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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Documenti e testimonianze<br />

Joachim Peiper: un caso di infamia<br />

«Boves? E dov’è Boves?», chiede Joachim Peiper, nel giugno 1964, ad un giornalista<br />

dello Spiegel che lo intervista. «Non so neanche dove sia, questo paese. Sì, sono stato<br />

in Italia, mi pare all’epoca di Badoglio, ma per breve tempo e non ne ricordo proprio più<br />

nulla». Peiper, nato a Berlino il 30 gennaio 1915, ex Sturmbannführer SS (maggiore),<br />

sposato e con una figlia, vive in quell’epoca a Stoccarda in una bella villa della periferia<br />

e si occupa di pubblicità per l’industria automobilistica.<br />

Il suo nome è più noto negli Stati Uniti che in Germania: nel dicembre 1944, durante la<br />

battaglia delle Ardenne, ha preso parte – a Malmèdy, nel Belgio – all’uccisione in massa<br />

di 72 prigionieri di guerra americani. Rintracciato in Austria nel 1946, processato a<br />

Dachau e condannato a morte, l’Alto commissario John McCloy gli ha commutato la<br />

pena capitale in quella dell’ergastolo e, nel 1955, dopo dieci anni di detenzione nel<br />

carcere bavarese dl Landsberg (lo stesso dove Hitler era stato prigioniero per il fallito<br />

«putsch» del 1923) è tornato libero.<br />

A Stoccarda, iscritto al circolo ufficiali e membro del comitato direttivo della<br />

«Landesverband der Hyag» (la società assistenziale che si interessa agli ex SS) Peiper<br />

conduce vita ritiratissima e pochi soltanto conoscono il suo «curriculum» di criminale di<br />

guerra. Ma, proprio in quell’anno 1964, una sua fotografia comparsa su un giornale<br />

tedesco lo ha tradito perché in essa è stato riconosciuto l’ufficiale delle SS che, la<br />

domenica 19 settembre 1943 ha fatto assassinare a Boves ventidue cittadini inermi (il<br />

più giovane è un ragazzo di 16 anni, Benvenuto Re; il più anziano una donna, Caterina<br />

Bo, ottantaseienne), incendiare 350 case, cospargere di benzina il parroco don<br />

Giuseppe Bernardi e l’industriale Antonio Vassallo e bruciarli vivi.<br />

Il giornalista dello Spiegel dice a Peiper che c’è una denuncia contro di lui: l’hanno<br />

presentata il deputato cuneese del PCI Giuseppe Biancani e l>ex partigiano Giuseppe<br />

Prunotto; ma l’ex maggiore SS replica seccamente: «Queste sono le solite manovre dei<br />

comunisti che tentano, per i loro scopi, di insudiciare la Germania. Lo hanno sempre<br />

fatto, continueranno a farlo anche nel futuro. Ma se c’è una denuncia contro di me,<br />

sono a disposizione della magistratura tedesca in qualsiasi momento. L’incendio di<br />

Boves? E dov’è Boves?».<br />

Peiper giunge a Cuneo l’11 settembre 1943, sabato, a capo di un battaglione corazzato<br />

della 1ª Panzerdivision SS «Leibstandarte Adolf Hitler» accorsa in Itaiia all’indomani<br />

dell’armistizio. Una settimana più tardi, la a domenica 19, due SS, il sottufficiale<br />

Butenhoff e il genere Wieczorek, mentre sostano in auto sulla piazza Italia, a Boves,<br />

vengono catturati da un gruppo di militari italiani alla macchia sui monti e portati<br />

prigionieri nella valle del torrente Colla. Avvertiti per telefono dai carabinieri, alle 12 di<br />

quel giorno accorrono da Cuneo due camion di SS per tentare di liberare i loro<br />

commilitoni: a Tet Sergent, durante uno scontro a fuoco, i tedeschi vengono respinti e il<br />

mitragliere Willi Steinmetz rimane ucciso.<br />

Per la magistratura tedesca «non ci sono prove sufficienti»<br />

per condannare Peiper<br />

Peiper arriva un’ora dopo con una compagnia di carri armati. Su suo invito («La parola<br />

di un tedesco vale cento firme di italiani», disse) il parroco don Bernardi accetta di

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