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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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Nella battaglia del giugno 1918 Caviglia contribuisce al successo dapprima con la sua<br />

artiglieria sull’altopiano di Asiago poi sul Piave dove, come nuovo comandante dell’8ª<br />

Armata, riesce a fermare l’avanzata nemica. Nell’autunno 1918 fa modificare<br />

intelligentemente il piano steso da Cavallero e che porterà al trionfo di Vittorio Veneto.<br />

Nell’ultima battaglia, non piccoli meriti spettano a Caviglia che, ulteriormente decorato,<br />

raggiunge nel 1919 il grado di generale.<br />

Complessa la parte di Caviglia nella vicenda fiumana. Nominato da Nitti commissario<br />

straordinario per la Venezia Giulia e comandante dell’8ª Armata, tratta con fermezza i<br />

dannunziani e, dopo il trattato di Rapallo che risolve saggiamente la questione di Fiume,<br />

caccia con misurata energia il poeta e il suo eterogeneo seguito dalla città istriana. Scosso<br />

però dalle accuse dei nazionalisti più accesi («Natale di sangue») Enrico Caviglia, con<br />

gesto discutibile, cerca di scindere le proprie responsabilità da quelle di Giolitti. Giunge ad<br />

affermare in Senato di avere marciato su Fiume perché ingannato da Giolitti sulla reale<br />

entità delle concessioni fatte alla Jugoslavia. Tesi che in parte riprenderà nel libro Il<br />

conflitto di Fiume di cui il fascismo non permette la pubblicazione nel 1925 (sarà<br />

rimaneggiato dallo stesso Caviglia e dato alle stampe dai suoi eredi nel 1948).<br />

Esce dalla scena politica<br />

Pur senza pubbliche prese di posizione Caviglia aderisce in sostanza al fascismo almeno<br />

fino al dicembre 1924 quando in senato dichiara che il suo consenso riguarda le «idee<br />

originarie del fascismo» e non i successivi sviluppi. E così egli non conferma la fiducia al<br />

governo di Mussolini. Ma anche questa presa di posizione sarà poi da lui stesso<br />

contraddetta. Allontanato dalla scena politica, egli non diviene però un avversario del<br />

regime dal quale è anzi rispettato. Può permettersi di pubblicare libri sulla Grande Guerra<br />

fra cui La dodicesima battaglia, una violenta denuncia delle responsabilità di Badoglio a<br />

Caporetto (ma il potente collega non reagisce). Viaggia all’estero, è presente alle<br />

cerimonie militari e a molti appuntamenti mondani, appare di frequente ai galoppatoi di<br />

Roma dove cavalca fino a tarda età. Viene ricevuta dal re che nel 1929 gli ha conferito il<br />

Collare della SS. Annunziata, e più sporadicamente da Mussolini che nel 1939 lo incarica,<br />

senza alcuna pubblicità, di un’ispezione sulle Alpi.<br />

Il ruolo di Caviglia nella crisi del 1943 presenta ancora oggi punti oscuri. Allo stato attuale<br />

degli studi si può ritenere che al 25 luglio egli sia rimasto sorpreso dagli avvenimenti.<br />

Giunto a Roma l’8 settembre 1943 e appresa l’indomani la partenza del re e di Badoglio,<br />

egli tenta di riempire il vuoto assumendo responsabilità politiche. Ma, sia pure<br />

involontariamente, col suo comportamento incoerente e confuso, finisce per facilitare la<br />

resa di Roma ai tedeschi. Si ritira poi nella sua Finale da dove assiste al dramma italiano,<br />

paralizzato da impulsi contrastanti che gli inibiscono scelte precise. Si spegne il 22 marzo<br />

1945. Caviglia è stato fino all 918 forse il miglior generale italiano e rimane uno dei pochi<br />

dotato di vasta cultura. È autore fra l’altro di un vivace diario postumo dal 1925 al 1943.<br />

Lucio Ceva<br />

Giacomo Carboni, generale a 48 anni<br />

Il maresciallo Caviglia ha dato di lui un giudizio sferzante: «Avevo chiesta qualche notizia<br />

su questo generale e Sorice mi aveva detto che era molto volitivo e che si dava molto da<br />

fare. A me pareva di ricordare che egli fosse uno scrittore di articoli su quotidiani. In<br />

genere questi militari giornalisti sanno sfoggiare il loro genio strategico in forma<br />

attraente… Mi venne il dubbio che fosse un bagolone». Filippo Anfuso (che però aveva il

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