SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

Sono stati, come abbiamo visto, 45 giorni perduti grazie all’indecisione e alle idee poco chiare di Badoglio. Scriverà un rapporto americano: «… senza chiare direttive delle autorità centrali di Roma, le forze armate non seppero che cosa fare. Anche i vaghi ordini emanati prima dell’armistizio riisentivano dell’indecisione di Badoglio. Egli non aveva voluto e non aveva permesso che le forze armate organizzassero piani e misure per una reale reazione antitedesca. Sperando fino all’ultimo di ottenere la garanzia alleata dell’occupazione di Roma e della protezione del suo governo e perciò guadagnare sempre tempo, Badoglio aveva rifiutato qualsiasi cosa che avesse potuto trascinare ad un confronto con i tedeschi». Fuoco a Torino sui lavoratori Ma se l’Italia ufficiale, Badoglio in testa, sembra non dominare per nulla la situazione né subito prima né dopo l’8 settembre, sono i luoghi dai quali partirono le agitazioni del marzo 1943 a dare segnali di chiarezza. Nelle fabbriche di Torino e di Milano soprattutto, fin dal mese di agosto, si pensa alla difesa contro i tedeschi e si cerca con lo strumento dello sciopero e dell’agitazione a macchia d’olio – unica strada per attirare l’attenzione di un’autorità sclerotizzata e capace soltanto di fare intervenire l’esercito per costringere gli operai a lavorare – di far capire a Roma quale sia il pericolo che si sta addensando sull’Italia: la dura occupazione da parte tedesca. Verso fine agosto, a Torino, c’è un episodio illuminante. Agli stabilimenti Grandi Motori comincia una serie di agitazioni che tra il 17 e il 20 agosto daranno la misura, sia a Torino che a Milano, del grado di rivolta degli operai esasperati dalle condizioni di vita ormai insopportabili per la scarsità di viveri, i bombardamenti, lo sfollamento spesso insicuro o precario delle famiglie, la sensazione ormai largamente diffusa di una imminente repressione tedesca. Il mattino del 17 dunque, alla Grandi Motori, i lavoratori si fermano. Il comandante della piazza di Torino, generale Adami-Rossi, convoca una commissione per discutere l’agitazione. Secondo il racconto di un attivista sindacale del Partito Comunista le richieste della commissione al generale sono molto drastiche: «Siamo stanchi di questa vita, gli operai non vogliono più bombardamenti aerei, essi vogliono la pace». Adami-Rossi tratta la commissione con fare cordiale e assicura che anche per Badoglio l’obiettivo è quello di uscire dalla guerra al più presto possibile, di porre fine alle sofferenze del popolo italiano. Ma intanto il generale ha già dato ordine ai soldati di occupare lo stabilimento e di intervenire, se necessario, con la forza per ripristinare normali condizioni di lavoro. I soldati occupano le officine quando già molti operai hanno abbandonato i reparti e l’ufficiale che li comanda (pare sta un ex graduato della milizia che è stata incorporata nell’esercito) ordina di puntare le mitragliatrici e di aprire il fuoco su quanti non vogliono riprendere il lavoro. Le mitragliatrici sono puntate ma all’ordine di aprire il fuoco i soldati non obbediscono. È lo stesso ufficiale a sparare una raffica con una delle armi contro un gruppo di operai che vuole uscire: sette sono i feriti, due gravi moriranno in ospedale. L’episodio segna il distacco definitivo e duramente polemico della massa operaia dal governo Badoglio. Si rafforza l’organizzazione clandestina

Dagli scioperi di agosto la sterzata verso l’auto-organizzazione della lotta nelle fabbriche contro i tedeschi è netta e il momento dell’armistizio non trova negli operai né facili entusiasmi né smarrimento. Trova invece un’agguerrita organizzazione clandestina, soprattutto del Partito Comunista che, scavalcando con il proprio attivismo gli altri movimenti, finisce per polarizzare gran parte della massa operaia. D’altronde, fin dal 22 agosto, l’organo allora clandestino del PCI, L’Unità, non lascia dubbi sull’immediato futuro. L’editoriale afferma: «Il popolo che ha avuto la forza per cacciare i fascisti italiani vuole oggi decisamente cacciare i fascisti tedeschi. Se il governo Badoglio non rispetta il sentimento della nazione, se non vuole o non sa difendere l’indipendenza del Paese, se teme di riattare col soffio della libertà le capacità di lotta e di ricostruzione che sono nel Paese e si sono manifestate nella guerra alla tirannia fascista, ebbene sarà compito del Fronte nazionale dei partiti antifascisti mobilitare le forze popolari a difesa dell’indipendenza e per la conquista della pace». «I tedeschi», conclude l’editoriale de L’Unità, «vogliono calpestare la volontà del popolo italiano, vogliono fare degli italiani carne da cannone per il loro crollante imperialismo e trasformare il nostro Paese nel bastione insanguinato che protegga la loro terra, vogliono salvare i fascisti rovesciati dal popolo. Si proclamino i tedeschi nemici dell’Italia, si chiami il popolo alla lotta per la difesa della sua indipendenza e per la salvezza delle sue città, gli si dia libertà di organizzarsi e il popolo risponderà… » È un appello che sostanzialmente condividono tutte le forze e i partiti antifascisti. Ma al momento di rispondere a questo appello, l’8 settembre, dopo che sono falliti tutti i tentativi preventivi di costituire, d’intesa con il governo di Roma, una sorta di «guardia nazionale», fatta di civili armati da affiancare all’esercito, in realtà ogni volontà di reazione immediata contro i tedeschi e i fascisti dovrà rientrare, ripercorrere la strada sanguinosa della lotta clandestina. Tranne casi sporadici, soprattutto in Piemonte, di reparti militari che si danno alla macchia portando con sé le armi, per iniziativa di alcuni ufficiali ligi al giuramento e che soltanto più tardi troveranno motivazioni politiche assai più valide al loro gesto, lo sfacelo generale dell’esercito e la miopia o la mancanza di coraggio di molti comandanti di piazza impedirà all’antifascismo organizzato, soprattutto quello delle fabbriche nelle grandi città, di utilizzare massicciamente le armi delle caserme e degli accantonamenti per tentare una prima grossa reazione all’occupazione tedesca e al ritorno di fiamma fascista. Ovviamente c’è da chiedersi quale sarebbe stata la reazione dei tedeschi ad un tentativo del genere e quanto la resistenza avrebbe potuto durare. Anche l’antifascismo organizzato giudicherà impossibile una insurrezione popolare nel momento in cui le armate alleate sono ancora così lontane dalla capitale, e ancora più dai centri industriali del Nord. Ma nel contempo si consuma fino in fondo, e rapidamente, il rapporto tra il «governo legale», rifugiatosi in territorio occupato dagli Alleati, e le forze antifasciste, rimaste in territorio occupato dai tedeschi. Si parlerà poi delle «due Italie», quella di Brindisi e quella di Salò, Ma in realtà la frattura è più complessa, sono almeno tre le Italie protagoniste della tragedia dopo l’8 settembre, e soltanto l’unità della Resistenza, faticosamente raggiunta e ancora più faticosamente difesa in seno ai Comitati di Liberazione Nazionale, cancellerà in parte il disastro nazionale dell’8 settembre.

Sono stati, come abbiamo visto, 45 giorni perduti grazie all’indecisione e alle idee poco<br />

chiare di Badoglio. Scriverà un rapporto americano: «… senza chiare direttive delle autorità<br />

centrali di Roma, le forze armate non seppero che cosa fare. Anche i vaghi ordini emanati<br />

prima dell’armistizio riisentivano dell’indecisione di Badoglio. Egli non aveva voluto e non<br />

aveva permesso che le forze armate organizzassero piani e misure per una reale reazione<br />

antitedesca. Sperando fino all’ultimo di ottenere la garanzia alleata dell’occupazione di<br />

Roma e della protezione del suo governo e perciò guadagnare sempre tempo, Badoglio<br />

aveva rifiutato qualsiasi cosa che avesse potuto trascinare ad un confronto con i tedeschi».<br />

Fuoco a Torino sui lavoratori<br />

Ma se l’Italia ufficiale, Badoglio in testa, sembra non dominare per nulla la situazione né<br />

subito prima né dopo l’8 settembre, sono i luoghi dai quali partirono le agitazioni del marzo<br />

1943 a dare segnali di chiarezza. Nelle fabbriche di Torino e di Milano soprattutto, fin dal<br />

mese di agosto, si pensa alla difesa contro i tedeschi e si cerca con lo strumento dello<br />

sciopero e dell’agitazione a macchia d’olio – unica strada per attirare l’attenzione di<br />

un’autorità sclerotizzata e capace soltanto di fare intervenire l’esercito per costringere gli<br />

operai a lavorare – di far capire a Roma quale sia il pericolo che si sta addensando<br />

sull’Italia: la dura occupazione da parte tedesca.<br />

Verso fine agosto, a Torino, c’è un episodio illuminante. Agli stabilimenti Grandi Motori<br />

comincia una serie di agitazioni che tra il 17 e il 20 agosto daranno la misura, sia a Torino<br />

che a Milano, del grado di rivolta degli operai esasperati dalle condizioni di vita ormai<br />

insopportabili per la scarsità di viveri, i bombardamenti, lo sfollamento spesso insicuro o<br />

precario delle famiglie, la sensazione ormai largamente diffusa di una imminente<br />

repressione tedesca.<br />

Il mattino del 17 dunque, alla Grandi Motori, i lavoratori si fermano. Il comandante della<br />

piazza di Torino, generale Adami-Rossi, convoca una commissione per discutere<br />

l’agitazione. Secondo il racconto di un attivista sindacale del Partito Comunista le richieste<br />

della commissione al generale sono molto drastiche: «Siamo stanchi di questa vita, gli<br />

operai non vogliono più bombardamenti aerei, essi vogliono la pace». Adami-Rossi tratta la<br />

commissione con fare cordiale e assicura che anche per Badoglio l’obiettivo è quello di<br />

uscire dalla guerra al più presto possibile, di porre fine alle sofferenze del popolo italiano.<br />

Ma intanto il generale ha già dato ordine ai soldati di occupare lo stabilimento e di<br />

intervenire, se necessario, con la forza per ripristinare normali condizioni di lavoro.<br />

I soldati occupano le officine quando già molti operai hanno abbandonato i reparti e<br />

l’ufficiale che li comanda (pare sta un ex graduato della milizia che è stata incorporata<br />

nell’esercito) ordina di puntare le mitragliatrici e di aprire il fuoco su quanti non vogliono<br />

riprendere il lavoro. Le mitragliatrici sono puntate ma all’ordine di aprire il fuoco i soldati<br />

non obbediscono. È lo stesso ufficiale a sparare una raffica con una delle armi contro un<br />

gruppo di operai che vuole uscire: sette sono i feriti, due gravi moriranno in ospedale.<br />

L’episodio segna il distacco definitivo e duramente polemico della massa operaia dal<br />

governo Badoglio.<br />

Si rafforza l’organizzazione clandestina

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