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SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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si è fatto di tutto per tenere proprio le Forze Armate all’oscuro di quanto stava accadendo,<br />

nel tentativo di salvare un ristretto numero di persone, in esse identificando lo stato e i<br />

suoi poteri. Lo dimostra la cronaca di quei due-tre giorni cruciali del settembre 1943. La<br />

mattina del 9 i giornali italiani – nelle loro notizie di prima pagina – danno un senso<br />

preciso di questo disegno. C’è, innanzi tutto, il bollettino di guerra (che è anche l’ultimo<br />

della serie, quello contraddistinto dal numero 1201) firmato dal Capo di Stato Maggiore<br />

generale, Ambrosio, il quale dice: «Sul fronte calabro, reparti italiani e germanici ritardano,<br />

in combattimenti locali, l’avanzata delle truppe britanniche».<br />

Col consueto metodo delle falsificazioni e delle omissioni usato dalla stampa fascista,<br />

ufficialmente abolita quarantacinque giorni prima, si forniscono dettagliate informazioni sul<br />

fatto che l’aviazione italo-tedesca ha danneggiato cinque navi nemiche nel porto di Biserta,<br />

ha affondato un piroscafo da 15.000 tonnellate nelle vicinanze dell’isola di Favignana<br />

mentre la caccia ha abbattuto dieci bombardieri nemici che attaccavano le zone di Bari,<br />

Benevento e Salerno. Non si fa invece parola del bombardamento di Frascati, avvenuto la<br />

mattina dell’8, e che ha causato seimila vittime. Il bollettino tedesco, molto più scarno,<br />

dice che «nella Calabria meridionale il nemico ha svolto, nella giornata di ieri, soltanto in<br />

alcuni punti, azioni di sondaggio contro i nostri avamposti. I suoi tentativi di isolare i<br />

reparti italo-tedeschi di sicurezza sono falliti». Tutte queste notizie, comunque, non hanno<br />

alcun valore politico-militare perché sono letteralmente schiacciate dal titolo a tutta pagina<br />

che annuncia l’armistizio (il messaggio di Badoglio viene stampato fra due strisce nere a<br />

lutto).<br />

Sono occorsi degli anni, agli storici, per stabilire – purtroppo soltanto con una certa<br />

approssimazione – che cosa era successo in quelle ultime ore e da quale piano recondito,<br />

da quali progetti segreti, erano discese le mosse dei principali protagonisti della resa<br />

dell’Italia.<br />

Un primo contributo al chiarimento viene dalle note del ministero della Stampa, inviate ai<br />

giornali a proposito dell’annuncio dell’armistizio. La prima dice: «Nel commento al<br />

messaggio del maresciallo Badoglio aggiungere parole di omaggio al Sovrano. Il<br />

messaggio va listato a lutto». Ma, col trascorrere del tempo, le disposizioni mutano. Prima<br />

si afferma che il proclama va pubblicato «senza commenti», poi si suggerisce di<br />

commentarlo, ma «in modo sobrio e austero»; poi, ancora, di sottolineare che l’armistizio<br />

rappresenta «un’ora di lutto per la Patria»; infine si raccomanda di dare ai lettori<br />

«informazioni che li rassicurino».<br />

Il messaggio equivoco di Badoglio<br />

Come? Non si sa. Il Messaggero di Roma scrive, per esempio, che «il maresciallo Badoglio,<br />

il grande soldato che con fermezza e con coraggio si era assunto la responsabilità del<br />

governo del paese e, in poche settimane, ha avviato la vita pubblica italiana ad un regime<br />

di libertà e di dignità, non poteva non trarre dalla situazione le inevitabili conseguenze».<br />

Che cosa significano queste parole per la gente? La verità è che la principale<br />

raccomandazione del ministero della Stampa ai direttori dei giornali è quella di usare la<br />

«massima cautela e non pubblicare qualsiasi accenno che possa dispiacere agli alleati<br />

tedeschi».<br />

Se è davvero così, e se è vero – come è vero – che nelle stesse ore Ambrosio nega ai<br />

comandanti di armata, di corpo d’armata, di presidio e di piazza (Carboni a Roma, Ruggero<br />

da Milano, Pentimalli da Napoli, Assanti da Piacenza, Gariboldi da Padova) l’ordine di

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