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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Capitolo cinquantanovesimo<br />

L’armistizio fuori d’Italia<br />

«Tutte le trombe dell’Esercito erano nella polvere». Così, all’indomani dell’armistizio del<br />

settembre 1943, annota nel suo diario, a Roma, un giovane ufficiale che diverrà<br />

comandante partigiano e scrittore, Beppe Fenoglio. C’è, in queste amare parole, l’eco<br />

dell’orgoglioso comunicato della Wehrmacht diffuso dall’OKW il 10 settembre: «Le forze<br />

armate italiane non esistono più». Dal momento dell’annuncio della resa, infatti, i<br />

tedeschi hanno paralizzato tutto l’organismo militare del nostro paese occupando le<br />

principali città (Milano, Torino, Genova, Asti, Alessandria, Bolzano, Trento, Udine il 9<br />

settembre; Trieste, Venezia, Brescia, Bologna il giorno 10; Aosta, Napoli, Cuneo, Siena,<br />

Benevento l’11; Firenze, Pola, Pescara il 12) e impadronendosi di comandi, presidi, nodi<br />

ferroviari, centrali elettriche, caserme, magazzini, aeroporti, porti, autostrade, fabbriche.<br />

Il 16 settembre l’occupazione dell’Italia è un fatto compiuto e confermato dalle cifre<br />

delle spoliazioni militari che il generale Jodl traccia in un rapporto per Hitler: un milione<br />

e 255.660 fucili; 38.383 mitragliatrici; 9986 pezzi di artiglieria; 15.500 automezzi;<br />

67.600 fra muli e cavalli, e vestiario per 500.000 uomini (ma non sono tutte cifre vere<br />

perché, forse nell’euforia del Gran Quartiere Generale del Führer, si propinano anche<br />

dati di questo tenore: «catturati 4553 aerei e 970 mezzi corazzati» quando in realtà, al<br />

momento della resa, l’Italia non possiede che 272 carri armati e poche centinaia di<br />

aeroplani operativi).<br />

Ogni resistenza dell’Esercito italiano è sparita, in quanto forza organizzata, ma – al di là<br />

del mare e dei confini continentali – rimangono intatte, anche se non utilizzate nel loro<br />

potenziale offensivo, notevoli forze. Il loro atteggiamento, in generale, è quello di una<br />

vera e propria rivolta contro i tedeschi – gli odiati alleati di ieri – ma anche contro gli<br />

ambigui ordini di Roma; una rivolta tuttavia di tipo nuovo, nella storia d’Italia, perché vi<br />

confluiscono sia lo spirito degli ufficiali «ribelli» gelosi del proprio «onore militare», sia<br />

l’«aspirazione alla libertà» che viene dal basso. È la svolta storica in cui si inserirà la<br />

Resistenza.<br />

La Corsica resta in mano agli italiani<br />

Il disfacimento dell’Esercito all’estero è dovuto soprattutto al fatto che, nelle ore<br />

dell’agonia, il comando supremo lo ha abbandonato, lo ha lasciato a sé, ha consentito<br />

che si sfasciassero le armate purché si salvasse il gruppo di potere che sta attorno al re<br />

e alla Corte e che finge di credere che la sua salvezza coincida con quella del Paese<br />

travolto dalla tragedia. Ma dove questo veleno dell’ambiguità non giunge, l’Esercito,<br />

dato così facilmente per spacciato in patria, si batte in terra straniera con un<br />

accanimento, con una ostinazione che trova ben pochi riscontri nella storia militare di<br />

tutti i tempi: e se crolla, crolla a testa alta.<br />

È l’esempio della Corsica, che le nostre truppe hanno occupato l’11 novembre 1942,<br />

presidiata da 20.000 soldati italiani appartenenti al 7° Corpo d’armata ai comando del<br />

generale Giovanni Magli. Nella notte del 9 settembre 5000 tedeschi della brigata<br />

motocorazzata Reichsführer-SS, unitamente ad altri reparti minori, tutti al comando del<br />

generale Frido von Senger und Etterlin - sbarcati nell’isola all’indomani della caduta di

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