SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Comunque il bilancio non può considerarsi del tutto negativo: poiché furono quei corpi d’armata rimasti in Sardegna, in mezzo al generale sbandamento, la leva su cui cercò d’insistere il governo Badoglio in Italia meridionale per rivendicare un maggiore contributo bellico a fianco degli alleati. Milano si arrende Una cronaca degli avvenimenti milanesi tra il 9 e l’11 settembre 1943, giorno dell’occupazione tedesca della città Dal 9 al 12 settembre 1943 i tedeschi occupano militarmente, una dopo l’altra, le principali città italiane. Quanto avviene a Milano è rievocato nel libro di Piero Fortuna e Raffaello Uboldi, Sbrindellato, scalzo, in groppa a un ciuco, ma col casco d’Africa ancora in capo (Mondadori 1976). Milano, 9 settembre La città, semispopolata sotto i bombardamenti, vive ore di angoscia. Corrono voci allarmanti: i tedeschi si stanno impadronendo di tutta l’Italia del Nord; i tedeschi sono alle porte di Milano. Nella sua abitazione milanese Giovanni Gronchi non può fare a meno di pensare che forse lo sfacelo si sarebbe potuto evitare se qualcuno, a Roma, gli avesse dato retta. Un mese prima, per sua iniziativa, un gruppo di antifascisti cattolici ha ispezionato le valli dell’Adige e dell’Isarco. Il gruppo (di cui facevano parte il notaio faentino Virgilio Neri e i trentini Giovanni Motta, Giannantonio Mancini e Nilo Piccoli, fratello di Flaminio) ha scoperto che le nostre autorità militari non hanno preso alcuna precauzione per impedire ai tedeschi di dilagare al Sud. Gronchi e Neri sono partiti allora per Roma, dove sono entrati in contatto con Alcide De Gasperi, bibliotecario in Vaticano. De Gasperi, anch’egli trentino, ha afferrato al volo l’importanza delle notizie e ha fissato a Gronchi e Neri un incontro con Badoglio per il 1° settembre al Viminale. Ma Badoglio non si è presentato all’appuntamento. Gronchi e Neri sono stati ricevuti da suo figlio Mario, che li ha dirottati su Ambrosio, il quale li ha spediti da Roatta, che li ha mandati dal proprio addetto, generale Giacomo Zanussi. I militari non hanno nascosto un certo fastidio nell’ascoltare quelle che, ai loro orecchi, erano soltanto chiacchiere da dilettanti. Tuttavia, hanno chiesto a Gronchi e Neri di mettere per iscritto le proprie osservazioni. I due non si sono scoraggiati e hanno steso, nero su bianco, un piano che tra l’altro prevedeva l’allontanamento dal Trentino dei generali più compromessi col fascismo, il rafforzamento delle unità alpine a Fortezza, Dobbiaco, Spondigna e alla Mendola, lo stretto controllo delle dighe, che all’occorrenza si potevano far saltare per sbarrare la strada all’invasore, e la creazione di un corpo di volontari, in grado di penetrare in territorio austriaco e attaccare i tedeschi alle spalle. Il 5 settembre il piano è stato presentato al generale Zanussi, che lo ha messo da parte con un sospiro di rassegnazione, promettendo vagamente una risposta che non giungerà mai. Milano, 9-11 settembre Gli operai si sono procurati le armi nella caserma di via Ferrante Aporti della polizia ferroviaria, abbandonata dai suoi occupanti; poi hanno attaccato e rioccupato l’edificio della Stazione Centrale, dove un drappello di tedeschi aveva aggredito e messo in fuga il presidio militare italiano. Due dei tedeschi si sono rifugiati nell’agenzia di viaggi Marco e dopo una breve sparatoria sono stati uccisi, fra uno svolazzare di dépliants pubblicitari. È

la mattina del 10 settembre. Il giorno dopo Milano sarà occupata dai carri della divisione Hermann Göring. Il 9 il generale Vittorio Ruggero, comandante della regione militare della Lombardia e dell’alta Emilia, ha conferito con Riccardo Lombardi che a nome dei partiti antifascisti ha chiesto armi per distribuirle alla popolazione. Ruggero è un ufficiale di stretta osservanza monarchica, e tuttavia ha accordato a Lombardi, con cui è in contatto fin dai primi giorni di settembre, 110 mitragliatori e alcune migliaia di fucili, anche se con scarsa dotazione di cartucce, non più di dieci a testa. Ruggero ha dato la propria parola di soldato che intende resistere, e ha impartito ordini in tal senso ai presidi da lui dipendenti. Nel tardo pomeriggio del 9 Riccardo Lombardi si è incontrato con Parri, Albasini e altri dirigenti politici in corso Italia 6, e ha organizzato una manifestazione popolare che si è svolta affollata in piazza Duomo. Durante il comizio sono apparse le prime autoblindo tedesche, senza però intervenire. A comizio concluso, nella sede di via Manzoni del partito d’Azione sono stati distribuiti ai milanesi i primi duemila fucili ottenuti da Ruggero. Senonché il generale cambia idea. Nella notte giunge nel suo ufficio un certo colonnello Di Leo, inviato dal Comando Supremo a coprire il posto rimasto vacante di capo del controspionaggio presso il Corpo d’Armata di Milano. Di Leo si dichiara latore di alcune speciali istruzioni il cui contenuto non verrà mai reso noto, ma che servono ad ammorbidire la volontà di combattere di Ruggero. E questi il 10, in contrasto con tutto il suo comportamento precedente, energico e coraggioso, prende contatto coi tedeschi, tratta la resa. La sera dello stesso giorno, rivolgendosi per radio alla cittadinanza, afferma che i tedeschi si limiteranno a transitare per Milano, senza occupare la città né pretendere il disarmo delle forze italiane. I civili vengono invitati a consegnare le armi, pena la fucilazione. La mattina dell’11 i carristi della Hermann Göring entrano nella città, disarmano i soldati italiani, fanno prigioniero Ruggero che subisce la deportazione in Germania. I panzer sfilano per Foro Bonaparte, raggiungono piazza Duomo, si accampano nella galleria Vittorio Emanuele. Un milite fascista che si è rimesso la divisa avvicina uno sbarramento di tedeschi, saluta a braccio teso, e viene accolto tra di loro. L’ultimatum alla capitale Il generale Caviglia, protagonista delle «giornate di Roma», racconta come arrivò ad accettare l’ultimatum di Kesselring Le note del diario del maresciallo d’Italia Enrico Caviglia (1862-1945) relative al settembre 1943 sono essenziali per avere un quadro completo della situazione creatasi a Roma all’indomani dell’armistizio. E, questo, non tanto per l’autorità del testimone ma perché Caviglia – uscito in quei giorni, casualmente, dal suo sdegnoso esilio di Finalmarina - fu protagonista degli eventi. 8-10 settembre 1943. Il mattino dell’8 settembre 1943 arrivai a Roma in treno per alcuni miei affari privati. Vi ero stato per pochi giorni in agosto. Avevo lasciato Roma alla fine di maggio per l’annuale trasferimento a Finalmarina; dopo di allora era avvenuto il colpo di stato del 25 luglio […]. Appena sceso alla stazione di Roma, dissi al generale Campanari di chiedere un’udienza al Sovrano, per presentargli i miei ossequi. L’udienza fu domandata, e il Re fece rispondere: «Se è una cosa urgente,

Comunque il bilancio non può considerarsi del tutto negativo: poiché furono quei corpi<br />

d’armata rimasti in Sardegna, in mezzo al generale sbandamento, la leva su cui cercò<br />

d’insistere il governo Badoglio in Italia meridionale per rivendicare un maggiore contributo<br />

bellico a fianco degli alleati.<br />

Milano si arrende<br />

Una cronaca degli avvenimenti milanesi tra il 9 e l’11 settembre 1943,<br />

giorno dell’occupazione tedesca della città<br />

Dal 9 al 12 settembre 1943 i tedeschi occupano militarmente, una dopo l’altra, le principali<br />

città italiane. Quanto avviene a Milano è rievocato nel libro di Piero Fortuna e Raffaello<br />

Uboldi, Sbrindellato, scalzo, in groppa a un ciuco, ma col casco d’Africa ancora in capo<br />

(Mondadori 1976).<br />

Milano, 9 settembre<br />

La città, semispopolata sotto i bombardamenti, vive ore di angoscia. Corrono voci<br />

allarmanti: i tedeschi si stanno impadronendo di tutta l’Italia del Nord; i tedeschi sono alle<br />

porte di Milano.<br />

Nella sua abitazione milanese Giovanni Gronchi non può fare a meno di pensare che forse<br />

lo sfacelo si sarebbe potuto evitare se qualcuno, a Roma, gli avesse dato retta. Un mese<br />

prima, per sua iniziativa, un gruppo di antifascisti cattolici ha ispezionato le valli dell’Adige<br />

e dell’Isarco. Il gruppo (di cui facevano parte il notaio faentino Virgilio Neri e i trentini<br />

Giovanni Motta, Giannantonio Mancini e Nilo Piccoli, fratello di Flaminio) ha scoperto che le<br />

nostre autorità militari non hanno preso alcuna precauzione per impedire ai tedeschi di<br />

dilagare al Sud. Gronchi e Neri sono partiti allora per Roma, dove sono entrati in contatto<br />

con Alcide De Gasperi, bibliotecario in Vaticano.<br />

De Gasperi, anch’egli trentino, ha afferrato al volo l’importanza delle notizie e ha fissato a<br />

Gronchi e Neri un incontro con Badoglio per il 1° settembre al Viminale. Ma Badoglio non<br />

si è presentato all’appuntamento. Gronchi e Neri sono stati ricevuti da suo figlio Mario, che<br />

li ha dirottati su Ambrosio, il quale li ha spediti da Roatta, che li ha mandati dal proprio<br />

addetto, generale Giacomo Zanussi. I militari non hanno nascosto un certo fastidio<br />

nell’ascoltare quelle che, ai loro orecchi, erano soltanto chiacchiere da dilettanti. Tuttavia,<br />

hanno chiesto a Gronchi e Neri di mettere per iscritto le proprie osservazioni.<br />

I due non si sono scoraggiati e hanno steso, nero su bianco, un piano che tra l’altro<br />

prevedeva l’allontanamento dal Trentino dei generali più compromessi col fascismo, il<br />

rafforzamento delle unità alpine a Fortezza, Dobbiaco, Spondigna e alla Mendola, lo stretto<br />

controllo delle dighe, che all’occorrenza si potevano far saltare per sbarrare la strada<br />

all’invasore, e la creazione di un corpo di volontari, in grado di penetrare in territorio<br />

austriaco e attaccare i tedeschi alle spalle. Il 5 settembre il piano è stato presentato al<br />

generale Zanussi, che lo ha messo da parte con un sospiro di rassegnazione, promettendo<br />

vagamente una risposta che non giungerà mai.<br />

Milano, 9-11 settembre<br />

Gli operai si sono procurati le armi nella caserma di via Ferrante Aporti della polizia<br />

ferroviaria, abbandonata dai suoi occupanti; poi hanno attaccato e rioccupato l’edificio<br />

della Stazione Centrale, dove un drappello di tedeschi aveva aggredito e messo in fuga il<br />

presidio militare italiano. Due dei tedeschi si sono rifugiati nell’agenzia di viaggi Marco e<br />

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