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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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quale l’esercito rimaneva provvisoriamente armato (molto provvisoriamente) ma i civili<br />

dovevano consegnare subito le armi di qualsiasi tipo in loro possesso.<br />

«Chiunque userà le armi contro chiunque sia, sarà senz’altro passato per le armi sul posto.<br />

Da questo momento sono proibite nel modo più assoluto le riunioni anche in locali chiusi,<br />

salvo quelle del culto nelle chiese. All’aperto non potranno avere luogo riunioni di più di tre<br />

persone. Contro gruppi di numero superiore sarà senza intimidazione aperto il fuoco dalla<br />

forza pubblica».<br />

Sono frasi tolte dal «proclama ai Milanesi» del 10 settembre, sottoscritto dal generale<br />

Ruggero e non da un comandante tedesco. Così si ripete a Torino in forma ancora più<br />

sfacciata, se possibile, per opera del generale fascista Adami-Rossi che consegnò la città ai<br />

tedeschi «per evitare un’inutile strage», senza nemmeno il minimo cenno di opposizione.<br />

Così si ripete a Genova dove l’apparato aggressivo tedesco, subito dopo l’annuncio<br />

dell’armistizio, occupa fulmineamente la città senza trovare opposizione nei Comandi<br />

militari.<br />

Un certo accenno di resistenza organizzata sembra di poter scorgere intorno alla piazza<br />

militare di La Spezia; qui il comandante del 16° corpo d’armata, generale Carlo Rossi,<br />

respinge l’ultimatum tedesco, permettendo alla flotta di porsi in salvo e la divisione Alpini<br />

Alpi Graie combatte strenuamente fino all’11 settembre.<br />

Altrove non si può parlare di esecuzione di alcun piano militare difensivo ma d’improvvisi e<br />

imprevisti focolai di resistenza che s’accendono qua e là, a Verona come a Parma, a Cuneo<br />

come ad Ancona, dove nuclei o reparti dell’esercito, nella generale dissoluzione, si<br />

oppongono di propria iniziativa all’aggressione nazista.<br />

L’episodio più notevole di resistenza cittadina fu quello offerto da Piombino abbandonata<br />

senza ordini dai Comandi responsabili, quando il 10 settembre si profilò la minaccia d’uno<br />

sbarco tedesco in forze proveniente dalla Corsica. Soldati, marinai, operai reagirono per<br />

loro conto, occupando le fabbriche, il porto e manovrando, fianco a fianco, le batterie<br />

costiere. Dopo una furiosa battaglia il tedesco fu annientato: seicento morti, duecento<br />

prigionieri, le zattere di sbarco e due corvette affondate: riuscì a scampare al disastro solo<br />

un caccia benché duramente colpito.<br />

Una particolare importanza – anche per le conseguenze che ne seguirono – è da attribuirsi<br />

a ciò che avvenne, in quei tragici giorni, nelle zone di confine. Al confine occidentale la 4ª<br />

Armata fu colta di sorpresa nel momento critico della sua marcia di trasferimento dalla<br />

Francia all’Italia e spezzata in più tronconi dal pronto attacco tedesco: vi fu qualche<br />

scontro, saltò la galleria del Moncenisio, ma già la 4ª Armata era praticamente dissolta.<br />

A Trento, dove l’allarme era stato dato fin dai primi giorni di settembre (il 31 agosto<br />

Rommel vi aveva presieduto una riunione di generali tedeschi in vista dell’imminente<br />

occupazione militare del territorio italiano), non si verificò alcuna reazione degna di nota<br />

da parte dei comandi militari italiani, ai quali gli antifascisti locali, sotto la guida del<br />

socialista G.A. Manci avevano trasmesso un dettagliato memoriale per la difesa del<br />

Trentino.<br />

Nella città, provata dai duri bombardamenti alleati, reagirono per loro conto i soldati della<br />

guarnigione, riportando notevoli perdite (49 morti, 200 feriti).<br />

A Trieste il generale Ferrero, comandante il 23° corpo d’armata, dopo avere promesso agli<br />

esponenti del Fronte democratico nazionale (fra cui l’azionista Gabriele Foschiatti e i<br />

comunisti Ernesto Radich e Giovanni Pratolongo) di armare il popolo per la difesa,<br />

abbandonò il 10 settembre la città, dopo aver emanato un’ordinanza che stabiliva l’orario<br />

del coprifuoco e faceva divieto all’esercito della caccia in tutto il territorio del corpo<br />

d’armata.

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