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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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tornano, Peiper ordina al prete e all’industriale di salire su una camionetta e li porta in<br />

giro ad assistere alla distruzione del paese e al massacro dei suoi abitanti: la gente<br />

viene falciata a raffiche di «machine-pistole», le case incendiate. «Fategli ammirare lo<br />

spettacolo», pare che abbia detto il maggiore. Alla fine, un’ultima raffica per don<br />

Giuseppe e Vassallo: ancora vivi, vengono cosparsi di benzina e bruciati. Uno dei<br />

testimoni presenti racconterà piangendo: «Sembravano due bambini, erano tutti<br />

rattrappiti!».<br />

Il giorno dopo, 20 settembre, una colonna di autoblindo e camion del reparto di Peiper<br />

risale la strada che porta alla base partigiana. Con l’unico colpo da 75 a disposizione,<br />

Vian riesce a colpire il primo veicolo corazzato e a bloccare la strada; poi ordina di<br />

sparare, facendo il maggior baccano passibile. Ha disposto i suoi centri di fuoco in modo<br />

da far credere che ha molte più forze di quante in realtà abbia. Il fortunato colpo di<br />

cannone, l’intensa fucileria, la convinzione di essersi ficcati in una trappola induce la<br />

colonna tedesca a ritirarsi, portandosi via morti e feriti. 150 partigiani hanno battuto<br />

una colonna corazzata delle SS. Peiper esce dalla vicenda qualificatissimo come<br />

assassino, squalificato come ufficiale. Ignazio Vian passa con i suoi in valle<br />

Vermegnana. Purtroppo verrà catturato qualche mese dopo e impiccata a Torino.<br />

Il bilancia di Boves è di 45 civili trucidati e 350 case distrutte. L’episodio contiene alcune<br />

dure lezioni per il nascente movimento di resistenza. Anzitutto che la lotta partigiana<br />

non si fa con i metodi di caserma; poi che a mano a mano si sale nei gradi dell’ufficialità<br />

italiana, diminuisce la capacità di comprendere le esigenze della guerriglia (salvo,<br />

beninteso, un certo numero di casi encomiabili): nelle accademie militari non la<br />

insegnano e nessun generale ha letta il libretto aureo dei conte Carlo Bianco di Saint-<br />

Jorioz, Della guerra nazionale d’insurrezione per bande applicata all’Italia, pubblicata<br />

nientemeno che nel 1830. Un’altra lezione che si trae da Boves è che, nella lotta<br />

partigiana, i galloni «vengono dal basso», ossia sono gli stessi combattenti che<br />

riconoscono la qualità di capo.<br />

Infine – ed è forse la lezione più amara – si capisce che il partigiano deve annidarsi<br />

lontano dai centri abitati per non offrire il facile pretesto alla rappresaglia.<br />

Pizzo d’Erna, banco di prova della guerriglia<br />

Il Pizza d’Erna è un becco di roccia accanto al Resegone, a pochi chilometri da Lecco.<br />

Nei giorni successivi all’armistizio, sono saliti su quelle montagne parecchi operai<br />

milanesi e lecchesi, molti alpini del disciolto comando truppe al deposito del 5°<br />

Reggimento, diversi ex prigionieri inglesi, greci e jugoslavi. La scelta della zona è<br />

intelligente perché le aspre montagne del Lecchese, che culminano con il Resegone e le<br />

Grigne, sono un terreno adatto alla guerriglia e perché, attraverso valli disagevoli, si<br />

può passare nella zona altrettanto montuosa del bergamasco.<br />

Il CLN subito costituito a Lecco appoggia il gruppo partigiano e questo comincia la sua<br />

attività con piccole azioni e colpi di mano. Altre formazioni sono alla Capanna Stoppani<br />

e al Campo dei Buoi. Il coordinatore militare è un bravo ufficiale superiore, il colonnello<br />

Umberto Morandi, che non ha esitato a darsi alla montagna subito all’indomani<br />

dell’armistizio. Sul suo coraggio e sul suo attivismo non ci sono dubbi: eppure anche<br />

Morandi non è entrato nella mentalità «diversa» di un esercito partigiano, come<br />

dimostra un suo incredibile «foglio di disposizioni», inviato alle unità combattenti, che<br />

sembra uscito pari pari da una fureria di una caserma dell’Ottocento; vi si parla persino

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