SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

«No. Anzi, vi prego di tenere presente che io, ancora oggi, non ho alcun desiderio particolare di far nascere una nuova polemica su chi abbia effettivamente liberato Mussolini. Non intendo, insomma, discutere con il signor Skorzeny. Noi due viviamo in mondi totalmente diversi: lui si è autodefinito un “avventuriero” ed ha presentato la spedizione sul Gran Sasso, come la sua “avventura Mussolini”; lui ha visto la guerra del suo Führer con occhi del tutto diversi dai miei e con mentalità altrettanto diversa. Io ero un soldato, con gli impegni di un soldato. Quando mi ordinarono di liberare Mussolini, mi comportai in base ai miei principi, non ultimo quello di raggiungere lo scopo con il minimo sacrificio di vite umane. In questo sono riuscito e ne sono soddisfatto. Non mi interessavano le decorazioni né, tanto meno, mi lusingava la pubblicità. Mi lascia del tutto indifferente il fatto che l’opinione pubblica, ancora oggi, presti fede alla propaganda di allora. Nel corso degli anni, col progredire degli studi storico-militari, sarà fatta piena luce su questo come su altri avvenimenti magari più importanti». «Lei ritiene che l’azione del Gran Sasso, da lei diretta, fu condotta in ogni senso con correttezza militare?». «C’è un episodio, in questa vicenda. che non amo ricordare. Si tratta dell’utilizzazione del generale italiano Soleti in qualità di ostaggio. Non fu un bel gesto. Andare all’assalto contro una postazione nemica spingendo avanti degli ostaggi non fa parte della regola. Per la verità, l’idea di servirsi del generale Soleti, per impedire agli italiani di aprire il fuoco, fu di Skorzeny e del suo aiutante Radl. Essi rapirono l’ufficiale italiano alla maniera, diciamo, dei gangster e lo caricarono a forza su uno degli alianti: un modo di agire tipicamente SS».

Capitolo sessantanovesimo Nasce la Resistenza Racconta il maggiore degli alpini Luigi Marchesi, ufficiale in servizio di Stato Maggiore e comprimario nella cerimonia della firma dell’armistizio a Cassibile, che nel tardo pomeriggio dell’8 settembre 1943 accompagnò Pietro Badoglio alla sede romana dell’EIAR in via Asiago. Il vecchio maresciallo «era molto triste e depresso; era giunto forse al momento più infelice della sua vita di soldato». Portato dinanzi ai microfoni, alle 19.45 Badoglio lesse «con evidente sforzo, ma con voce chiara e ferma», il proclama con cui annunciava la cessazione delle ostilità contro gli Alleati. Era una notizia attesa, eppure ebbe l’effetto di una mazzata. «E adesso?» si chiesero milioni di persone. L’avvenire incombeva minaccioso come un temporale, e gli italiani se ne rendevano conto. Quella sera stessa, poche ore dopo il proclama di Badoglio, a Roma in via Adda si riuniscono sei persone: Ivanoe Bonomi, Alessandro Casati, Alcide De Gasperi, Mauro Scoccimarro, Pietro Nenni e Ugo La Malfa. Rappresentano altrettanti partiti e cioè, nell’ordine, la Democrazia del lavoro, il Partito Liberale, la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano, il Partito Socialista e il Partito d’Azione. Nel corso della riunione i sei uomini formano il Comitato di Liberazione Nazionale. L’indomani mattina, mercoledì, Pietro Nenni telefona ai suoi amici di Milano e li informa della costituzione del CLN. Sabato 12 settembre prende il treno e, fortunosamente, raggiunge il capoluogo lombardo. A Milano, nello studio dell’avvocato liberale Giustino Arpesani, Nenni informa gli amici sui più recenti avvenimenti di Roma, compresi i combattimenti di Porta San Paolo contro i tedeschi; dice che l’ora della lotta armata è scoccata e propone a Ferruccio Parri di assumere il comando delle formazioni partigiane. Parri è l’uomo ideale per questo incarico: antifascista cristallino, durante la Prima Guerra Mondiale si era meritato decorazioni al valore e, pur essendo ufficiale di complemento, per le sue eccezionali qualità era stato assegnato al servizio di Stato Maggiore, dove aveva lavorato magnificamente: pochi sanno, per esempio, che era stato lui ad avere l’idea di formare dei reparti speciali d’assalto, quelli che poi si chiamarono «arditi». Nascono i primi CLN Alla proposta di Nenni sorprendentemente Parri risponde che gli sembra ancora troppo presto, che la situazione appare confusa. Intanto però anche a Milano il comitato interpartitico si trasforma in CLN; l’esitazione di Parri non può cancellare la realtà dei fatti: ci si avvia alla lotta armata. Anzi, la battaglia è già cominciata. Nemmeno nelle altre città si sta con le mani in mano. A Torino il CLN nasce in una saletta riservata del ristorante Canelli; a Genova già dal 10 settembre esiste un comando unificato antifascista nel quale compare una figura che diventerà famosa: il medico Ottorino Balduzzi, fondatore della rete informativa «Otto»; a Padova il CLN si forma nell’università, attorno a tre grandi figure della cultura e dell’antifascismo: Concetto Marchesi, Silvio Trentin ed Egidio Meneghetti; negli stessi giorni a Firenze il comitato interpartitico si trasforma in CLN e ne sono esponenti Piero Calamandrei, Adone Zoli e Giorgio La Pira. Praticamente, tra il 9 e il 15 settembre, la struttura democratica – affacciatasi alla ribalta

«No. Anzi, vi prego di tenere presente che io, ancora oggi, non ho alcun desiderio<br />

particolare di far nascere una nuova polemica su chi abbia effettivamente liberato<br />

Mussolini. Non intendo, insomma, discutere con il signor Skorzeny. Noi due viviamo in<br />

mondi totalmente diversi: lui si è autodefinito un “avventuriero” ed ha presentato la<br />

spedizione sul Gran Sasso, come la sua “avventura Mussolini”; lui ha visto la guerra del<br />

suo Führer con occhi del tutto diversi dai miei e con mentalità altrettanto diversa. Io ero<br />

un soldato, con gli impegni di un soldato. Quando mi ordinarono di liberare Mussolini,<br />

mi comportai in base ai miei principi, non ultimo quello di raggiungere lo scopo con il<br />

minimo sacrificio di vite umane. In questo sono riuscito e ne sono soddisfatto. Non mi<br />

interessavano le decorazioni né, tanto meno, mi lusingava la pubblicità. Mi lascia del<br />

tutto indifferente il fatto che l’opinione pubblica, ancora oggi, presti fede alla<br />

propaganda di allora. Nel corso degli anni, col progredire degli studi storico-militari, sarà<br />

fatta piena luce su questo come su altri avvenimenti magari più importanti».<br />

«Lei ritiene che l’azione del Gran Sasso, da lei diretta, fu condotta in ogni senso con<br />

correttezza militare?».<br />

«C’è un episodio, in questa vicenda. che non amo ricordare. Si tratta dell’utilizzazione<br />

del generale italiano Soleti in qualità di ostaggio. Non fu un bel gesto. Andare all’assalto<br />

contro una postazione nemica spingendo avanti degli ostaggi non fa parte della regola.<br />

Per la verità, l’idea di servirsi del generale Soleti, per impedire agli italiani di aprire il<br />

fuoco, fu di Skorzeny e del suo aiutante Radl. Essi rapirono l’ufficiale italiano alla<br />

maniera, diciamo, dei gangster e lo caricarono a forza su uno degli alianti: un modo di<br />

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