SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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Secondo me soltanto un attacco notturno offriva probabilità di successo. Così lo organizzai nei particolari e penetrai verso le ore 20.00 alla testa della brigata SS in città. Qui potemmo catturare solo quegli elementi della divisione italiana che non si erano battuti seriamente. Le rimanenti unità ripiegarono in direzione sud-ovest sulle montagne. Il 14 settembre mi trattenni a Bastia per organizzare una testa di ponte. Ero a corto di fanterie, per cui dovetti rinunciare all’occupazione della penisola che da Bastia si stende verso nord. Con un’operazione del genere avrei solo ulteriormente frantumato le poche forze a mia disposizione. Quando, di sera, contento per l’occupazione di Bastia e per il ripiegamento degli italiani nell’interno dell’isola, ritornai al comando tattico, vi trovai il mio ufficiale di stato maggiore in preda alla disperazione. Era costernato per gli ordini appena arrivati. Hitler ordinava di fucilare tutti gli ufficiali italiani e di comunicargli in serata i nomi dei fucilati. L’ordine era basato su una direttiva generica del comando supremo della Wehrmacht per cui tutti gli ufficiali italiani catturati dopo il 10 settembre dovevano essere trattati come franchi tiratori e fucilati, qualora avessero combattuto dopo tale data. Gli ufficiali italiani avevano obbedito al loro governo legittimo. La maggioranza dei circa duecento ufficiali catturati avevano preferito la prigionia tedesca all’alternativa di arrendersi, seppure temporaneamente, alle forze francesi libere, nella speranza di rientrare così più presto in Italia. Inoltre avevano molti amici tra i vecchi alleati, dai quali vennero cordialmente accolti. A questo punto mi resi conto che era venuto per me il momento di rifiutare l’obbedienza. Parlai subito via radio, con l’apparecchio a onde ultracorte, con il feldmaresciallo Kesselring e gli comunicai che mi rifiutavo di eseguire l’ordine. Il feldmaresciallo accolse senza commenti la mia dichiarazione e mi assicurò che l’avrebbe ritrasmessa al comando supremo della Wehrmacht. Presi le opportune disposizioni perché gli ufficiali prigionieri venissero trasferiti immediatamente sul continente, dove l’ordine di fucilazione non poteva essere ancora noto. Devo essere grato al feldmaresciallo Kesselring, perché questi accettò in certo qual modo il mio rifiuto di obbedienza e non prese alcun provvedimento a mio carico. La situazione sull’isola era mutata in seguito all’arrivo di nuove disposizioni. Il capo di stato maggiore del comando in capo sud era arrivato il 13 settembre con la direttiva di non difendere l’isola, ma di trasferire tutte le forze tedesche sul continente. Ciò non rendeva superflua l’occupazione di Bastia, ma non mi obbligava più a pensare all’occupazione di tutta l’isola. L’evacuazione dei trentamila uomini, di cui due terzi dell’esercito e un terzo dell’aviazione, poteva riuscire soltanto per via aerea dai due campi di aviazione di Ghisonaccia e Borgo Bastia. La lunga rotabile orientale dovette essere sgomberata un po’ alla volta, e questa operazione richiese continue misure difensive sul versante ovest. Era previsto un imbarco giornaliero di tremila uomini. Contemporaneamente alla radunata dei contingenti di evacuazione fu necessario ampliare la testa di ponte di Bastia e rafforzare ulteriormente la protezione della rotabile orientale. Queste misure comportavano una tale diluizione della fanteria da rendere impossibili operazioni a carattere offensivo contro il massiccio montano centrale. Persino alcune azioni dei reparti d’assalto contro i depositi della sussistenza a Ghisoni e a Quenza, nell’interno dell’isola, caduti in mano del nemico, fallirono. Ancora più che in Sicilia fu palese qui che è facile difendersi contro i carri armati sulle strade di montagna e distruggerli mediante imboscate. Benché la situazione esigesse la concentrazione di tutti gli sforzi sulle operazioni di sgombero e sulla salvezza degli uomini e dei materiali, il capo di stato maggiore del
gruppo di armate, generale Westphal, portò ancora in data 16 settembre un ordine del comando in capo sud per cui dovevano muovere all’attacco lungo la rotabile che attraversa l’isola da nord a sud, passando per le montagne, e lungo la quale si stava radunando l’avversario, e così conquistare un’altra volta, prima dello sgombero, l’isola. Lo stesso generale Westphal era un ufficiale di stato maggiore troppo esperto per non rendersi conto dell’assurdità di quest’ordine. Egli condivideva la mia opinione sulla situazione, da me espressa con molta energia, e la sostenne dopo il suo ritorno al comando in capo sud. Quest’ultimo si dichiarò ancora in serata d’accordo con quanto avevo prospettato. Il 19 settembre il feldmaresciallo Kesselring, un uomo che non paventava alcun pericolo, arrivò personalmente sull’isola e diede ulteriori disposizioni per lo sgombero. «I tedeschi non mi avranno» Patriottismo, avversione al fascismo che ha portato l’Italia allo sfascio e l’odio di sempre per i tedeschi nelle lettere di un difensore di Lero Il sottotenente Corrado Spagnolo, nato a Monza nel 1923 e medaglia d’oro al valor militare, fu il più giovane caduto nella difesa di Lero, l’isola fortificata dell’Egeo. Studente di ingegneria, Spagnolo era stato destinato al 47° Reggimento di artiglieria a Bari e di là era partito per Lero nell’aprile 1942. Arrivato nell’isola, il giovane ufficiale venne aggregato alla Marina ed ebbe un comando nelle batterie contraeree. Queste che pubblichiamo sono le sue tre ultime lettere, dirette ad amici e a persone care. Nella prima, del 26 agosto, l’ufficiale commenta amareggiato la notizia dello sbarco in Sicilia; nella seconda esterna la sua indignazione per la brutale reazione tedesca al nostro armistizio; nella terza, infine, riferisce dei momenti drammatici che sta vivendo il suo presidio quasi presagio della propria fine. Il 12 novembre 1943 i tedeschi sbarcarono a Lero. Uno dei loro gruppi corazzati si diresse alla montagna dov’era appostata la batteria «Lago» comandata da Spagnolo: colpito da una bomba a mano mentre difendeva il suo cannone, Spagnolo cadde mortalmente ferito e spirò l’indomani in un ospedaletto da campo . (26 agosto 1943) Scusami se da lungo tempo non mi faccio più vivo: gli ultimi avvenimenti mi hanno quasi stordito, mi hanno fatto chiudere in me e meditare sui destini della Patria e nostro. Inutile dirti le mie conclusioni; meglio per ora che le rinchiuda in me. Ti basti l’ironica espressione che mi è venuta spontanea alle labbra alla notizia di grandiose manifestazioni in Italia al grido di «Viva la libertà»: toh! il popolo degli schiavi grida «Viva la libertà!». È buffo sai; e dolorose sono le conseguenze che ne ho tratte. E mentre questo popolo inetto si perde in queste stupide manifestazioni, lo straniero calpesta il sacro suolo d’Italia! Possa Badoglio riuscire a scuotere questo popolo, a fargli comprendere che andiamo verso la totale schiavitù. La misera fine della Sicilia, dove a chiacchiere avremmo dovuto mettere orizzontale il nemico, ci ammonisca. Si muoia pure tutti, prima noi giovani, cui la vita e l’amore più sorride, ma si salvi l’Italia! Ma forse questo nostro popolo non è in grado d’intendere questo grido che mi viene dal cuore, e, vile, seguiterà a pensare, come ha pensato fino ad oggi (e in questo è la ragione per cui il fascismo ha durato vent’anni), al suo egoistico benessere, che rifugge dal sacrificio e dalla lotta per il santo nome d’Italia.
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Secondo me soltanto un attacco notturno offriva probabilità di successo. Così lo<br />
organizzai nei particolari e penetrai verso le ore 20.00 alla testa della brigata SS in città.<br />
Qui potemmo catturare solo quegli elementi della divisione italiana che non si erano<br />
battuti seriamente. Le rimanenti unità ripiegarono in direzione sud-ovest sulle<br />
montagne.<br />
Il 14 settembre mi trattenni a Bastia per organizzare una testa di ponte. Ero a corto di<br />
fanterie, per cui dovetti rinunciare all’occupazione della penisola che da Bastia si stende<br />
verso nord. Con un’operazione del genere avrei solo ulteriormente frantumato le poche<br />
forze a mia disposizione. Quando, di sera, contento per l’occupazione di Bastia e per il<br />
ripiegamento degli italiani nell’interno dell’isola, ritornai al comando tattico, vi trovai il<br />
mio ufficiale di stato maggiore in preda alla disperazione. Era costernato per gli ordini<br />
appena arrivati. Hitler ordinava di fucilare tutti gli ufficiali italiani e di comunicargli in<br />
serata i nomi dei fucilati. L’ordine era basato su una direttiva generica del comando<br />
supremo della Wehrmacht per cui tutti gli ufficiali italiani catturati dopo il 10 settembre<br />
dovevano essere trattati come franchi tiratori e fucilati, qualora avessero combattuto<br />
dopo tale data.<br />
Gli ufficiali italiani avevano obbedito al loro governo legittimo. La maggioranza dei circa<br />
duecento ufficiali catturati avevano preferito la prigionia tedesca all’alternativa di<br />
arrendersi, seppure temporaneamente, alle forze francesi libere, nella speranza di<br />
rientrare così più presto in Italia. Inoltre avevano molti amici tra i vecchi alleati, dai<br />
quali vennero cordialmente accolti.<br />
A questo punto mi resi conto che era venuto per me il momento di rifiutare<br />
l’obbedienza. Parlai subito via radio, con l’apparecchio a onde ultracorte, con il<br />
feldmaresciallo Kesselring e gli comunicai che mi rifiutavo di eseguire l’ordine. Il<br />
feldmaresciallo accolse senza commenti la mia dichiarazione e mi assicurò che l’avrebbe<br />
ritrasmessa al comando supremo della Wehrmacht. Presi le opportune disposizioni<br />
perché gli ufficiali prigionieri venissero trasferiti immediatamente sul continente, dove<br />
l’ordine di fucilazione non poteva essere ancora noto. Devo essere grato al<br />
feldmaresciallo Kesselring, perché questi accettò in certo qual modo il mio rifiuto di<br />
obbedienza e non prese alcun provvedimento a mio carico.<br />
La situazione sull’isola era mutata in seguito all’arrivo di nuove disposizioni. Il capo di<br />
stato maggiore del comando in capo sud era arrivato il 13 settembre con la direttiva di<br />
non difendere l’isola, ma di trasferire tutte le forze tedesche sul continente. Ciò non<br />
rendeva superflua l’occupazione di Bastia, ma non mi obbligava più a pensare<br />
all’occupazione di tutta l’isola. L’evacuazione dei trentamila uomini, di cui due terzi<br />
dell’esercito e un terzo dell’aviazione, poteva riuscire soltanto per via aerea dai due<br />
campi di aviazione di Ghisonaccia e Borgo Bastia. La lunga rotabile orientale dovette<br />
essere sgomberata un po’ alla volta, e questa operazione richiese continue misure<br />
difensive sul versante ovest.<br />
Era previsto un imbarco giornaliero di tremila uomini. Contemporaneamente alla<br />
radunata dei contingenti di evacuazione fu necessario ampliare la testa di ponte di<br />
Bastia e rafforzare ulteriormente la protezione della rotabile orientale. Queste misure<br />
comportavano una tale diluizione della fanteria da rendere impossibili operazioni a<br />
carattere offensivo contro il massiccio montano centrale. Persino alcune azioni dei<br />
reparti d’assalto contro i depositi della sussistenza a Ghisoni e a Quenza, nell’interno<br />
dell’isola, caduti in mano del nemico, fallirono. Ancora più che in Sicilia fu palese qui che<br />
è facile difendersi contro i carri armati sulle strade di montagna e distruggerli mediante<br />
imboscate.<br />
Benché la situazione esigesse la concentrazione di tutti gli sforzi sulle operazioni di<br />
sgombero e sulla salvezza degli uomini e dei materiali, il capo di stato maggiore del