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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Il generale comandante la zona non volle nemmeno sentirne parlare, e il colonnello<br />

comandante il 2° Alpini fece una scenata a due antifascisti che erano andati a pregarlo di<br />

consegnare le chiavi del magazzino dove erano state radunate le armi versate dagli alpini<br />

messi in libertà. Se si volle mettere insieme qualche arma e un po’ di materiali, bisognò<br />

andarseli a prendere, con la forza e con l’astuzia, di propria iniziativa, nelle caserme e nei<br />

magazzini.<br />

Il secondo problema era quello del comando: chi avrebbe comandato questi volontari.<br />

questi «irregolari»? Si bussò a varie porte: ma fu un’altra delusione. Due giovani ufficiali,<br />

valorosi combattenti, entrambi invalidi di guerra (uno era l’indimenticabile Pietro Bellino,<br />

ucciso dai tedeschi) si recarono a trovare in casa un tenente colonnello degli alpini, assai<br />

stimato per il suo valore e la sua capacità militare, e gli offrirono il comando: ma furono<br />

cacciati via in malo modo, con parole per lo meno vivaci, esprimenti la sorpresa e lo<br />

sdegno dell’interpellato, il quale ci teneva ad essere considerato un ufficiale serio, non un<br />

avventuriero! (Qualche giorno dopo, quel medesimo tenente colonnello si presentava ai<br />

tedeschi: così il suo onore era salvo!) Una risposta in certo senso analoga dava un altro<br />

ufficiale, assai più elevato in grado e in fama di antifascista, il quale, da più parti<br />

sollecitato a mettersi alla testa del movimento di resistenza, sempre opponeva un rifiuto, e<br />

alla fine autorizzava persino a rendere di pubblica ragione la seguente dichiarazione<br />

formale: che egli non aveva mai comandato né avrebbe mai comandato delle formazioni<br />

«irregolari». In tali condizioni, evidentemente, non restava agli antifascisti che organizzarsi<br />

per proprio conto: come difatti avvenne.<br />

Non era invece un problema quello circa il luogo dove andare a combattere. La risposta<br />

non era dubbia: in montagna. Quelle montagne del Cuneese sulle cui vette tanti di noi, nel<br />

beato riposo che seguiva alla bella arrampicata, e nella purezza dell’altezza, avevano dato<br />

corso ad umane fantasie, e più forti e vivi avevano sentito vibrare nel cuore gli ideali di<br />

giustizia e di libertà, ora si apprestavano ad accogliere i soldati della nuova Italia, i<br />

combattenti della guerra di liberazione.<br />

Dopo mesi e mesi di lotta, i partigiani giellisti della Valle Gesso canteranno:<br />

Le montagne le montagne di Valle Gesso Sono state sono state la nostra casa<br />

Quando tutta tutta Italia l’era invasa<br />

Da tedeschi da tedeschi e traditor.<br />

Fu così non soltanto in Valle Gesso, ma in tutte le valli: le montagne furono davvero la<br />

casa dei partigiani.<br />

Testamento di un partigiano<br />

Le parole d’addio di uno dei primi partigiani catturati dai fascisti e condannati a morte<br />

Una delle formazioni partigiane sorte nel Comasco portò il nome di Giancarlo Puecher<br />

Passavalli. Dottore in legge, ventenne – era nato a Milano il 23 agosto 1923 – Puecher fu,<br />

subito dopo l’armistizio di settembre, l’organizzatore e il capo dei gruppi partigiani che si<br />

andavano formando nella zona di Erba-Pontelambro. Svolse numerose azioni, tra cui quella<br />

– rilevante – al Crotto Rosa di Erba per il recupero di materiale bellico. Catturato il 12<br />

novembre 1943 da militi fascisti, torturato e processato dal tribunale speciale, venne<br />

fucilato al cimitero nuovo di Erba il 21 dicembre. Puecher, figlio di Giorgio Puecher<br />

Passavalli, deportato a Mauthausen e là morto, venne decorato di medaglia d’oro al valor<br />

militare.

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