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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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A Fiume il generale Gambara, arrivato da Roma con ordini di difesa ad oltranza, si<br />

preoccupò di vietare la ricostituzione dei partiti politici e precisò in un’ordinanza che «nel<br />

grave momento che l’Italia attraversa c’è un solo partito per tutti, nessuno escluso: quello<br />

della concordia, dell’onore, dell’ordine. Nessuna iniziativa da qualunque parte venga sarà<br />

da me tollerata». La sera del 10 la polizia spara, causando numerose vittime, sulla folla<br />

che richiede la liberazione dei detenuti politici. Il 14 il Gambara conclude un accordo col<br />

colonnello Völcher affinché «i soldati italiani potessero difendere la città dalle minacce<br />

slave» e poi anch’egli abbandona Fiume, lasciando i suoi soldati in mano ai tedeschi (un<br />

mese più tardi, sulla base d’una simile prova d’onore militare, verrà scelto da Graziani<br />

quale Capo di Stato Maggiore dell’esercito fascista in via di ricostituzione).<br />

Così anche Pola verrà consegnata ai tedeschi senza colpo ferire. Solo a Gorizia il generale<br />

Malagutti si rifiutò di collaborare e venne arrestato insieme a numerosi ufficiali.<br />

Ma la disgregazione delle forze armate è totale e già in quei tragici giorni si può dire che si<br />

determina il distacco definitivo di gran parte della Venezia Giulia abbandonata all’invasore<br />

tedesco senza resistenza degna di rilievo.<br />

Infine, un carattere tutto particolare essa ebbe nell’Italia meridionale, un altro settore si<br />

può dire ancora inesplorato da questo punto di vista: qui infatti, dove la guerra operava la<br />

sua maggiore pressione, fu più urgente e grave la scelta a chiunque vestisse una divisa:<br />

ed ebbe modo di manifestarsi in pieno la spaccatura che divideva l’esercito in seguito<br />

all’opera nefasta del fascismo. In contrasto con i molti generali fuggiaschi o disposti ad<br />

ogni compromesso col tedesco, la vecchia casta militare mandò gli ultimi vividi sprazzi; pur<br />

essendo ormai incapace di agire organicamente, bruciò le sue energie residue in episodi<br />

individuali di sicuro valore: il generale Ferrante Gonzaga, comandante di una divisione<br />

costiera a Salerno, sorpreso con pochi uomini da una pattuglia germanica, si rifiutò sotto<br />

la minaccia delle armi su di lui puntate, di impartire l’ordine della resa ai suoi uomini e<br />

affrontò senza esitazione la morte cadendo trucidato sul posto; con la stessa serenità e in<br />

circostanze simili affrontò la fucilazione il comandante del 48° reggimento fanteria di Nola<br />

insieme ai suoi ufficiali. Una notevole resistenza si attuò, contrariamente agli ordini<br />

superiori, in alcune caserme di Napoli, e un carattere più esteso ebbe la reazione<br />

dell’esercito in Puglia; a Bari il generale Bellomo con pochi ardimentosi, marinai, soldati e<br />

operai, assicurò la difesa del porto battendosi come «un civile qualunque» nel corpo a<br />

corpo che seguì con i reparti tedeschi (lo stesso Bellomo finì poi fucilato dagli alleati sotto<br />

l’accusa di avere provocato la morte d’un prigioniero inglese).<br />

In Sardegna maggiori che in ogni altra parte d’Italia furono le possibilità offerte al nostro<br />

esercito di eliminare le truppe tedesche stanziate nella parte meridionale dell’isola, assai<br />

inferiori per numero anche se superiori per armamento. C’era a nostro vantaggio, prima di<br />

ogni altro elemento, la compattezza delle Forze Armate, composte in gran parte di reparti<br />

sardi, tenute lontane dalla corrosione del periodo badogliano, inserite invece in un<br />

ambiente tradizionalmente ostile al fascismo «fenomeno del continente» (né lo stato<br />

d’animo della popolazione sarda era soltanto spontaneo: vi agivano gruppi attivi di<br />

antifascisti, che da Sassari diramavano il giornale clandestino «Avanti Sardegna!» già dal<br />

maggio 1943 incitante alla lotta antitedesca e alla guerriglia). Tale possibilità fu sprecata<br />

dal Comando che, dopo essersi accordato con i tedeschi per un’evacuazione pacifica, solo<br />

il 13, in seguito ad ordini ricevuti dal Comando supremo, decise di attaccarli, quando già<br />

con rapidissima manovra essi avevano raggiunto i porti d’imbarco nella parte<br />

settentrionale. Troppo tardi per tagliare loro la strada, appena in tempo per accelerarne la<br />

fuga e impossessarsi d’un notevole bottino di guerra. Le speranze dei patrioti sardi<br />

andarono deluse e solo alla Maddalena s’ebbe un rilevante fatto d’armi, quando l’isola fu<br />

riconquistata da marinai e operai in un’aspra battaglia (8-11 settembre).

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