuosa eppure coerente d’avvenimenti, con la citazione d’un episodio di «resistenza» contadina che può suggellare il significato dell’intero periodo. […] Esso ci è narrato e tramandato in un’epigrafe di Benedetto Croce che riconobbe in tale occasione l’insegnamento profondo, «la parola di verità» che scaturiva dall’animo della povera gente.

aperto dalla gioventù. Sotto il bombardamento dei tedeschi decisi a riconquistare ad<br />

ogni costo la città, correva fra la popolazione, come è annotato in una relazione<br />

ufficiale, la parola d’ordine in dialetto: «Iame, iame a la guerra». Tutta l’insurrezione è<br />

come impregnata d’un forte sapore locale: la più tipica insurrezione «di provincia» di<br />

tutta la lotta di liberazione.<br />

La provincia italiana, generalmente remota dalle grandi vicende storiche, abitualmente<br />

«passiva» nel suo stato di segregazione, si risvegliò a Lanciano dando prova della sua<br />

vitalità. Ecco qualche frammento di cronaca da cui emana vivo questo senso diremmo<br />

ancora vergine degli affetti: «I genitori pur sapendo i figli impegnati, non piangevano,<br />

ma solo chiedevano dell’andamento dell’azione. Gli inermi si adoperavano come<br />

portaordini, per il trasporto delle munizioni e dei feriti, centuplicando i loro sforzi per<br />

emulare chi combatteva. Con eguale cura venivano raccolti i tedeschi feriti e portati<br />

all’ospedale. Un vecchio che trasportava le munizioni, nel punto di maggiore pericolo,<br />

dietro le Torri Montanare, attendeva all’opera cantando e fumando ed ebbe la pipa<br />

asportata da un proiettile di fucile. Aveva sempre per sé due bombe a mano per<br />

servirsene, diceva, in caso di incontro con i tedeschi. I nostri morti giacevano là dove<br />

avevano avuto la consegna di combattere. I genitori, i congiunti li ricercarono poi per<br />

dare ad essi sepoltura mutamente, senza pianto. La madre di Bianco Vincenzo ferito a<br />

morte in combattimento e finito con la mitragliatrice dalla brutalità teutonica, che ebbe<br />

altri due figli impegnati nell’azione, volle raccogliere il corpo esanime del figlio e sulle<br />

sue braccia, pietosamente, lo riportò a casa. I vicini facevano ala e s’inginocchiavano al<br />

suo passaggio. Un caduto, Sammaciccia Pierino, col proprio sangue lasciava sull’asfalto<br />

della piazza l’impronta del suo corpo».<br />

C’è il clima d’una vecchia civiltà popolare, che risparmia i caduti nemici e venera i propri<br />

come santi, un tono di «sacra rappresentazione» medievale specie nell’ultimo e<br />

suggestivo accenno, in quel persistere miracoloso dell’«impronta» d’un caduto malgrado<br />

le intemperie e il passare del tempo. Tanto più vivo ed evidente questo sentimento di<br />

«pietà religiosa» se si contrappone alla barbarie nazista: i tedeschi fucilano per<br />

rappresaglia dodici cittadini, bruciano l’abitato, impiccano ad un albero, dopo averlo<br />

torturato e accecato, Trentino La Barba: il primo dei mille e mille impiccati della<br />

Resistenza italiana. Undici giovani caddero fra il popolo di Lanciano, in gran parte meno<br />

che ventenni, circa cinquanta i morti tedeschi. Dopo avere sedato l’insurrezione, il<br />

Comando nazista condannò la città ad essere interamente sgombrata, ma inutilmente: i<br />

lancianesi resistettero sul posto, annidati nei rifugi, nelle cantine, fin nelle fogne, per<br />

tutto il durissimo inverno.<br />

Troveremo nello studio della Resistenza certamente fatti più complessi, avvenimenti di<br />

maggiore rilievo politico e militare: ma non troveremo più così evidente come nella<br />

situazione del Mezzogiorno, questo «urto elementare» fra la dominazione nazista e il<br />

popolo italiano: non ci sono dubbi o esitazioni da parte degli oppressi, c’è la scelta<br />

immediata della «strada giusta», imboccata d’istinto fino alle sue estreme conseguenze.<br />

Gli avvenimenti che trovano la loro origine nell’8 settembre, dalla resistenza di Porta<br />

San Paolo a quella dei partigiani all’estero, da Napoli a Lanciano, formano un unico ciclo<br />

«storico» determinato con diverse accentuazioni dalla riscossa popolare, in netto<br />

contrasto con i calcoli sbagliati, con la viltà o col tradimento della vecchia classe<br />

dirigente.<br />

Perciò ci sembra giusto concludere la rassegna di questa serie tumultuosa eppure<br />

coerente d’avvenimenti, con la citazione d’un episodio di «resistenza» contadina che<br />

può suggellare il significato dell’intero periodo. […] Esso ci è narrato e tramandato in<br />

un’epigrafe di Benedetto Croce che riconobbe in tale occasione l’insegnamento<br />

profondo, «la parola di verità» che scaturiva dall’animo della povera gente.

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