SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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abbandonato». Nello stesso istante Mors e i suoi uomini raggiungono l’albergo con la funivia. Sono le 14.30. Il maggiore dei paracadutisti si presenta a Mussolini e questi abbraccia anche lui. Poi, quando gli dicono di posare con i liberatori per l’UFA, il cinegiornale tedesco, sospira: «Fate di me ciò che volete». Si tratta a questo punto, di far partire Mussolini dal Gran Sasso. Nell’atmosfera euforica (e anche eroica) che si è creata, tutti quanti perdono per un momento la testa, ad eccezione dell’ex prigioniero. Infatti, con notevole buon senso, Mussolini suggerisce di prendere un’automobile e di condurlo a casa sua, alla Rocca delle Caminate (è la stessa richiesta che, pochi giorni prima, aveva rivolto a Badoglio). Altrimenti – dice – si può salire anche su una vettura della funicolare (la cui stazione di partenza è in mano a Mors). Il piano di Student prevede invece che il duce sia accompagnato all’Aquila e di là, con un Heinkel, condotto in Germania. Ma l’aereo, da Roma, non arriva. Skorzeny – che indubbiamente è un ottimo regista di se stesso e sa come sfruttare il successo – scarta tutte le soluzioni più logiche e più semplici e decide di affidarsi al piccolo aereo da osservazione Fieseler Storch (la popolare «Cicogna») con cui il suo pilota personale, l’asso capitano Gerlach, è riuscito nel frattempo ad atterrare sul piazzale davanti all’albergo di Campo Imperatore. Mussolini, barba lunga, cappello di feltro schiacciato sugli occhi, soprabito scuro col bavero alzato, guarda con sospetto l’esile struttura della «Cicogna», tenendo i pugni affondati nelle tasche. «Perché è qui quell’apparecchio?», chiede a Mors. «Per voi, Duce. Un aereo più grande vi attende a Pratica di Mare». «Non possiamo scendere via terra?», domanda ancora Mussolini. Ma non insiste. Il duce sale a bordo e si sistema dietro al pilota; anche Skorzeny lo segue. Egli stesso, in seguito, darà una risposta a coloro che gli chiederanno perché mai avesse voluto accrescere il rischio di quel volo quando – invece – avrebbe potuto tornare a Pratica di Mare con un camion e offrire maggiori probabilità al decollo di Gerlach: «Se partivano senza di me e si rompevano il collo, a me non restava che spararmi un colpo alla testa. Hitler non mi avrebbe perdonato di certo quell’insuccesso… Almeno si faceva una bella morte in tre». Davanti all’albergo del Gran Sasso il terreno è in lieve pendenza; il Fieseler Storch si avvia a balzelloni, sembra non sia in grado di staccarsi, poi sprofonda nell’abisso e lo si crede perduto. Invece la bravura di Gerlach riesce a controllarlo, a riportarlo in linea di volo e a riprendere quota. «Per un momento fui in preda al terrore», confesserà più tardi Mussolini. Mentre Skorzeny tiene una mano sulla spalla del duce, ancora più infagottato nel suo cappottone scuro, il Fieseler Storch dirige su Pratica di Mare e atterra accanto all’Heinkel già pronto, con i motori accesi, che lo accoglie subito partendo alle 17 alla volta del Nord sicché, poco prima di mezzanotte, può prendere terra all’aeroporto austriaco di Aspern, vicino a Vienna. Nella capitale il duce è alloggiato all’hotel Continental e lì lo raggiunge una telefonata di Hitler, che si congratula con lui, ma la risposta del duce è quella di un uomo frastornato, travolto dagli avvenimenti: «… Informò il Führer che era stanco e malato», scrive l’indomani Goebbels nel suo diario, «e che avrebbe desiderato anzitutto un lungo sonno. Lunedì avrebbe voluto visitare la famiglia a Monaco. Presto vedremo se è ancora capace di una attività politica su larga scala. Il Führer lo pensa». L’indomani scoppiano già vivaci polemiche fra gli autori del colpo di mano al Gran Sasso. Skorzeny si attribuisce tutto il merito sulle ali del successo conseguito presso Hitler. Una delle frasi che il Führer gli rivolge è nota: «Maggiore Skorzeny [e così dicendo gli anticipa la notizia della promozione al grado superiore] lei è l’uomo del mio cuore. Lei ha guadagnato la giornata e ha coronato col successo la nostra missione. Il suo Führer la ringrazia». Poi entra un colonnello che porta sulla giubba le insegne del cavalierato della Croce di Ferro. Se le toglie e le passa a Skorzeny. «Per ordine del
Führer» gli dice. Il generale Student è messo da parte benché il piano d’azione contro Campo Imperatore fosse suo, la preparazione tattica sua, l’addestramento degli uomini suo. Anche se ben presto, con gli avvenimenti negativi della Repubblica di Salò, si diffonderà in Germania questa battuta su Skorzeny e Mussolini: «Il Führer ha dato a Skorzeny la croce di cavaliere della Croce di Ferro per la liberazione del Duce ma forse oggi sarebbe disposto a dargli anche le Fronde di Quercia se fosse capace di rimettere Mussolini in carcere», l’impresa di Campo Imperatore suscita nell’entourage di Hitler qualcosa di simile al delirio: «Rallegriamoci con tutto il nostro cuore», annota ancora Goebbels nel suo diario. «Ho la sensazione che la fortuna ci arrida di nuovo […]. Anche sul nemico l’effetto di questa liberazione, altamente drammatica, ha creato un risultato sensazionale. Possiamo ora festeggiare una vittoria morale di prim’ordine». Quando però il maggiore Mors apprende, da una lettera arrivatagli dalla Germania, che la sera del 13 settembre Skorzeny ha parlato alla radio attribuendosi tutto il merito dell’impresa (ha detto testualmente: «Io ho liberato Mussolini»), decide di intervenire e scrive una protesta al quartier generale della Luftwaffe a Berlino. La risposta è una laconica comunicazione: il testo delle dichiarazioni di Skorzeny è stato approvato personalmente dal Führer. Solo a guerra finita, nel dicembre 1950, Mors potrà dare la sua versione del colpo di mano del Gran Sasso.
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funivia. Sono le 14.30. Il maggiore dei paracadutisti si presenta a Mussolini e questi<br />
abbraccia anche lui. Poi, quando gli dicono di posare con i liberatori per l’UFA, il<br />
cinegiornale tedesco, sospira: «Fate di me ciò che volete».<br />
Si tratta a questo punto, di far partire Mussolini dal Gran Sasso. Nell’atmosfera euforica<br />
(e anche eroica) che si è creata, tutti quanti perdono per un momento la testa, ad<br />
eccezione dell’ex prigioniero. Infatti, con notevole buon senso, Mussolini suggerisce di<br />
prendere un’automobile e di condurlo a casa sua, alla Rocca delle Caminate (è la stessa<br />
richiesta che, pochi giorni prima, aveva rivolto a Badoglio). Altrimenti – dice – si può<br />
salire anche su una vettura della funicolare (la cui stazione di partenza è in mano a<br />
Mors). Il piano di Student prevede invece che il duce sia accompagnato all’Aquila e di là,<br />
con un Heinkel, condotto in Germania.<br />
Ma l’aereo, da Roma, non arriva. Skorzeny – che indubbiamente è un ottimo regista di<br />
se stesso e sa come sfruttare il successo – scarta tutte le soluzioni più logiche e più<br />
semplici e decide di affidarsi al piccolo aereo da osservazione Fieseler Storch (la<br />
popolare «Cicogna») con cui il suo pilota personale, l’asso capitano Gerlach, è riuscito<br />
nel frattempo ad atterrare sul piazzale davanti all’albergo di Campo Imperatore.<br />
Mussolini, barba lunga, cappello di feltro schiacciato sugli occhi, soprabito scuro col<br />
bavero alzato, guarda con sospetto l’esile struttura della «Cicogna», tenendo i pugni<br />
affondati nelle tasche. «Perché è qui quell’apparecchio?», chiede a Mors. «Per voi,<br />
Duce. Un aereo più grande vi attende a Pratica di Mare». «Non possiamo scendere via<br />
terra?», domanda ancora Mussolini. Ma non insiste. Il duce sale a bordo e si sistema<br />
dietro al pilota; anche Skorzeny lo segue. Egli stesso, in seguito, darà una risposta a<br />
coloro che gli chiederanno perché mai avesse voluto accrescere il rischio di quel volo<br />
quando – invece – avrebbe potuto tornare a Pratica di Mare con un camion e offrire<br />
maggiori probabilità al decollo di Gerlach: «Se partivano senza di me e si rompevano il<br />
collo, a me non restava che spararmi un colpo alla testa. Hitler non mi avrebbe<br />
perdonato di certo quell’insuccesso… Almeno si faceva una bella morte in tre».<br />
Davanti all’albergo del Gran Sasso il terreno è in lieve pendenza; il Fieseler Storch si<br />
avvia a balzelloni, sembra non sia in grado di staccarsi, poi sprofonda nell’abisso e lo si<br />
crede perduto. Invece la bravura di Gerlach riesce a controllarlo, a riportarlo in linea di<br />
volo e a riprendere quota. «Per un momento fui in preda al terrore», confesserà più<br />
tardi Mussolini. Mentre Skorzeny tiene una mano sulla spalla del duce, ancora più<br />
infagottato nel suo cappottone scuro, il Fieseler Storch dirige su Pratica di Mare e<br />
atterra accanto all’Heinkel già pronto, con i motori accesi, che lo accoglie subito<br />
partendo alle 17 alla volta del Nord sicché, poco prima di mezzanotte, può prendere<br />
terra all’aeroporto austriaco di Aspern, vicino a Vienna. Nella capitale il duce è alloggiato<br />
all’hotel Continental e lì lo raggiunge una telefonata di Hitler, che si congratula con lui,<br />
ma la risposta del duce è quella di un uomo frastornato, travolto dagli avvenimenti: «…<br />
Informò il Führer che era stanco e malato», scrive l’indomani Goebbels nel suo diario,<br />
«e che avrebbe desiderato anzitutto un lungo sonno. Lunedì avrebbe voluto visitare la<br />
famiglia a Monaco. Presto vedremo se è ancora capace di una attività politica su larga<br />
scala. Il Führer lo pensa».<br />
L’indomani scoppiano già vivaci polemiche fra gli autori del colpo di mano al Gran<br />
Sasso. Skorzeny si attribuisce tutto il merito sulle ali del successo conseguito presso<br />
Hitler. Una delle frasi che il Führer gli rivolge è nota: «Maggiore Skorzeny [e così<br />
dicendo gli anticipa la notizia della promozione al grado superiore] lei è l’uomo del mio<br />
cuore. Lei ha guadagnato la giornata e ha coronato col successo la nostra missione. Il<br />
suo Führer la ringrazia». Poi entra un colonnello che porta sulla giubba le insegne del<br />
cavalierato della Croce di Ferro. Se le toglie e le passa a Skorzeny. «Per ordine del