SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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Documenti e testimonianze Tancredi Galimberti, uno dei padri della Resistenza Fra gli iniziatori del movimento di liberazione c’è una figura – quella dell’avvocato Tancredi Galimberti, «Duccio», futuro eroe nazionale e medaglia d’oro della Resistenza – che condensa in sé i motivi più profondi che spingono i singoli e le masse ad impugnare le armi contro i tedeschi ed i fascisti. Galimberti nasce a Cuneo il 30 aprile 1906, secondo di due fratelli, in una famiglia della ricca borghesia che ha lontane origini svizzere. li nonno, Bartolomeo, aveva fondato un settimanale locale, La Sentinella delle Alpi: la madre, Alice Schanzer, di discendenza polacca, era donna di cultura raffinata; il padre, Lorenzo Tancredi Galimberti, divenuto avvocato ed entrato in politica, era stato sottosegretario all’istruzione nel ministero Di Rudini del 1896 e poi ministro delle Poste con Zanardelli e Giolitti. Nazionalista, rappresentante della sinistra piemontese liberale e radicale, aveva appoggiato il fascismo al suo sorgere ma dopo il delitto Matteotti, sfiduciato, si era ritirato dalla vita pubblica salvo una breve apparizione, ancora nel 1929, quando Vittorio Emanuele III lo aveva nominato senatore del regno assieme ad Enrico De Nicola. Tuttavia né l’estrazione borghese né la particolare condizione del padre impediscono al giovane Galimberti di respingere la dittatura fascista e orientarsi verso le idee mazziniane e repubblicane: del resto il fratello maggiore, Carlo Enrico, si è già indirizzato al marxismo. Quando, ventenne, «Duccio» Galimberti si laurea a Torino in diritto penale, a pieni voti, con lode e dignità di stampa, rifiuta di iscriversi al partito fascista nonostante le molte pressioni: lo stesso fermo diniego oppone, nel 1936, quando presta servizio militare nel battaglione «Dronero» del 2° alpini. Forzatamente escluso dalla vita pubblica, si immerge nel culto della famiglia, si dedica con passione alla scherma e all’alpinismo, studia, scrive saggi giuridici, diventa l’animatore di un cenacolo politico-letterario, partecipa alla elaborazione di un «progetto di Costituzione confederale europea e interna». All’azione Galimberti è spinto soltanto quando vede l’Italia sconvolta dalle rovine della guerra. Specie dopo la scomparsa dei genitori avvenuta verso il 1939, cerca quei contatti con il fronte antifascista che lo portano prima ad entrare nelle file del Partito d’Azione, poi alla cospirazione ed infine alla lotta armata. Già da questo momento (inizio del 1943) «Duccio» fa una diagnosi precisa del futuro politico-militare dell’Italia; la sua convinzione infatti è che «un giorno o l’altro sarà necessario scendere in lotta contro i tedeschi per salvare la nostra indipendenza e affermare a nostra dignità militare» e che in quella lotta «non si potrà fare alcun assegnamento sulle autorità ufficiali ma sarà necessario stimolare una iniziativa popolare». «Duccio ha dichiarato guerra alla Germania» Di lì a pochi mesi la «profezia» di Galimberti trova drammatica conferma nel colpo di Stato del 25 luglio. Invasa la Sicilia dagli Alleati, Vittorio Emanuele III – per salvare la corona – ha separato «in extremis» le proprie responsabilità da quelle del fascismo e dimesso Mussolini, ma sia lui che il suo Primo Ministro Badoglio, troppo compromessi col regime e timorosi delle reazioni tedesche, non hanno il coraggio di annunciare contemporaneamente il distacco dalla Germania nazista Ecco, allora, il famoso proclama di Badoglio dove si dice che «la guerra continua».
Il 25 luglio 1943 Galimberti è a Torino ma l’indomani, lunedì, accorre a Cuneo in treno e si incontra con gli amici nel suo studio di avvocato. È in programma un comizio in piazza Vittorio e, all’ultimo momento, un negoziante di materiale radiofonico mette a disposizione un microfono e alcuni amplificatori. Gli oratori designati sono Galimberti e Dino Giacosa. Il primo a parlare è «Duccio»: «Sì», dice, «la guerra continua ma fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana ma non si accorda ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani». L’analisi del 25 luglio è così chiara e spietata, così rigorosa, che la sera stessa il governo militare di Badoglio fa spiccare mandato di cattura contro «Duccio». I biografi di Galimberti rilevano che il discorso di piazza Vittorio suscitò fra la gente contrastanti reazioni. Qualcuno, illuso che i tedeschi – se non fossero stati provocati – avrebbero accettato che l’Italia uscisse liberamente dal conflitto e avrebbero ritirato le loro divisioni al di là del Brennero, lo commentò con sarcasmo dicendo che «Duccio ha dichiarato guerra alla Germania». In realtà Galimberti è persuaso che una guerra contro i nazisti sia «indispensabile ed inevitabile» e che l’unica carta in mano dell’Italia, quando si giungerà alla pace, sia proprio il suo contributo alla sconfitta tedesca. Coerente a queste convinzioni, due giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre, Galimberti parte da Cuneo, in bicicletta, per la Valle Gesso e raggiunge Madonna del Colletto, «un piccolo colle, una piccola chiesa», dove con undici amici costituisce la danda azionista «Italia libera». Il 28 novembre 1944 Galimberti, diventato capo della direzione militare del CLN piemontese, è catturato dai fascisti a Torino in una panetteria dov’era il recapito clandestino del comando partigiano. Vani risultano i tentativi del CLN di trattare la sua liberazione attraverso uno scambio di prigionieri. La sera del 2 dicembre Galimberti è trasferito a Cuneo, percosso a sangue nella caserma delle brigate nere e quindi, alle prime luci del giorno 4, trasferito in macchina nei pressi di Centallo e ucciso a raffiche di mitra in aperta campagna. Appena avuta la tragica notizia il CLN piemontese, riunito in seduta plenaria e solenne, proclama Tancredi Galimberti eroe nazionale. Giuseppe Mayda Autunno 1943: per gli italiani inizia il periodo più nero della guerra Gli italiani che comprano il giornale la mattina di giovedì 16 settembre 1943, festa di Sant’Eufemia vergine, leggono in prima pagina, fra le notizie sull’erogazione dell’acqua, il rinvio degli esami di riparazione, la distribuzione annonaria di legumi e marmellata e la riduzione provvisoria della razione di pane, che Benito Mussolini «ha ripreso la direzione del fascismo». È, questo, l’atto di nascita del nuovo regime – «la repubblichina», la chiamerà Calosso da Radio Londra con un termine di reminiscenze alfieriane destinato a restare – sotto il quale due terzi dell’Italia dovranno vivere ancora 587 giorni di guerra. Prima di nascere, la repubblica di Mussolini ha fatto in tempo a cambiare nome tre volte («Stato Fascista Repubblicano», «Stato Nazionale Repubblicano d’Italia» e, infine, «Repubblica Sociale Italiana», che i cronisti abbrevieranno in RSI) ma del fascismo che risorge il giudizio più acuto e immediato è quello del giornale clandestino del Partito d’Azione, L’Italia Libera, che circola nelle fabbriche e nelle università: «Uno Stato e un governo nati per volontà altrui e destinati a tornare nel nulla».
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Documenti e testimonianze<br />
Tancredi Galimberti, uno dei padri della Resistenza<br />
Fra gli iniziatori del movimento di liberazione c’è una figura – quella dell’avvocato Tancredi<br />
Galimberti, «Duccio», futuro eroe nazionale e medaglia d’oro della Resistenza – che<br />
condensa in sé i motivi più profondi che spingono i singoli e le masse ad impugnare le<br />
armi contro i tedeschi ed i fascisti.<br />
Galimberti nasce a Cuneo il 30 aprile 1906, secondo di due fratelli, in una famiglia della<br />
ricca borghesia che ha lontane origini svizzere. li nonno, Bartolomeo, aveva fondato un<br />
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polacca, era donna di cultura raffinata; il padre, Lorenzo Tancredi Galimberti, divenuto<br />
avvocato ed entrato in politica, era stato sottosegretario all’istruzione nel ministero Di<br />
Rudini del 1896 e poi ministro delle Poste con Zanardelli e Giolitti. Nazionalista,<br />
rappresentante della sinistra piemontese liberale e radicale, aveva appoggiato il fascismo<br />
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salvo una breve apparizione, ancora nel 1929, quando Vittorio Emanuele III lo aveva<br />
nominato senatore del regno assieme ad Enrico De Nicola.<br />
Tuttavia né l’estrazione borghese né la particolare condizione del padre impediscono al<br />
giovane Galimberti di respingere la dittatura fascista e orientarsi verso le idee mazziniane e<br />
repubblicane: del resto il fratello maggiore, Carlo Enrico, si è già indirizzato al marxismo.<br />
Quando, ventenne, «Duccio» Galimberti si laurea a Torino in diritto penale, a pieni voti,<br />
con lode e dignità di stampa, rifiuta di iscriversi al partito fascista nonostante le molte<br />
pressioni: lo stesso fermo diniego oppone, nel 1936, quando presta servizio militare nel<br />
battaglione «Dronero» del 2° alpini. Forzatamente escluso dalla vita pubblica, si immerge<br />
nel culto della famiglia, si dedica con passione alla scherma e all’alpinismo, studia, scrive<br />
saggi giuridici, diventa l’animatore di un cenacolo politico-letterario, partecipa alla<br />
elaborazione di un «progetto di Costituzione confederale europea e interna».<br />
All’azione Galimberti è spinto soltanto quando vede l’Italia sconvolta dalle rovine della<br />
guerra. Specie dopo la scomparsa dei genitori avvenuta verso il 1939, cerca quei contatti<br />
con il fronte antifascista che lo portano prima ad entrare nelle file del Partito d’Azione, poi<br />
alla cospirazione ed infine alla lotta armata.<br />
Già da questo momento (inizio del 1943) «Duccio» fa una diagnosi precisa del futuro<br />
politico-militare dell’Italia; la sua convinzione infatti è che «un giorno o l’altro sarà<br />
necessario scendere in lotta contro i tedeschi per salvare la nostra indipendenza e<br />
affermare a nostra dignità militare» e che in quella lotta «non si potrà fare alcun<br />
assegnamento sulle autorità ufficiali ma sarà necessario stimolare una iniziativa popolare».<br />
«Duccio ha dichiarato guerra alla Germania»<br />
Di lì a pochi mesi la «profezia» di Galimberti trova drammatica conferma nel colpo di Stato<br />
del 25 luglio. Invasa la Sicilia dagli Alleati, Vittorio Emanuele III – per salvare la corona –<br />
ha separato «in extremis» le proprie responsabilità da quelle del fascismo e dimesso<br />
Mussolini, ma sia lui che il suo Primo Ministro Badoglio, troppo compromessi col regime e<br />
timorosi delle reazioni tedesche, non hanno il coraggio di annunciare<br />
contemporaneamente il distacco dalla Germania nazista Ecco, allora, il famoso proclama di<br />
Badoglio dove si dice che «la guerra continua».