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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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mani dei tedeschi. «La frase che ripete sovente» annota il solito Puntoni è: «Se ci<br />

prendono, ci tagliano la testa a tutti!». «Subito dopo che uscimmo dalla città», ha<br />

raccontato Umberto di Savoia (Il Giornale di Napoli, 25 maggio 1947), «la notte divenne<br />

freddissima e Badoglio, che s’era messa in borghese ed era in uno stato di grave<br />

abbattimento, tremava dal freddo. Io mi tolsi il cappottone di generale e glielo detti perché<br />

si riparasse. Badoglio l’infilò ma dopo qualche istante lo vidi che di nascosto rimboccava le<br />

maniche per nascondere i galloni».<br />

Crolla il mito dei Savoia<br />

Il più tranquillo è il re. A tratti, nell’auto, parla in francese con la moglie: «Hélène, on va<br />

arriver bientôt, je crois que tout sera vite terminé» e lei, ogni tanto, chiede timorosa: «Tu<br />

est sûre que Beppo va venir, n’est-ce pas?». «Beppo» è il principe e Umberto, infatti,<br />

scalpita perché e partito di malavoglia e ora sta vergognandosene (a onore suo). «So che<br />

rischio la pelle», finisce per dire al re durante una sosta, «ma voglio salvare l’onore della<br />

Casa. Debbo tornare a Roma». Vittorio Emanuele III si oppone, ordinandogli di restare, e<br />

non se ne fa nulla (e c’è chi racconta che la regina supplicasse Umberto di rimanere<br />

dicendogli: «No, Beppo, tu n’iras pas, on va te tuer» e il padre, di rincalzo, in piemontese:<br />

«Bepo, s’at pìu at massu», se ti prendono ti ammazzano).<br />

Verso le 11 i fuggiaschi arrivano a Crecchia, alla villa dei principi di Bovino: mentre i cuochi<br />

tirano il collo a una dozzina di polli e le prime decine di migliaia di soldati italiani,<br />

intrappolati dai tedeschi per essere stati abbandonati senza ordini e direttive, vengano<br />

chiusi nei carri piombati e avviati in Germania, Acquarone parte in esplorazione e torna di<br />

lì a poco dicendo che Pescara è libera e tranquillamente raggiungibile. Ma la decisione è<br />

quella di prendere imbarco a Ortona a Mare e verso sera. Alle 23, sulla banchina del<br />

porticciolo, si trovano almeno settanta auto e quasi duecentocinquanta persone: alla luce<br />

azzurrata dei fanali si distinguono generali, alti ufficiali di marina e d’aviazione, decine di<br />

attendenti, valletti, camerieri, carabinieri e perfino una dama di corte della regina. Tutti,<br />

avvertiti chissà come che il re, la corte e Badoglio hanno abbandonato Roma<br />

precipitosamente e di nascosto, li hanno «inseguiti» sperando di poter prendere imbarco<br />

con loro sulla Baionetta verso Brindisi.<br />

Avvengono scene penose – come un litigio fra i generali Mariotti e Armellini per stabilire<br />

chi avesse la precedenza a salire sulla Baionetta – urla di protesta degli esclusi, e una<br />

lunga e movimentata attesa sui moli, perché le vedette comparvero dopo la mezzanotte e<br />

mezza.<br />

Le operazioni si complicano anche per la «scomparsa» di Badoglio che, all’insaputa di tutti,<br />

è andato a Pescara per avvertire la Baionetta di trasferirsi a Ortona e, prudentemente, ha<br />

già presa imbarco (e il re, informato di quella sparizione, sarebbe stato udito mormorare:<br />

«Che ci abbia traditi?»). Finalmente cominciano gli imbarchi ma il grosso dei fuggitivi<br />

rimane a terra fra una indescrivibile confusione, battibecchi e litigi. «Siamo della famiglia<br />

reale» deve gridare Umberto per farsi largo fra la folla che smania. Dalla nave qualcuno<br />

esorta: «Ovvia, signori ufficiali, un po’ di dignità! C’è tra noi il re!». Ma dal buio una voce<br />

risponde: «Sì, ma lui ce l’ha il posto per scappare». E, su questa sentenza anonima ma<br />

verissima, il comandante della Baionetta, tenente di vascello Piero Pedemonti, dà l’ordine<br />

di salpare, verso Brindisi, dove – con la fuga ingloriosa in terre sicure – si concluderà, per<br />

sempre, il mito della monarchia e di Casa Savoia.<br />

Giuseppe Mayda

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