SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Con l’atta di resa, firmato nel pomeriggio del 10 settembre dal generale Westphal in rappresentanza di Kesselring e da un tenente colonnello della ex MVSN, si chiude per Roma il più triste periodo della storia d’Italia. Giuseppe Mayda Enrico Caviglia, il generale letterato Quando nel 1943 il re medita il colpo di stato e la sostituzione di Mussolini, Enrico Caviglia è nella terna dei possibili successori. Ma il sovrano finisce per scartarlo: si tratta infatti di un nome ormai dimenticato dagli italiani. Fin dal 1925 Mussolini lo ha collocato in disparte insieme con gli altri «generali della vittoria». Anche Caviglia sarà promosso maresciallo d’Italia nel 1926 ma a lui, come agli altri, Mussolini non poteva concedere ulteriori soddisfazioni. Per tenerseli buoni aveva già sacrificato la testa del «suo» ministro della Guerra, il generale Di Giorgio, di cui aveva bocciato le riforme (1924). Ormai Mussolini doveva affacciarsi in prima persona anche in campo militare divenendo ministro delle tre forze armate e nominando capo di stato maggiore generale il maresciallo Badoglio, l’unico alto papavero militare non compromesso nella vicenda Di Giorgio perché da tempo defilato come ambasciatore nel lontano Brasile. E a Badoglio non era parso vero di compiacere il padrone mettendo fuori causa un rivale come Caviglia. Addetto militare a Tokyo Nato a Finale Ligure (Savona) nel 1862 da famiglia borghese di media fortuna, Caviglia intraprende la carriera militare ed è mandato in Eritrea due volte, nel 1888-89, e poi, frequentata la scuola di guerra, è ammesso alla stato maggiore, nel 1896, proprio alla vigilia di Adua. All’indomani, raro esempio nella storia militare italiana, Caviglia chiede di essere sottoposto ad inchiesta per il semplice fatto di essere sopravvissuto al disastro. Nulla risulta a suo carico. Nel 1903 il capo di SM Saletta lo spedisce a Tokyo come addetto militare straordinario per seguire la guerra russo-giapponese. Pare che la scelta sia dovuta soprattutto alla sua grande robustezza fisica dato che altri non avevano resistito alle fatiche di quel posto. Soggiorna in Oriente, come addetto militare a Tokyo e a Pechino fino al 1911, studiando quelle civiltà sulle quali poi scriverà numerosi saggi e anche un libro. Lega il suo nome ad una memorabile impresa sportiva: la traversata a cavallo dell’Asia, dalla Cina al mar Nero. Generale nell’estate del 1915, combatte prima con la Brigata Bari sul Carso, poi alla testa di una divisione durante l’offensiva austriaca in Trentino nel 1916 guadagnando il primo dei gradi dell’ordine militare di Savoia. A lui si deve forse il più promettente successo italiano della Grande Guerra: la battaglia della Bainsizza (estate 1917) in cui il suo 24° Corpo sfonda nettamente il fronte austriaco. Purtroppo la vittoria non è sfruttata date le sue proporzioni inattese per le quali non erano state preparate riserve adeguate. A Caporetto, il 24° Corpo di Caviglia, attiguo a quello di Badoglio, è appena sfiorato dall’offensiva austro-tedesca. Tuttavia Caviglia riesce a salvare non solo le proprie truppe ma anche molte altre tra cui tre divisioni abbandonate da Badoglio giungendo dapprima al Tagliamento e poi al Piave con otto divisioni. Ma Badoglio, divenuto sottocapo di SM, scioglie il corpo di Caviglia ricostituendo invece il proprio «per bassa invidia» come Caviglia affermerà. Da ciò l’insanabile rivalità fra i due generali durata per sempre. «Non passa lo straniero!»

Nella battaglia del giugno 1918 Caviglia contribuisce al successo dapprima con la sua artiglieria sull’altopiano di Asiago poi sul Piave dove, come nuovo comandante dell’8ª Armata, riesce a fermare l’avanzata nemica. Nell’autunno 1918 fa modificare intelligentemente il piano steso da Cavallero e che porterà al trionfo di Vittorio Veneto. Nell’ultima battaglia, non piccoli meriti spettano a Caviglia che, ulteriormente decorato, raggiunge nel 1919 il grado di generale. Complessa la parte di Caviglia nella vicenda fiumana. Nominato da Nitti commissario straordinario per la Venezia Giulia e comandante dell’8ª Armata, tratta con fermezza i dannunziani e, dopo il trattato di Rapallo che risolve saggiamente la questione di Fiume, caccia con misurata energia il poeta e il suo eterogeneo seguito dalla città istriana. Scosso però dalle accuse dei nazionalisti più accesi («Natale di sangue») Enrico Caviglia, con gesto discutibile, cerca di scindere le proprie responsabilità da quelle di Giolitti. Giunge ad affermare in Senato di avere marciato su Fiume perché ingannato da Giolitti sulla reale entità delle concessioni fatte alla Jugoslavia. Tesi che in parte riprenderà nel libro Il conflitto di Fiume di cui il fascismo non permette la pubblicazione nel 1925 (sarà rimaneggiato dallo stesso Caviglia e dato alle stampe dai suoi eredi nel 1948). Esce dalla scena politica Pur senza pubbliche prese di posizione Caviglia aderisce in sostanza al fascismo almeno fino al dicembre 1924 quando in senato dichiara che il suo consenso riguarda le «idee originarie del fascismo» e non i successivi sviluppi. E così egli non conferma la fiducia al governo di Mussolini. Ma anche questa presa di posizione sarà poi da lui stesso contraddetta. Allontanato dalla scena politica, egli non diviene però un avversario del regime dal quale è anzi rispettato. Può permettersi di pubblicare libri sulla Grande Guerra fra cui La dodicesima battaglia, una violenta denuncia delle responsabilità di Badoglio a Caporetto (ma il potente collega non reagisce). Viaggia all’estero, è presente alle cerimonie militari e a molti appuntamenti mondani, appare di frequente ai galoppatoi di Roma dove cavalca fino a tarda età. Viene ricevuta dal re che nel 1929 gli ha conferito il Collare della SS. Annunziata, e più sporadicamente da Mussolini che nel 1939 lo incarica, senza alcuna pubblicità, di un’ispezione sulle Alpi. Il ruolo di Caviglia nella crisi del 1943 presenta ancora oggi punti oscuri. Allo stato attuale degli studi si può ritenere che al 25 luglio egli sia rimasto sorpreso dagli avvenimenti. Giunto a Roma l’8 settembre 1943 e appresa l’indomani la partenza del re e di Badoglio, egli tenta di riempire il vuoto assumendo responsabilità politiche. Ma, sia pure involontariamente, col suo comportamento incoerente e confuso, finisce per facilitare la resa di Roma ai tedeschi. Si ritira poi nella sua Finale da dove assiste al dramma italiano, paralizzato da impulsi contrastanti che gli inibiscono scelte precise. Si spegne il 22 marzo 1945. Caviglia è stato fino all 918 forse il miglior generale italiano e rimane uno dei pochi dotato di vasta cultura. È autore fra l’altro di un vivace diario postumo dal 1925 al 1943. Lucio Ceva Giacomo Carboni, generale a 48 anni Il maresciallo Caviglia ha dato di lui un giudizio sferzante: «Avevo chiesta qualche notizia su questo generale e Sorice mi aveva detto che era molto volitivo e che si dava molto da fare. A me pareva di ricordare che egli fosse uno scrittore di articoli su quotidiani. In genere questi militari giornalisti sanno sfoggiare il loro genio strategico in forma attraente… Mi venne il dubbio che fosse un bagolone». Filippo Anfuso (che però aveva il

Con l’atta di resa, firmato nel pomeriggio del 10 settembre dal generale Westphal in<br />

rappresentanza di Kesselring e da un tenente colonnello della ex MVSN, si chiude per<br />

Roma il più triste periodo della storia d’Italia.<br />

Giuseppe Mayda<br />

Enrico Caviglia, il generale letterato<br />

Quando nel 1943 il re medita il colpo di stato e la sostituzione di Mussolini, Enrico Caviglia<br />

è nella terna dei possibili successori. Ma il sovrano finisce per scartarlo: si tratta infatti di<br />

un nome ormai dimenticato dagli italiani. Fin dal 1925 Mussolini lo ha collocato in disparte<br />

insieme con gli altri «generali della vittoria». Anche Caviglia sarà promosso maresciallo<br />

d’Italia nel 1926 ma a lui, come agli altri, Mussolini non poteva concedere ulteriori<br />

soddisfazioni. Per tenerseli buoni aveva già sacrificato la testa del «suo» ministro della<br />

Guerra, il generale Di Giorgio, di cui aveva bocciato le riforme (1924). Ormai Mussolini<br />

doveva affacciarsi in prima persona anche in campo militare divenendo ministro delle tre<br />

forze armate e nominando capo di stato maggiore generale il maresciallo Badoglio, l’unico<br />

alto papavero militare non compromesso nella vicenda Di Giorgio perché da tempo defilato<br />

come ambasciatore nel lontano Brasile. E a Badoglio non era parso vero di compiacere il<br />

padrone mettendo fuori causa un rivale come Caviglia.<br />

Addetto militare a Tokyo<br />

Nato a Finale Ligure (Savona) nel 1862 da famiglia borghese di media fortuna, Caviglia<br />

intraprende la carriera militare ed è mandato in Eritrea due volte, nel 1888-89, e poi,<br />

frequentata la scuola di guerra, è ammesso alla stato maggiore, nel 1896, proprio alla<br />

vigilia di Adua. All’indomani, raro esempio nella storia militare italiana, Caviglia chiede di<br />

essere sottoposto ad inchiesta per il semplice fatto di essere sopravvissuto al disastro.<br />

Nulla risulta a suo carico.<br />

Nel 1903 il capo di SM Saletta lo spedisce a Tokyo come addetto militare straordinario per<br />

seguire la guerra russo-giapponese. Pare che la scelta sia dovuta soprattutto alla sua<br />

grande robustezza fisica dato che altri non avevano resistito alle fatiche di quel posto.<br />

Soggiorna in Oriente, come addetto militare a Tokyo e a Pechino fino al 1911, studiando<br />

quelle civiltà sulle quali poi scriverà numerosi saggi e anche un libro. Lega il suo nome ad<br />

una memorabile impresa sportiva: la traversata a cavallo dell’Asia, dalla Cina al mar Nero.<br />

Generale nell’estate del 1915, combatte prima con la Brigata Bari sul Carso, poi alla testa<br />

di una divisione durante l’offensiva austriaca in Trentino nel 1916 guadagnando il primo<br />

dei gradi dell’ordine militare di Savoia. A lui si deve forse il più promettente successo<br />

italiano della Grande Guerra: la battaglia della Bainsizza (estate 1917) in cui il suo 24°<br />

Corpo sfonda nettamente il fronte austriaco. Purtroppo la vittoria non è sfruttata date le<br />

sue proporzioni inattese per le quali non erano state preparate riserve adeguate. A<br />

Caporetto, il 24° Corpo di Caviglia, attiguo a quello di Badoglio, è appena sfiorato<br />

dall’offensiva austro-tedesca. Tuttavia Caviglia riesce a salvare non solo le proprie truppe<br />

ma anche molte altre tra cui tre divisioni abbandonate da Badoglio giungendo dapprima al<br />

Tagliamento e poi al Piave con otto divisioni. Ma Badoglio, divenuto sottocapo di SM,<br />

scioglie il corpo di Caviglia ricostituendo invece il proprio «per bassa invidia» come Caviglia<br />

affermerà. Da ciò l’insanabile rivalità fra i due generali durata per sempre.<br />

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