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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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(23 settembre 1943) […] Sono, sì, triste e in grande abbattimento, ma tutto qua. Una<br />

sola cosa vorrei e tornerei a pieno in me stesso: essere in Italia e poter combattere quel<br />

tedesco, che, se prima non amavo, ora odio.<br />

Spazzarli via dall’Italia, ridare un po’ di pace a questa nostra Patria così tormentata!<br />

Potrò avere questa gioia? Chi sa; certo lo desidererei tanto! […]<br />

Se gli Alleati mi offrissero di rientrare in Italia per combattere al loro fianco e liberare il<br />

suolo della nostra terra, come accetterei volentieri e che feroce nemico si<br />

guadagnerebbero i Tedeschi! Ma avverrà questo? Chi sa…<br />

(21 ottobre 1943) […] Speravo un mese fa di poterti fare avere una mia breve, ma la<br />

più violenta bufera scatenatasi sull’isola, sotto forma di nemica furia, faceva naufragare<br />

quella speranza: oggi, che questa possibilità torna a manifestarsi, accludo a questa mia<br />

odierna quella di allora. Checché la radio o voci più o meno tendenziose ti abbiano<br />

portato a credere e a pensare, dimentica tutto: tutto bene per me, per Lero Italiana, in<br />

grazia della nostra forte resistenza e della valida collaborazione inglese: mai il Tedesco<br />

riuscirà a mettere il suo piede barbaro in questa nostra piccola isola… e se<br />

diversamente dovesse accadere, i Tedeschi certo non mi avranno vivo…<br />

Il finto cappellano<br />

Un episodio della repressione tedesca in Albania contro l’Esercito italiano<br />

che ha anche del romanzesco<br />

Una dolente pagina di testimonianze storiche – quella della fucilazione da parte dei<br />

tedeschi, il 7 ottobre 1943, di trentadue ufficiali italiani a Kucy, in Albania – compare nel<br />

libro di Gabrio Lombardi, L’8 settembre fuori d’Italia, Mursia, Milano 1966.<br />

Gli ufficiali condannati a morte poterono soltanto lasciare alcuni frettolosi e disperati<br />

messaggi per le loro famiglie e ottennero di ricevere i conforti religiosi da un cappellano<br />

italiano, padre Rufino Sebenello. Soltanto nel dopoguerra si è venuti a sapere che non si<br />

trattava di un sacerdote ma dell’ingegnere Eraldo Calderia, capitano d’artiglieria, mort o<br />

a Cavaglià (Vercelli) il 16 marzo 1945. Calderia, al momento del trapasso, narrò ai<br />

familiari di avere ricevuto il saio francescano, il breviario e i documenti di padre<br />

Sebenello – disperso durante un bombardamento – da alcuni soldati che li avevano<br />

trovati per caso.<br />

Nel pomeriggio del 5 ottobre vennero circondati e fatti prigionieri circa 800 uomini,<br />

guidati dal colonnello Gustavo Lanza, comandante del 129° Reggimento fanteria della<br />

«Perugia», e dal tenente colonnello Emilio Cirino. Anche qui, l’indomani 6 ottobre, gli<br />

ufficiali furono separati, mentre i sottufficiali e i militari di truppa venivano avviati a<br />

Santi Quaranta. Gli ufficiali – una quarantina, tra cui vari medici – raggiunsero Kucy,<br />

dove pernottarono.<br />

La mattina del 7, rimasti fermi i medici, trentaquattro ufficiali vennero incolonnati e<br />

condotti in un punto dove esisteva una specie di pianoro ricoperto da alti platani.<br />

«Scendemmo la breve scarpata ed i tedeschi che ci accompagnavano si disposero su<br />

due file distanti fra loro venti metri… Ci fecero deporre gli zaini ai piedi di un platano e<br />

ci ordinarono di compilare una lista con i dati; casato, nome, generalità complete,<br />

grado, ultimo reparto comandato ed indirizzo di famiglia. La sorte era segnata. Ogni<br />

dubbio era scomparso… Non una parola: tutti avevamo la mente rivolta alla famiglia

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