SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Il suo capo, Mussolini, è ancora in Germania, ospite di Hitler dopo la liberazione dalla prigionia del Gran Sasso; appare come un uomo abulico e sfiduciato che non vede l’ora di abbandonare la vita pubblica. Nel suo secondo ed ultimo colloquio col Führer, a Rastenburg, il duce esprime infatti l’intenzione di ritirarsi, con la famiglia, alla Rocca delle Caminate: è il solo modo – dice, a giustificazione – per evitare una guerra civile in Italia. Hitler lo interrompe con una esclamazione volgare: Quatsch! (sciocchezze). Se si ritira – gli spiega – tutto il mondo saprà che Mussolini non crede più nella vittoria tedesca. Il problema è diverso, continua Hitler. L’Italia ha tradito e deve essere punita. Forse il fronte dovrà ritirarsi da Napoli fino al Po o, addirittura, alle Alpi; saranno necessarie, allora, durissime e spietate leggi, la «terra bruciata», ad esempio: «solo misure di una durezza barbarica possono salvare l’Italia». Esiste – è vero – un governo provvisorio fascista ma è soltanto un espediente per la propaganda, non conta nulla se il duce non è alla sua testa. Mussolini, adesso, deve ritornare nell’Italia Settentrionale, creare una repubblica fascista, far processare e giustiziare i traditori del 25 luglio (e, chiarito brutalmente quest’ultimo concetto, Hitler concede all’interlocutore un «Capisco, duce, i vostri sentimenti familiari»). Bisogna dare al mondo, insomma, la riconferma della solidarietà dell’Asse. Mussolini torna in Italia per formare uno «Stato nazionale e sociale» Per oltre due ore Mussolini non na fiatato ma è evidente che si è convinto. Per salvare almeno la faccia rivolge a Hitler qualche domanda, come per esempio se non sarebbe il caso di iniziare trattative con l’Unione Sovietica. Hitler scuote la testa: «No, no, non è proprio il caso», replica secco. L’indomani Mussolini incontra ancora una volta i rappresentanti dei governo provvisorio e il 18 settembre – per la prima volta dopo il 25 luglio – pronuncia un discorso pubblico parlando alla radio di Monaco di Baviera in una trasmissione diretta all’Italia. Racconterà la moglie Rachele nelle memorie: «Parlò in una piccola stanza trasformata in sala tramissione e io gli rimasi vicina, cercando spesso il suo sguardo. Amava il contatto diretto con la folla e in generale con chiunque lo stesse ascoltando; perciò attesi con ansia le sue parole». In tono febbrile, masticando un po’ le parole e talvolta sbagliando pronuncia, la voce di Mussolini esce dagli apparecchi radio quasi irriconoscibile al punto che già dalla frase iniziale («Camicie nere, italiane e italiani…») sorge in qualcuno degli ascoltatori il sospetto che il duce, in realtà, sia morto e un altro parli al suo posto. Nel discorso radio Mussolini afferma di voler instaurare «uno Stato nazionale e sociale» che: 1) deve riprendere le armi a fianco della Germania, del Giappone e degli altri alleati; 2) deve preparare, senza indugio, la riorganizzazione delle forze armate attorno alle formazioni della vecchia milizia fascista; 3) deve eliminare i traditori e in particolar modo quelli che, fino alle 21.30 del 25 luglio 1943, militavano, talora da parecchi anni, nelle file del partito ed erano passati in quelle dei nemico; 4) deve «annientare le plutocrazie parassitarie» e fare del lavoro, finalmente, il soggetto dell’economia e la base infrangibile dello Stato. L’indomani mattina Pavolini vola in Italia a cercare adesioni al programma appena enunciato dal suo capo. Arrivato a Roma riapre a sede del partito fascista a Palazzo WedeKind sorvegliata da «tristi figuri con autoblindo e mitragliatrici» che danno all’insieme l’aspetto di «una guarnigione nemica assediata». Le trattative vanno avanti stentatamente per una settimana ma urtano contro l’indifferenza, il timore, le gelosie e le ripicche fra ex gerarchi: «La formazione del nuovo governo fascista repubblicano da parte di Pavolini», scrive in un rapporto a Berlino il console tedesco Wuster, «è stata ora tragicommedia piena di intrighi disgustosi e di occulte rivalità».

Mussolini ritorna in Italia la mattina di giovedì 23 settembre a bordo di un aereo militare tedesco che atterra a Forlì poco prima delle 11. Il duce, magro e pallidissimo, indossa una divisa della milizia senza gradi né decorazioni; la camicia nera se l’è fatta prestare dall’ambasciatore italiano a Berlino, Filippo Anfuso. Sulla pista lo attendono Rahn e Wolff. Fuori dell’aeroporto non vi è folla e deserte sono anche le strade che conducono alla Rocca delle Caminate. L’opinione pubblica è rimasta scettica e indifferente alla ricomparsa del duce. Nel Nord Italia la vita diventa ancora più dura Anche se l’armistizio è stato firmato da due settimane, per la gente del Centro-Nord – dal Lazio al Trentino, dal Piemonte ai Veneto – è come se la guerra guerreggiata continuasse: incursioni aeree, mitragliamenti di treni, razzie di ebrei, di soldati sbandati e di uomini validi al lavoro, negozi bombardati, fabbriche ferme, penuria di tutto e una snervante attesa di avvenimenti sensazionali, alimentata dalle «voci» più strane, uno sbarco americano a Genova, la pace fra Germania e URSS, la prossima comparsa di armi nuove e straordinarie come un gas paralizzante e una «bomba al radium» (forse una vaga eco sulle ricerche nucleari che si stanno conducendo negli Stati Uniti). Le campagne del Piemonte, della Lombardia e dell’Emilia sono gremite di benestanti che allungano le vacanze d’agosto nell’attesa della conclusione del conflitto e di sfollati che danno fondo agli ultimi soldi pur di sfuggire ai bombardamenti e alla morsa della fame dei grandi centri urbani. Roma, Milano, Torino e Genova sono città semideserte, grigie, disperate. Manca l’energia elettrica; soltanto a ottobre, dopo oltre un mese di interruzione, riprenderà l’erogazione del gas per sei ore al giorno (dalle 7 alle 8; dalle 11 alle 14 e dalle 18.30 alle 20.30). Le telefonate interurbane sono sospese, i telegrammi non vengono accettati, la posta funziona saltuariamente. Auto, camion e furgoni sono spariti dalla circolazione, requisiti, distrutti o nascosti; in giro vi sono soltanto le lente e fumose vetture a metano e a carbonella. Il giornale costa 30 centesimi. Benché ridotto ad un solo foglio e mutilato dalla censura militare tedesca, rimane l’unico strumento per intuire, se non per sapere, che cosa accade in Italia e nel mondo. Le sue cronache sono ancora quelle di guerra (annunci di razionamenti; ricerche di posti-letto per i sinistrati; norme per l’accesso ai rifugi antiaerei; comunicati della Croce Rossa Internazionale; generici appelli alla calma; ordinanze tedesche pubblicate in due lingue) e anche nelle colonne riservate alla pubblicità rimane l’eco tragica del conflitto appena concluso con decine di necrologi che cominciano così: «In generosa e impari lotta donava la vita per la Patria il sottotenente… »; «È caduto per l’Italia il capitano… »; «Combattendo con la sua nave nel mare della Sicilia si è immolato il guardiamarina… ». Non ci sono notizie liete; le uniche riguardano il tempo perché la seconda metà del settembre 1943 è bellissima, con «dolci e limpide giornate: da quasi mezzo secolo Roma non ha avuto un settembre caldo come questo». A Genova si continuano a fare i bagni di mare (ufficialmente vietati) e molti dei 552.544 sfollati e «pendolari» di Milano – scrive il Corriere della Sera – possono ancora risolvere il problema dell’alloggio per la notte dormendo all’aperto, in tende o baracche di fortuna. La gente è affamata (la razione di pane è scesa in Lombardia a soli 45 grammi giornalieri; una pagnottina scura, piena d’acqua, mal cotta e gommosa); i divertimenti sono pochi. A Milano funzionano quattro teatri; ventuno sale cinematografiche proiettano film tedeschi (Ragazza indiavolata con Marika Rokk), cecoslovacchi (La città d’oro) o vecchie pellicole italiane (Tristi amori con Luisa Ferida e Gino Cervi). Non ci sono riviste di varietà. li primo spettacolo leggero – Gambe al vento della compagnia di Nuto Navarrini – andrà in scena

Il suo capo, Mussolini, è ancora in Germania, ospite di Hitler dopo la liberazione dalla<br />

prigionia del Gran Sasso; appare come un uomo abulico e sfiduciato che non vede l’ora di<br />

abbandonare la vita pubblica. Nel suo secondo ed ultimo colloquio col Führer, a<br />

Rastenburg, il duce esprime infatti l’intenzione di ritirarsi, con la famiglia, alla Rocca delle<br />

Caminate: è il solo modo – dice, a giustificazione – per evitare una guerra civile in Italia.<br />

Hitler lo interrompe con una esclamazione volgare: Quatsch! (sciocchezze). Se si ritira – gli<br />

spiega – tutto il mondo saprà che Mussolini non crede più nella vittoria tedesca.<br />

Il problema è diverso, continua Hitler. L’Italia ha tradito e deve essere punita. Forse il<br />

fronte dovrà ritirarsi da Napoli fino al Po o, addirittura, alle Alpi; saranno necessarie, allora,<br />

durissime e spietate leggi, la «terra bruciata», ad esempio: «solo misure di una durezza<br />

barbarica possono salvare l’Italia».<br />

Esiste – è vero – un governo provvisorio fascista ma è soltanto un espediente per la<br />

propaganda, non conta nulla se il duce non è alla sua testa. Mussolini, adesso, deve<br />

ritornare nell’Italia Settentrionale, creare una repubblica fascista, far processare e<br />

giustiziare i traditori del 25 luglio (e, chiarito brutalmente quest’ultimo concetto, Hitler<br />

concede all’interlocutore un «Capisco, duce, i vostri sentimenti familiari»). Bisogna dare al<br />

mondo, insomma, la riconferma della solidarietà dell’Asse.<br />

Mussolini torna in Italia per formare uno «Stato nazionale e sociale»<br />

Per oltre due ore Mussolini non na fiatato ma è evidente che si è convinto. Per salvare<br />

almeno la faccia rivolge a Hitler qualche domanda, come per esempio se non sarebbe il<br />

caso di iniziare trattative con l’Unione Sovietica. Hitler scuote la testa: «No, no, non è<br />

proprio il caso», replica secco. L’indomani Mussolini incontra ancora una volta i<br />

rappresentanti dei governo provvisorio e il 18 settembre – per la prima volta dopo il 25<br />

luglio – pronuncia un discorso pubblico parlando alla radio di Monaco di Baviera in una<br />

trasmissione diretta all’Italia. Racconterà la moglie Rachele nelle memorie: «Parlò in una<br />

piccola stanza trasformata in sala tramissione e io gli rimasi vicina, cercando spesso il suo<br />

sguardo. Amava il contatto diretto con la folla e in generale con chiunque lo stesse<br />

ascoltando; perciò attesi con ansia le sue parole». In tono febbrile, masticando un po’ le<br />

parole e talvolta sbagliando pronuncia, la voce di Mussolini esce dagli apparecchi radio<br />

quasi irriconoscibile al punto che già dalla frase iniziale («Camicie nere, italiane e<br />

italiani…») sorge in qualcuno degli ascoltatori il sospetto che il duce, in realtà, sia morto e<br />

un altro parli al suo posto.<br />

Nel discorso radio Mussolini afferma di voler instaurare «uno Stato nazionale e sociale»<br />

che: 1) deve riprendere le armi a fianco della Germania, del Giappone e degli altri alleati;<br />

2) deve preparare, senza indugio, la riorganizzazione delle forze armate attorno alle<br />

formazioni della vecchia milizia fascista; 3) deve eliminare i traditori e in particolar modo<br />

quelli che, fino alle 21.30 del 25 luglio 1943, militavano, talora da parecchi anni, nelle file<br />

del partito ed erano passati in quelle dei nemico; 4) deve «annientare le plutocrazie<br />

parassitarie» e fare del lavoro, finalmente, il soggetto dell’economia e la base infrangibile<br />

dello Stato.<br />

L’indomani mattina Pavolini vola in Italia a cercare adesioni al programma appena<br />

enunciato dal suo capo. Arrivato a Roma riapre a sede del partito fascista a Palazzo<br />

WedeKind sorvegliata da «tristi figuri con autoblindo e mitragliatrici» che danno all’insieme<br />

l’aspetto di «una guarnigione nemica assediata». Le trattative vanno avanti stentatamente<br />

per una settimana ma urtano contro l’indifferenza, il timore, le gelosie e le ripicche fra ex<br />

gerarchi: «La formazione del nuovo governo fascista repubblicano da parte di Pavolini»,<br />

scrive in un rapporto a Berlino il console tedesco Wuster, «è stata ora tragicommedia<br />

piena di intrighi disgustosi e di occulte rivalità».

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