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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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del Tritone, per rinnovare la biancheria. Quando, nel 1918, il conflitto finisce, dice a<br />

Vittorio: «E adesso mai più guerre».<br />

Ma arriva a Roma Mussolini, che fa la rivoluzione raggiungendo la capitale in vagone<br />

letto. Lei lo chiama sempre: «Signor Presidente» e non gli dimostra eccessiva simpatia.<br />

Una volta che, durante una cerimonia, lanciano il «Saluto al duce», manda a dire<br />

attraverso un gentiluomo, che «in Italia c’è ancora un sovrano».<br />

Quando Mussolini si ammala, però, lo fa visitare da un famoso medico tedesco. Nel<br />

1943, dopo il 25 luglio, non approva il comportamento del governo, e, in fondo,<br />

neppure quello del rispettato coniuge: «Se si doveva arrestarlo», dice, «che almeno si<br />

facesse fuori di casa nostra».<br />

Lei non ha mai preso parte attivamente alla vita politica: solo nel 1935, al tempo della<br />

campagna d’Africa, ha rivolto, in uno stentato e gutturale italiano, un appello alle «care<br />

madri e spose» perché donino l’anello nuziale alla Patria.<br />

Ha scritto, dopo il 1940, una lettera a otto regine, per salvare la pace; ma Mussolini l’ha<br />

pregata di non farne nulla. Non voleva che seguissimo Hitler, e scongiurava Vittorio<br />

Emanuele: «Non firmare». Si è sempre dedicata alla beneficenza, e la gente la<br />

rispettava.<br />

La sera dell’8 settembre 1943, un’automobile varca il portone del ministero della guerra,<br />

in via XX Settembre. Ne scendono il re e imperatore, che indossa la divisa grigio-verde,<br />

ed Elena, che porta, come al solito, un tailleur molto abbondante, e ha in testa un<br />

curioso cappellino tondo. Vittorio Emanuele III le dà il braccio, salgono le scale,<br />

attraversano stanze e saloni. Radio Londra ha trasmesso un breve annuncio: l’Italia ha<br />

firmato l’armistizio.<br />

Si rifugiano nell’appartamento riservato al ministro. Vittorio Emanuele critica: mobili che<br />

non sono di suo gusto. Siedono in un salotto vicini! Elena passa un braccio attorno al<br />

collo di quel piccolo uomo stanco, dallo sguardo freddo. Restano così, in silenzio, al<br />

buio. È l’ultima notte che trascorrono a Roma; lei ci tornerà solo una volta,<br />

privatamente, per i funerali di una sorella.<br />

Alle cinque del mattino seguente, partono per Pescara, su una 2800 nera. Si è parlato di<br />

aereo, ma lei rifiuta di volare. Umberto vorrebbe restare, ma la madre interviene: «On<br />

va te tuer, Beppo; tu n’ira pas». E Beppo non andò.<br />

I malevoli l’avevano chiamata «la pastora», quando era arrivata dal suo piccolo regno<br />

sulle montagne, e lei aveva coscienza del suo scarso prestigio: «Ciò che ho portato in<br />

dote a mio marito», diceva, «non è del denaro, ma una robusta costituzione e una<br />

perfetta salute». E poi tenerezza, devozione. Stava alzata ad aspettarlo in qualunque<br />

momento arrivasse. Quando le dissero che alla Fiera di Milano, nel 1928 c’era stato un<br />

attentato, svenne.<br />

In Egitto, si chiamavano «mamà» e «papà». Lei sospirava: «Potessi avere ancora una<br />

volta attorno a me tutti i miei figli, e poi meglio finirla, tanto ormai siamo due poveri<br />

vecchi».<br />

Enzo Biagi<br />

Vademecum per le due Italie<br />

Disposizioni scritte e comunicati radio dicevano agli italiani come dovevano vivere,<br />

cosa non dovevano fare, come potevano spostarsi<br />

Ordinanze militari, disposizioni prefettizie, appelli del re, avvisi di fuciloazioni, messaggi<br />

di Mussolini e di Roosevelt, proclami, interventi, dichiarazioni. È da questi documenti –<br />

di parte tedesca, italiana e alleata – che si delineano l’atmosfera e le condizioni di vita

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