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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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delle razioni di «sapone, grasso anticongelante e per calzature, olio e petrolio per pulizia<br />

armi».<br />

Morandi cerca di allargare i contatti alle bande di tutta il territorio del Lario orientale,<br />

ma la cosa diventa di giorno in giorno più difficile per l’aumentata sorveglianza tedesca.<br />

Il gruppo di Pizza d’Erna, comunque, non sta con le mani in mano; tanto che i tedeschi<br />

decidono un’operazione di rastrellamento. I partigiani non sono più di trecento, ma il<br />

comando tedesco non fa economia: gli preme eliminare quella spina nel fianco delle<br />

comunicazioni fra le province di Como e di Bergamo e perciò manda un battaglione di<br />

Alpenjäger bavaresi a far fuori i «banditi». I combattimenti, iniziati il 17 ottobre 1943,<br />

durano tre giorni; i partigiani riescono ad infliggere pesanti perdite ai tedeschi, sebbene<br />

si tratti di truppe di montagna altamente specializzate. Poi le sorti della battaglia<br />

volgono a favore del numero e il gruppo di Pizza d’Erna, per sottrarsi alla cattura, deve<br />

disperdersi nelle strette valli della zona.<br />

Al contrario di altri episodi di cui si vedrà, quello di Pizza d’Erna dà motivo a giudizi<br />

positivi. Infatti i combattimenti sono stati condotti con i criteri validi della guerriglia:<br />

colpire spesso, all’improvviso e in vari punti, il nemico; non accettare la battaglia<br />

campale se non si ha la certezza di potersi sottrarre in tempo alla superiorità di mezzi<br />

avversaria: infine, sapersi sganciare al momento opportuno per riprendere la lotta<br />

altrove.<br />

San Martino, la «Maginot» alpina<br />

Il tenente colonnello dei bersaglieri Carlo Croce è un vecchip combattente della guerra<br />

1915-18. Ha 51 anni quando, comandante di un presidio a Luino, sul lago Maggiore,<br />

viene colto dagli avvenimenti dell’8 settembre 1943. Il tenente colonnello Croce ha idee<br />

chiare sui propri doveri, per lui il nemico è sempre lo stesso, «quello della ‘15-‘18».<br />

Perciò dirà «chi vuole mi segua» e va ad occupare le vecchie fortificazioni del monte<br />

San Martino, sopra Varese.<br />

È il 12 settembre, si respira l’aria eroica del Risorgimento in mezzo a quel centinaio di<br />

uomini che hanno seguito Croce. Ci sono, fra gli altri, il capitano di artiglieria Enrico<br />

Campodonico e persino un sacerdote, don Mario Rimonta, che farà da cappellano alla<br />

guarnigione. Croce sceglie per sé un nome di battaglia di non poche ambizioni:<br />

«Giustizia»; e il motto della formazione è «Non c’è fango sul nostro volto». Quando si<br />

tratta di dare un nome alla banda, la scelta è unanime: si chiamerà «Cinque Giornate»,<br />

in ricorda del glorioso episodio milanese di un secolo prima.<br />

Purtroppo, in tutto ciò è già contenuto il destino della banda. Infatti l’alta coscienza<br />

civile, il grande coraggio e l’esperienza del primo conflitto mondiale non servono al<br />

colonnello Croce per capire le esigenze del nuovo tipo di guerra che è chiamato a<br />

combattere. Croce pensa di organizzare una ridotta munitissima, una piccola Maginot di<br />

montagna contro la quale al nemico sarà difficile operare. L’elemento fondamentale del<br />

calcolo del colonnello è la sua convinzione che gli Alleati stanno travolgendo le linee<br />

tedesche in Italia e il paese sarà presto tutto libero: questione di settimane, forse di<br />

qualche mese, non di più. Purtroppo il calcolo è completamente errato: ma quanti se ne<br />

rendano conto, in quell’autunno del 1943? Diciamolo pure: nessuno, nemmeno i<br />

comandanti alleati, che con le loro operazioni di sbarco contano di intrappolare le<br />

divisioni di Kesselring. Croce, insomma, pensa ad una fortezza pronta a respingere un<br />

nemico che, per ora, non si vede. Non capisce che di fronte non ha un deserto ma un

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