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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Ecco il testo della lettera scritta nel carcere di Erba la mattina della fucilazione.<br />

Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che<br />

il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto… Accetto con<br />

rassegnazione il suo volere.<br />

Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono.<br />

Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia Mamma che santamente mi educò e mi<br />

protesse per i vent’anni della mia vita.<br />

L’amavo troppo la mia Patria: non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e<br />

avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unita nazionale.<br />

Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che<br />

l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia. A te Papà l’imperituro grazie per ciò<br />

che sempre mi permettesti di fare e mi concedesti.<br />

Gino e Gianni siano degni continuatori delle gesta eroiche della nostra famiglia e non si<br />

sgomentino di fronte alla mia perdita. I martiri convalidano la fede in una Idea. Ho sempre<br />

creduto in Dio e perciò accetto la Sua volontà. Baci a tutti.<br />

Giancarlo<br />

Tornano i fantasmi<br />

Al ritorno di Mussolini in Italia riappaiono i giornali «pilotati» dal risorto regime<br />

Il ritorno di Mussolini in Romagna (e alla vita politica) nell’autunno 1943, dopo la breve e<br />

convulsa parentesi di Monaco seguita alla liberazione dal Gran Sasso, è narrato<br />

vividamente in questo passo del saggio di Frederick William Deakin, Storia della<br />

Repubblica di Salò, Einaudi, Torino 1963.<br />

Il ritorno in Romagna, a cui Mussolini era legato non solo per motivi familiari ma anche per<br />

le antiche esperienze socialiste, fu al tempo stesso anche un ritorno brutale al clima<br />

mentale del fascismo delle origini, alla violenza e alla incertezza che seguirono la<br />

fondazione del movimento prima della «marcia su Roma». La riunione del Consiglio dei<br />

ministri in una casa di campagna e non più a palazzo Venezia indicava quanto il fascismo<br />

ufficiale si fosse ritirato dalle posizioni centralizzate di potere per ritornare alle sue basi<br />

regionali. Durante quel breve intermezzo di quindici giorni nell’ambiente familiare della<br />

Rocca sembrò che apparissero – ma erano illusori – i sintomi di un nuovo corso, non<br />

inceppato dagli errori del fascismo negli anni del trionfo.<br />

Le vecchie parole d’ordine di venti anni prima furono rispolverate. Il nuovo Stato<br />

repubblicano proclamato da Mussolini costituiva una sfida diretta alla corona. Al di là di<br />

una fedeltà alla persona, doveva esservi una mobilitazione della pubblica opinione. Ma nel<br />

nuovo corso storico del movimento fascista, i primi propositi e le prime illusioni che<br />

dovevano creare una nuova unità svanirono ben presto, di fronte alle responsabilità di<br />

governo e ai compromessi che ne seguirono. Gli elementi estremisti di sinistra del primo<br />

movimento fascista erano stati ben presto messi in disparte a vantaggio di un<br />

conformismo ufficiale, e non soltanto erano state messe in disparte vuote formule e parole<br />

d’ordine, ma gli stessi uomini che avevano combattuto. Gli avvenimenti dell’estate del<br />

1943 avevano travolto il fascismo ufficiale.<br />

Un chiaro e lucido rapporto sulla situazione politica in Romagna, dopo il 25 luglio, fu<br />

presentato da un prefetto e, benché scritto alcuni mesi più tardi, ci fornisce un quadro<br />

equilibrato e tipico delle altre province in quel tempo. L’autore riferiva che la notizia della

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