SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea

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20.05.2013 Views

(tre incrociatori, il Duca degli Abruzzi, il Garibaldi e il Duca d’Aosta, più cinque torpediniere). Alle 8 del mattino da La Spezia il comandante tedesco, ammiraglio Meendsen-Bohlken ha avvertito Berlino: «La flotta italiana è partita nella notte per consegnarsi al nemico». Non è vero, perché Bergamini in quel momento non ha questa intenzione, ma i tedeschi hanno tutti i motivi per esserne convinti. A mezzogiorno la flotta italiana è in vista delle Bocche di Bonifacio, e si prepara a fare rotta ad est per raggiungere La Maddalena; ma alle 14.30 Bergamini apprende che la base è in mano ai tedeschi. Decide d’invertire la rotta e ritorna in direzione dell’Asinara, mentre a Berlino Göring sta dando gli ordini per un attacco di rappresaglia contro le navi italiane. I ricognitori tedeschi, partiti dalla base di Istres, presso Marsiglia, individuano la flotta e trasmettono i dati alle squadriglie che si apprestano a partire. C’è anche un attacco con alcune bombe che non raggiungono i bersagli da aerei ad alta quota. Bergamini comunica di essere stato attaccato da aerei alleati. Da Malta c’è una smentita a Roma e l’episodio resterà misterioso: non risulterà comunque che aerei tedeschi da bombardamento avessero già raggiunto la zona di mare a quell’ora. I bombardieri tedeschi, una decina di Dornier 217 K, decollano da Istres alle 14 e ci vorrà un’ora di volo per giungere sulla zona di attacco. Sono dotati ognuno d’una bomba razzo FX-1400, lunga circa tre metri e mezzo con trecento chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale. L’ordigno, grazie alla propulsione a razzo, che entra in funzione subito dopo lo sganciamento, ha un alto potere di impatto e di penetrazione nel bersaglio, verso il quale è teleguidato dall’aereo. È un sistema che permette al bombardiere di tenersi ad una quota (cinquemila metri) che sfugge alla contraerea delle navi, che raggiunge al massimo i quattromila metri d’altezza. Il comandante dei Dornier, maggiore Bernhard Jope dà l’ordine di attacco alle 15.25 del 9 settembre. Una prima bomba-razzo esplode presso l’Italia e ne danneggia, ma non irreparabilmente, i timoni principali. Alle 15.45 è la volta della Roma. Questa volta l’ordigno, che i tedeschi chiamano «Fritz X» fa centro in pieno, esplode dopo avere perforato lo scafo. La situazione è subito critica, la velocità è ridotta a 10 nodi. La Roma si inabissa Cinque minuti dopo il colpo di grazia: un’altra bomba-razzo esplode nella Roma, questa volta colpisce il deposito munizioni prodiero. Il torrione di comando viene proiettato verso l’alto come un pezzo di carta dalla spaventosa deflagrazione. Scompaiono cosi in un attimo Bergamini e il suo Stato Maggiore, con in testa l’ammiraglio Stanislao Caracciotti. La colonna di fumo che si sprigiona, improvvisa e densissima, raggiunge un migliaio di metri. Alle 16.12 la Roma si corica su un fianco, subito dopo si capovolge e scompare dalla superficie. Oltre a Bergamini e Caracciotti muoiono 86 ufficiali e 1264 uomini di equipaggio. Un’altra bomba, esplodendo in mare vicino alla nave, colpisce ancora l’Italia, che però continua a navigare alla velocità di 24 nodi. L’ammiraglio Romeo Oliva prende il comando della flotta. La scomparsa di Bergamini ha anche eliminato il problema della resistenza al trasferimento a Malta delle navi che, lasciando alcune unità minori presso l’Asinara per raccogliere i superstiti della Roma, ricevono alle 21 di quel funesto 9 settembre l’ordine definitivo di raggiungere la base inglese, innalzando i pennelli neri. Il mattino dopo, alle 8.30, la flotta italiana incontra quella inglese di Cunningham con le corazzate Valiant e Warspite (ammiraglia) che le viene incontro per scortarla fino alla base di Malta. Con grande amarezza molti ufficiali della tempra di Bergamini vedono da vicino quella flotta che in tre anni non hanno affrontato in un grande combattimento quale la Marina italiana pure era in grado di sostenere. E i loro interrogativi sulle vicende che impedirono il confronto sono destinati a rimanere senza risposta.

Giuseppe Castellano, il negoziatore di Cassibile Gianfranco Romanello Il nome e la figura di Giuseppe Castellano restano indissolubilmente legati ad un anno – il 1943 – e a due episodi chiave della storia d’Italia: l’arresto di Mussolini e la firma dell’armistizio con gli anglo-americani. All’inizio del 1943 la situazione militare italiana va di male in peggio. La Libia è perduta, i nostri soldati ripiegano in Russia con perdite gravissime, l’invasione della penisola comincia ad apparire inevitabile. Le forze armate non hanno più risorse, il morale degli uomini è a terra, la popolazione è stanca e affamata. In queste condizioni comincia a maturare l’idea di un cambio di governo e di una rottura con l’alleato tedesco. Giuseppe Castellano, in quei giorni, è il braccio destro di Vittorio Ambrosio, il nuovo Capo di Stato Maggiore generale che dal 1° febbraio ha preso il posto di Ugo Cavallero. Nato a Prato nel 1893, da una famiglia di patrioti siciliani (il nonno era capo macchinista su una delle navi dei Mille di Garibaldi), Castellano ha cinquant’anni ed è, da un anno, generale di brigata. Il più giovane generale dell’esercito italiano, a quanto scrive uno dei suoi biografi. Piccolo, elegante, impomatato, ambizioso, intelligente, forse un po’ troppo ciarliero e, stando a certi pettegolezzi che è impossibile confermare o smentire, anche donnaiolo, Castellano è sempre rimasto nell’ombra. Fino al 1935 la sua carriera, svoltasi per lo più in Sicilia, non presenta nulla di notevole. Proprio quell’anno, però, l’isola viene scelta come teatro delle grandi manovre, impostate sull’ipotesi di uno sbarco nemico. Le dirige il comandante del Corpo d’Armata di Palermo, un torinese di 56 anni, molto monarchico e professionale, che si chiama Vittorio Ambrosio. Un generale discusso L’amicizia tra Ambrosio e Castellano, tra l’anziano ufficiale di cavalleria tutto d’un pezzo e il giovane ufficiale di fanteria in cerca di una buona occasione per mettersi in luce, risale a quella data. Castellano entra nello stato maggiore di Ambrosio, del quale ben presto diverrà l’aiutante più fidato e più fedele. Di Castellano Ambrosio ha la massima stima. Non così altri illustri comandanti. Il 28 febbraio 1945, quando nel suo rifugio ligure sarà riuscito ad apprendere qualche particolare sui retroscena dell’armistizio, il maresciallo Enrico Caviglia annoterà nel suo diario: «Come mai è stato scelto il generale Castellano a negoziatore? Non si poteva fare peggiore scelta: misero fisicamente e moralmente». Un giudizio molto duro, che non sembra però giustificato dalla condotta di Castellano sia in occasione dell’arresto di Mussolini che durante le trattative armistiziali. Certo, quello ordito contro il duce è un vero tradimento, una congiura, un golpe militare. Non ha niente a che vedere con l’antifascismo. Sbarazzandosi di Mussolini, l’esercito e la monarchia mirano non tanto ad abbattere il regime quanto a salvare il salvabile. Non per nulla, e a dirlo è stato proprio Castellano, la decisione di arrestare il duce fu di Vittorio Emanuele III, anche se i frequenti promemoria di Ambrosio (spesso redatti da Castellano) non poterono non influire sugli orientamenti del re. Prepara l’arresto del duce Qualcuno ha scritto che il primo a pensare concretamente all’estromissione di Mussolini fu Giuseppe Castellano. Suoi furono i piani per l’arresto del dittatore, elaborati su ordine di Ambrosio a partire dal mese di aprile e più volte accantonati per le esitazioni del sovrano. «Il via per passare all’azione lo ebbi il 19 luglio», raccontava Castellano ad un

Giuseppe Castellano, il negoziatore di Cassibile<br />

Gianfranco Romanello<br />

Il nome e la figura di Giuseppe Castellano restano indissolubilmente legati ad un anno –<br />

il 1943 – e a due episodi chiave della storia d’Italia: l’arresto di Mussolini e la firma<br />

dell’armistizio con gli anglo-americani.<br />

All’inizio del 1943 la situazione militare italiana va di male in peggio. La Libia è perduta,<br />

i nostri soldati ripiegano in Russia con perdite gravissime, l’invasione della penisola<br />

comincia ad apparire inevitabile. Le forze armate non hanno più risorse, il morale degli<br />

uomini è a terra, la popolazione è stanca e affamata. In queste condizioni comincia a<br />

maturare l’idea di un cambio di governo e di una rottura con l’alleato tedesco.<br />

Giuseppe Castellano, in quei giorni, è il braccio destro di Vittorio Ambrosio, il nuovo<br />

Capo di Stato Maggiore generale che dal 1° febbraio ha preso il posto di Ugo Cavallero.<br />

Nato a Prato nel 1893, da una famiglia di patrioti siciliani (il nonno era capo macchinista<br />

su una delle navi dei Mille di Garibaldi), Castellano ha cinquant’anni ed è, da un anno,<br />

generale di brigata. Il più giovane generale dell’esercito italiano, a quanto scrive uno dei<br />

suoi biografi. Piccolo, elegante, impomatato, ambizioso, intelligente, forse un po’ troppo<br />

ciarliero e, stando a certi pettegolezzi che è impossibile confermare o smentire, anche<br />

donnaiolo, Castellano è sempre rimasto nell’ombra. Fino al 1935 la sua carriera, svoltasi<br />

per lo più in Sicilia, non presenta nulla di notevole. Proprio quell’anno, però, l’isola viene<br />

scelta come teatro delle grandi manovre, impostate sull’ipotesi di uno sbarco nemico. Le<br />

dirige il comandante del Corpo d’Armata di Palermo, un torinese di 56 anni, molto<br />

monarchico e professionale, che si chiama Vittorio Ambrosio.<br />

Un generale discusso<br />

L’amicizia tra Ambrosio e Castellano, tra l’anziano ufficiale di cavalleria tutto d’un pezzo<br />

e il giovane ufficiale di fanteria in cerca di una buona occasione per mettersi in luce,<br />

risale a quella data. Castellano entra nello stato maggiore di Ambrosio, del quale ben<br />

presto diverrà l’aiutante più fidato e più fedele. Di Castellano Ambrosio ha la massima<br />

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ligure sarà riuscito ad apprendere qualche particolare sui retroscena dell’armistizio, il<br />

maresciallo Enrico Caviglia annoterà nel suo diario: «Come mai è stato scelto il generale<br />

Castellano a negoziatore? Non si poteva fare peggiore scelta: misero fisicamente e<br />

moralmente».<br />

Un giudizio molto duro, che non sembra però giustificato dalla condotta di Castellano<br />

sia in occasione dell’arresto di Mussolini che durante le trattative armistiziali. Certo,<br />

quello ordito contro il duce è un vero tradimento, una congiura, un golpe militare. Non<br />

ha niente a che vedere con l’antifascismo. Sbarazzandosi di Mussolini, l’esercito e la<br />

monarchia mirano non tanto ad abbattere il regime quanto a salvare il salvabile. Non<br />

per nulla, e a dirlo è stato proprio Castellano, la decisione di arrestare il duce fu di<br />

Vittorio Emanuele III, anche se i frequenti promemoria di Ambrosio (spesso redatti da<br />

Castellano) non poterono non influire sugli orientamenti del re.<br />

Prepara l’arresto del duce<br />

Qualcuno ha scritto che il primo a pensare concretamente all’estromissione di Mussolini<br />

fu Giuseppe Castellano. Suoi furono i piani per l’arresto del dittatore, elaborati su ordine<br />

di Ambrosio a partire dal mese di aprile e più volte accantonati per le esitazioni del<br />

sovrano. «Il via per passare all’azione lo ebbi il 19 luglio», raccontava Castellano ad un

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