SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

tedeschi con le bombe a mano. In altre condizioni avrebbe preso la medaglia d’oro; gli intitoleranno una strada di Ascoli Piceno. Nel tardo pomeriggio le sorti della battaglia sono ormai decise e ai partigiani superstiti non resta che ripiegare verso l’alto. L’arretramento è coordinato da Perini, che non ha perso la testa. Purtroppo la totale mancanza di addestramento di questi giovanissimi coscritti della guerriglia fa sì che molti di loro restino paralizzati dall’infernale fuoco nemico e si facciano uccidere. Spartaco Perini riesce a scampare; qualche tempo dopo raggiungerà il Sud. Anche Colle San Marco costituisce una lezione duplice: positiva, nella misura in cui ha evidenziato la volontà di lotta che anima tanti giovani; negativa, per l’applicazione della tattica sbagliata del campo fortificato. Dall’episodio, come dagli altri di quel periodo ruggente, emerge anche una domanda: come mai i comandi tedeschi, che pure dispongono di una netta superiorità di forze, di mezzi e di armi tanto spessa vanno incontro a dure sconfitte o – come nel caso di Colle San Marco – a vittorie il cui costo qualunque generale troverebbe inaccettabile? Se ne conclude che fin dalle prime battute la Resistenza italiana – per quanto disorganizzata, spontanea, impreparata, quasi disarmata – assolve al suo compito militare, che è quello di agganciare la maggior quantità possibile di forze tedesche, sottraendole così automaticamente allo schieramento contro gli anglo-americani. A Nola un esempio di unità nazionale Si dice Nola per dire Terra di Lavoro, cioè quella regione che si stende alle spalle di Napoli. Pochi ne hanno parlato, ma nelle prime settimane dopo l’armistizio la Terra di Lavoro ha pagato la sua lotta contro gli occupatori e i fascisti con più di 500 morti. È un bilancio pesantissimo. Tutto comincia proprio all’indomani del proclama di Badoglio, perché già il 10 settembre si hanno i primi scontri e le prime feroci repressioni naziste: non a torto in una delle storie della Resistenza questa sanguinoso capitolo è intitolato «le stragi campane». La gente assiste alla fucilazione di dieci ufficiali del 48° Reggimento artiglieria e si ribella non solo alla spietatezza dell’eccidio, ma anche al rituale barbaro che lo ha accompagnato: gli ufficiali sono stati abbattuti contro il muro della caserma, con la truppa costretta ad assistere inginocchiata alla strage. È allucinante la vocazione dei tedeschi a farsi odiare. Infatti civili e militari si uniscono spontaneamente nella lotta, e come si apprenderà dopo, si verifica una fusione perfetta di tutti i ceti sociali. Il sottotenente dei carabinieri Giuseppe Pecorari, uno dei capi della rivolta (che per il momento non è ancora lotta partigiana), nel suo rapporto sull’episodio di Nola scrive che su 71 insorti 24 sono operai, 20 studenti e 27 tra commercianti, impiegati, carabinieri e professionisti. A Nola nasce dunque come un frutto spontaneo l’unità nazionale, nella quale la classe operaia e la borghesia sono le forze trainanti, I capi riconosciuti sono, oltre all’ufficiale dei carabinieri, un prete, don Angelo D’Alessio, e un popolana, Umberto Mercogliano. Altre notizie di efferatezze compiute dai tedeschi giungono dalle località vicine: a Capua hanno impiccato un ragazzo di 15 anni, a Teverola hanno fucilato 19 carabinieri, a Bellona hanno falciato a raffiche di mitragliatrice 54 persone. La rabbia popolare è immensa e centinaia di uomini (ma parecchi sono ragazzi imberbi) accorrono ad accrescere le file dei ribelli. Il 26 settembre il quattordicenne Raffaele Santaniello, con il fratello Costanzo di 21 anni e un amico di questi, Antonio Mercogliano, ventottenne, tagliano i fili del telefono di un comando nazista. È un’operazione splendidamente inutile: Costanzo e Antonio muoiono. Raffaele riesce a fuggire, ferito.

La reazione popolare nella Terra di Lavoro non ha assolutamente le caratteristiche di una lotta di resistenza partigiana, perché tale non è dal punto di vista militare né nelle intenzioni di chi generosamente vi partecipa: è una vera insurrezione (come avverrà poi, nell’aprile 1945, al Nord) per cacciare i tedeschi prima che giungano le avanguardie alleate, i cui cannoni brontolano già all’orizzonte. È la volontà di condurre la lotta personalmente, senza demandarne lo sforzo agli altri, agli stranieri. Quando i primi reparti americani arriveranno, troveranno la Terra di Lavoro sgombra di tedeschi e coloro che li hanno cacciati pronti ad offrirsi come guide alle unità alleate che inseguono i granatieri nazisti in ritirata. Le quattro giornate di Napoli «È proibito farsi arrestare». Questo press’a poco è il succo di un’ordinanza prefettizia del 1942. I napoletani patiscono la fame e molti di loro hanno ingegnosamente trovato il modo di mangiare a spese dello stato: un piccolo reato, e via in prigione dove un pasto al giorno è assicurato, Nell’autunno 1943 Napoli «vanta» un terrificante primato: 120 bombardamenti e 100.000 vani distrutti. L’ira dei napoletani, quindi, si rivolge contro i bombardieri alleati, mentre verso i tedeschi non c’è nessun particolare sentimento di avversione. In fondo, la tradizione risorgimentale di lotta contro lo straniero di lingua tedesca non li ha nemmeno sfiorati. Dopo l’8 settembre la musica cambia. La razione di pane scende sotto i 50 grammi al giorno e i bombardamenti si intensificano. La colpa – pensano non a torto i napoletani – è di questi tedeschi che non se ne vanno. Inoltre le supreme autorità naziste in Italia hanno la bella pensata di mettere al comando della città un prussiano di nome Scholl, colonnello, un uomo con la mentalità meno adatta al mondo a capire il popolo di Napoli. Scholl infila un errore dietro l’altro, perché è feroce ma anche stupido. Per esempio, fa riunire con la forza 6000 cittadini perché assistano alla fucilazione di un marinaio italiano colpevole (ma non si saprà mai se l’accusa era fondata) di avere gettato una bomba a mano contro le truppe del Reich. Poi Scholl ripete la macabra sceneggiata ad Aversa dove, presenti centinaia di persone mobilitate a colpi di calcio di fucile, ordina l’esecuzione di 14 carabinieri. La goccia che fa traboccare il vaso è il bando di mobilitazione per il servizio del lavoro obbligatorio. Il colonnello Scholl, a questo punto, ha la prima brutta sorpresa: nessuno si presenta ai centri di reclutamento. Nuovi manifesti, redatti in cattivo italiano, minacciano dai muri la morte per chi non obbedisce all’ingiunzione. Ma il risultato è zero. Scholl riceve dal comando di Kesselring l’ordine di predisporre le misure necessarie in vista di un possibile sbarco alleato nel golfo. Meraviglia che un capo militare di prim’ordine quale certamente è Kesselring affidi compiti di responsabilità ad uno Scholl; c’è da pensare che nessuno informa il maresciallo delle brillanti iniziative del comandante di Napoli. Fatto sta che Scholl emana l’ordine di sgombero dei civili dalla fascia costiera per la profondità di cinque chilometri: vuole dire evacuare l’intera Napoli. Scholl è costretto a correggere l’ordine, 300 metri invece di cinque chilometri. Tra il 20 e il 26 settembre, in modo del tutto spontaneo, la gente si procura le armi; non c’è serratura di deposito che resista, non c’è nascondiglio che tenga. Nell’impresa si sono gettati gli scugnizzi: carichi fino all’inverosimile, questi bambini malnutriti di dieci, dodici anni, col favore della notte trasportano fucili, munizioni, bombe, mitragliatrici.

tedeschi con le bombe a mano. In altre condizioni avrebbe preso la medaglia d’oro; gli<br />

intitoleranno una strada di Ascoli Piceno. Nel tardo pomeriggio le sorti della battaglia<br />

sono ormai decise e ai partigiani superstiti non resta che ripiegare verso l’alto.<br />

L’arretramento è coordinato da Perini, che non ha perso la testa. Purtroppo la totale<br />

mancanza di addestramento di questi giovanissimi coscritti della guerriglia fa sì che<br />

molti di loro restino paralizzati dall’infernale fuoco nemico e si facciano uccidere.<br />

Spartaco Perini riesce a scampare; qualche tempo dopo raggiungerà il Sud.<br />

Anche Colle San Marco costituisce una lezione duplice: positiva, nella misura in cui ha<br />

evidenziato la volontà di lotta che anima tanti giovani; negativa, per l’applicazione della<br />

tattica sbagliata del campo fortificato. Dall’episodio, come dagli altri di quel periodo<br />

ruggente, emerge anche una domanda: come mai i comandi tedeschi, che pure<br />

dispongono di una netta superiorità di forze, di mezzi e di armi tanto spessa vanno<br />

incontro a dure sconfitte o – come nel caso di Colle San Marco – a vittorie il cui costo<br />

qualunque generale troverebbe inaccettabile? Se ne conclude che fin dalle prime<br />

battute la Resistenza italiana – per quanto disorganizzata, spontanea, impreparata,<br />

quasi disarmata – assolve al suo compito militare, che è quello di agganciare la maggior<br />

quantità possibile di forze tedesche, sottraendole così automaticamente allo<br />

schieramento contro gli anglo-americani.<br />

A Nola un esempio di unità nazionale<br />

Si dice Nola per dire Terra di Lavoro, cioè quella regione che si stende alle spalle di<br />

Napoli. Pochi ne hanno parlato, ma nelle prime settimane dopo l’armistizio la Terra di<br />

Lavoro ha pagato la sua lotta contro gli occupatori e i fascisti con più di 500 morti. È un<br />

bilancio pesantissimo. Tutto comincia proprio all’indomani del proclama di Badoglio,<br />

perché già il 10 settembre si hanno i primi scontri e le prime feroci repressioni naziste:<br />

non a torto in una delle storie della Resistenza questa sanguinoso capitolo è intitolato<br />

«le stragi campane». La gente assiste alla fucilazione di dieci ufficiali del 48°<br />

Reggimento artiglieria e si ribella non solo alla spietatezza dell’eccidio, ma anche al<br />

rituale barbaro che lo ha accompagnato: gli ufficiali sono stati abbattuti contro il muro<br />

della caserma, con la truppa costretta ad assistere inginocchiata alla strage.<br />

È allucinante la vocazione dei tedeschi a farsi odiare. Infatti civili e militari si uniscono<br />

spontaneamente nella lotta, e come si apprenderà dopo, si verifica una fusione perfetta<br />

di tutti i ceti sociali. Il sottotenente dei carabinieri Giuseppe Pecorari, uno dei capi della<br />

rivolta (che per il momento non è ancora lotta partigiana), nel suo rapporto sull’episodio<br />

di Nola scrive che su 71 insorti 24 sono operai, 20 studenti e 27 tra commercianti,<br />

impiegati, carabinieri e professionisti. A Nola nasce dunque come un frutto spontaneo<br />

l’unità nazionale, nella quale la classe operaia e la borghesia sono le forze trainanti, I<br />

capi riconosciuti sono, oltre all’ufficiale dei carabinieri, un prete, don Angelo D’Alessio, e<br />

un popolana, Umberto Mercogliano.<br />

Altre notizie di efferatezze compiute dai tedeschi giungono dalle località vicine: a Capua<br />

hanno impiccato un ragazzo di 15 anni, a Teverola hanno fucilato 19 carabinieri, a<br />

Bellona hanno falciato a raffiche di mitragliatrice 54 persone. La rabbia popolare è<br />

immensa e centinaia di uomini (ma parecchi sono ragazzi imberbi) accorrono ad<br />

accrescere le file dei ribelli. Il 26 settembre il quattordicenne Raffaele Santaniello, con il<br />

fratello Costanzo di 21 anni e un amico di questi, Antonio Mercogliano, ventottenne,<br />

tagliano i fili del telefono di un comando nazista. È un’operazione splendidamente<br />

inutile: Costanzo e Antonio muoiono. Raffaele riesce a fuggire, ferito.

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