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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Capitolo settantesimo<br />

Le quattro giornate di Napoli<br />

Il settembre 1943 è un settembre caldo, annunciatore di un autunno «buono per<br />

funghi», come ricorda Giorgio Bocca, storico della Resistenza. E sarà un mese di grandi<br />

avvenimenti e di ancora più grandi sorprese – buone e cattive – per tutti. C’era stato,<br />

poche settimane prima, il ribaltone di Mussolini. E poi la vicenda confusa e goffa<br />

dell’armistizio. E poi ancora la liberazione del duce ad opera dei paracadutisti di Otto<br />

Skorzeny. Anche dal punto di vista della guerra in Italia settembre è un mese da<br />

cardiopalmo: mentre le operazioni «Baytown» (occupazione della Calabria) e<br />

«Slapstick» (occupazione delle Puglie) sono filate lisce come l’olio, l’operazione più<br />

importante, la «Avalanche» (sbarco a Salerno), dà grassi dispiaceri ai due comandanti,<br />

l’americano Clark e l’inglese McCreery. «Gli sviluppi dell’invasione dell’Italia erano stati<br />

molta deludenti», scriverà poi lo storico militare inglese Liddell Hart.<br />

Tra i motivi di sorpresa ci sarà anche il comportamento degli italiani. Gli inglesi, che si<br />

erano sentiti «stramaledire» per radio dal corifeo mussoliniano Mario Appelius,<br />

rimangano stupefatti di essere accolti con grandi feste. La cosa non è di loro<br />

gradimento: ancora offesi per l’incredibile dichiarazione di guerra che Mussolini aveva<br />

osato fare al loro paese, guardano con disprezzo non celato questo popolo<br />

imprevedibile. Per la verità, il tommy inglese ragiona né più né meno che come il suo<br />

ministro degli Esteri, Eden: cioè senza capire nulla del profondo e difficile travaglio di<br />

un’intera nazione, durato vent’anni. I tedeschi, che da molto tempo pensano<br />

esclusivamente col cervello del dottor Goebbels, guardano con odio al paese che li<br />

aveva piantati in asso a metà del guado; né si può pretendere da loro l’autocritica, virtù<br />

di difficilissimo esercizio per tutti ma particolarmente per il popolo tedesco, come si<br />

vedrà poi nei lunghi decenni del dopoguerra.<br />

E non è tutto. Quattro giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, gli italiani – o almeno<br />

moltissimi di loro – daranno vita ad una resistenza contro i tedeschi divenuti, da alleati,<br />

occupanti e nemici. Saranno per esempio numerosi gli atti di coraggio – e anche di<br />

sacrificio – compiuti dai singoli: il brigadiere dei carabinieri Salvo D’Acquisto,<br />

ventitreenne, nato a Napoli e poi medaglia d’oro al valor militare, si farà fucilare dai<br />

tedeschi a Palidoro (Roma) al posto di ventidue ostaggi rastrellati. Di questi gesti ne<br />

saranno sorpresi soprattutto i comandanti nazisti, a cominciare dal maresciallo<br />

Kesselring e dal suo capo di Stato Maggiore, generale Westphal. I tedeschi, ovviamente,<br />

ingoiato il rospo dell’armistizio italiano – per loro un vero tradimento – non si fanno<br />

illusioni su quello che sarebbe successo; ci sono lì, ad insegnarlo, le esperienze di tutti<br />

gli altri paesi da loro invasi. Ma in Francia, in Norvegia, in Belgio, in Olanda, in Polonia,<br />

persino in Russia, è passato parecchio tempo dal momento dell’occupazione al<br />

momento della resistenza. In qualche caso, i tedeschi hanno anche avuto modo di<br />

trarre vantaggi dalla realtà, obiettivamente sgradevole per loro, della lotta partigiana:<br />

per esempio, in Grecia, dove i partigiani sembrano più occupati a sbranarsi fra loro che<br />

a combattere l’occupante; in Jugoslavia, dove Tito deve fare i conti con l’ambiguo<br />

concorrente generale Mihajlovic, protetto in parte dagli inglesi ma pronto a patteggiare<br />

con i nazifascisti.<br />

Insomma, il comando della Wehrmacht in Italia pensa di avere davanti a sé un congruo<br />

lasso di tempo per coagulare una buona linea difensiva contro gli anglo-americani,

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