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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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armi personali. Cresce intanto l’impazienza tra i soldati. «Nei singoli reparti», racconterà<br />

il capitano Apollonio, «si andavano discutendo animatamente le opposte tendenze di<br />

cacciare i tedeschi o deporre le armi. Quella però di continuare la lotta a fianco delle<br />

truppe tedesche veniva perorata da elementi isolati, e senza successo. Anche da parte<br />

della popolazione greca, che in quei giorni andava sempre più fraternizzando con le<br />

truppe italiane, veniva propagandata l’assoluta necessità che le truppe tedesche<br />

venissero cacciate dall’isola». I partigiani greci chiedono armi ai soldati italiani. L’attesa<br />

si fa sempre più febbrile. Ma il comandante continua a negoziare. Perché? «La mia<br />

impressione», dichiarerà il capitano Bronzini, «era che il generale Gandin, fiducioso del<br />

proprio prestigio presso i tedeschi, sperasse con abili trattative di riuscire ad ottenere<br />

per la divisione una soluzione onorevole sotto tutti i punti di vista e conveniente per<br />

tutti».<br />

Accontentare tutti è sempre molto difficile. Gandin, d’altra parte, è circondato da ufficiali<br />

che, con due sole eccezioni (il comandante della marina Mastrangelo e il comandante<br />

dell’artiglieria Mario Romagnoli), sono tutti favorevoli alla consegna delle armi. Analogo<br />

parere esprimono sei cappellani su sette. Nell’incertezza arriva il 12 settembre, quando<br />

si sparge improvvisamente la notizia che nella zona di Lixuri i tedeschi, senza aspettare<br />

l’esito delle trattative, hanno costretto alla resa due delle nostre batterie. L’atmosfera è<br />

satura di elettricità. Tra i soldati si comincia a sospettare che Gandin abbia ordinato la<br />

resa. Tacciato di «tedescofilo», «vigliacco» e »traditore», il generale è fatto segno ad<br />

un attentato. Uno dei suoi ufficiali viene ucciso da un maresciallo di marina con un<br />

colpo di pistola a bruciapelo. Un altro, per salvarsi, è costretto a rifugiarsi in un casolare<br />

sotto la protezione di alcuni civili greci. Bombe piovono contro la mensa di un comando.<br />

Si devastano le furerie. Una batteria punta i suoi pezzi contro il comando di divisione,<br />

pronta a farlo saltare in aria se da lì partiranno ordini di resa.<br />

La resistenza della «Acqui» finisce in un massacro<br />

Si è arrivati ad un pelo dallo scontro quando i tedeschi rompono gli indugi. La mattina<br />

del 13 settembre appaiono all’orizzonte due motozattere cariche di soldati e di cannoni.<br />

Sono i primi rinforzi chiesti da Barge per piegare gli italiani. A quella vista, due nostre<br />

batterie aprono spontaneamente il fuoco. Un natante affonda, l’altro è costretto ad<br />

arrendersi. I tedeschi rispondono al fuoco con i semoventi di Argostoli e i cannoni di<br />

Lixuri. Alle 6.15 del mattino muore l’artigliere Gino Cruciani. È il primo caduto italiano<br />

nella battaglia di Cefalonia.<br />

Il 14 settembre, mentre nuovi rinforzi tedeschi sbarcano sull’isola, si tiene fra le truppe<br />

una specie di referendum: tutta la Divisione «Acqui» è per la lotta contro gli ex<br />

camerati. Gandin, confortato anche da un radiogramma del comando supremo italiano<br />

che gli ordina finalmente di opporsi alle richieste tedesche, informa Barge che «per<br />

ordine del comando supremo e per volontà degli ufficiali e dei soldati la Divisione<br />

“Acqui” non cede le armi». La risposta tedesca non si farà attendere. Il 15 settembre<br />

inizia un pesante bombardamento con gli Stuka, che in una settimana distruggono<br />

Argostoli e seminano la morte tra le file della nostra divisione, priva di caccia e dotata di<br />

un’insufficiente protezione antiaerea. La mattina del 21 settembre il 317° Fanteria alza<br />

la bandiera bianca. Ventiquattr’ore dopo sono costretti alla resa anche i resti del 17°<br />

Reggimento.<br />

I massacri sono già cominciati. Si procede alla punizione dei «traditori». Fucilando in<br />

massa i prigionieri, gli uomini della 1ª Divisione Alpenjägern al comando del maggiore<br />

Harald von Hirschfeld scrivono una delle pagine più obbrobriose nella storia dell’esercito<br />

tedesco. Il 22 settembre vengono uccisi a sangue freddo circa 4500 tra ufficiali e<br />

soldati. Tra essi, probabilmente, Gandin, che scompare senza lasciare tracce. Poi le

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