SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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Sono evidentemente parole al vento. L’unico incontro che ancora ci sarà, si svolgerà a Bologna il giorno di Ferragosto, tra il generale Mario Roatta da parte italiana e il generale Alfred Jodl da parte tedesca. Secondo testimonianze dei primi anni del dopoguerra i due «quasi vengono alle mani» tanto profondo è ormai il solco che divide l’Italia dalla Germania, nel momento in cui le truppe del generale Guzzoni, completamente abbandonate in Sicilia dalle divisioni tedesche che si sono ritirate in Calabria, stanno per concludere la loro resistenza di fronte alle preponderanti forze avversarie. E i tedeschi, dopo averle abbandonate al loro destino, le accusano pure di codardia. Il convegno di Tarvisio è servito a prendere tempo: ai tedeschi che continuano a fare affluire truppe attraverso il Brennero e che ormai puntano all’utilizzazione dell’Italia per il fine strategico di tenere la guerra il più lontano possibile, e il più a lungo possibile, dal territorio tedesco; a Badoglio che cerca di stabilire il contatto con gli Alleati, e che si appresta ad un estremo tentativo di mandare il generale Castellano, uomo di fiducia di Ambrosio, a Lisbona, mentre altri uomini, come il diplomatico Berio, hanno già avuto una prima risposta (destinata a non mutare) da parte degli anglo-americani: per l’Italia c’è una sola soluzione, la «resa incondizionata». E gli stessi Alleati non mancano di sottolineare la loro richiesta con pesanti mezzi di «persuasione». Churchill, parlando alla Camera dei Comuni a fine luglio, ha dichiarato: «Noi, per usare una frase corrente, dovremmo lasciar cuocere per un poco gli italiani nel loro brodo e accendere al massimo il fuoco, allo scopo di accelerare il corso degli eventi fino a che otterremo dal loro governo e da chiunque possieda la necessaria autorità, soddisfazione a tutte le nostre indispensabili richieste, per condurre la guerra contro il nostro principale e capitale nemico, che non è l’Italia, ma la Germania». Che cosa intenda il premier britannico con l’espressione «accendere al massimo il fuoco» diventa sinistramente chiaro per gli italiani con i bombardamenti indiscriminati dell’agosto contro una serie di città italiane, Torino, Milano, Genova, Bologna, Roma, Napoli, oltre ad una serie nutrita di città minori, da Novara a Catanzaro. Il bilancio, per agosto e i primi giorni di settembre, è agghiacciante. Milano la notte del 13 agosto subisce l’attacco di 302 quadrimotori Lancaster e di 103 quadrimotori Stirling, che sganciano complessivamente, e indiscriminatamente, su obiettivi e case civili 1904 tonnellate di bombe; la stessa notte Torino è attaccata da 206 quadrimotori Halifax, che rovesciano 996 tonnellate di ordigni; poi il 15 agosto è ancora la volta di Milano sulla quale 340 bombardieri fanno cadere altre 1534 tonnellate di esplosivo. Sia Torino che Milano hanno già ricevuto incursioni «minori» la notte dell’8 agosto, rispettivamente con 450 e 429 tonnellate di bombe sganciate da 98 e 94 quadrimotori inglesi da bombardamento. Il 13 agosto, in pieno giorno, 274 aerei da bombardamento d’ogni tipo (tra cui le «Fortezze volanti» B-17), americani questa volta, partiti dalle basi del Mediterraneo, attaccano Roma (che già era stata bombardata per la prima volta il 19 luglio) sganciandovi 454 tonnellate di bombe. La popolazione subisce durissime perdite, è in preda al panico; molti, che non erano sfollati con i grandi bombardamenti dell’autunno 1942, fuggono disordinatamente con un minimo di masserizie verso la campagna, in cerca di scampo, aggravando ancora di più la situazione già precaria dei rifornimenti alimentari. È una situazione ormai incontrollabile, con gli Alleati alle porte dell’Italia continentale e per nulla disposti a mollare sulla condizione della resa assoluta e i tedeschi che rafforzano le loro posizioni.
«Incidenti» interni Questa atmosfera di caos è sottolineata da decisioni suggerite a Badoglio e al suo governo da timori crescenti. Mussolini, prima a Ponza, poi alla Maddalena, viene infine trasferito a Campo Imperatore, sul Gran Sasso dove i paracadutisti tedeschi di Skorzeny lo libereranno dopo l’8 settembre. All’interno si temono rigurgiti di elementi fascisti o colpi di mano di segno ignoto da parte di elementi dell’Esercito. Soltanto così si può interpretare l’ordine d’arresto da parte di Badoglio per l’ex capo di stato maggiore, Ugo Cavallero, che finirà misteriosamente suicida dopo l’8 settembre. È in questa atmosfera avviene anche l’oscuro episodio dell’uccisione di Ettore Muti, ex segretario del partito fascista. Muti, colonnello dell’aeronautica pluridecorato (tra le altre, due medaglie d’oro e dieci d’argento) si è ritirato a vita privata dopo la caduta di Mussolini. Qualcuno dice che Badoglio gli abbia promesso un incarico. È un fatto che il brillante ufficiale (ma è stato assai meno brillante come segretario del PNF) ostentatamente rifiuta qualsiasi contatto con gli ex-camerati e si apparta nella sua villetta nella pineta di Fregene. Qui la notte tra il 23 e il 24 agosto, mentre è in compagnia della sua amica, è tratto in arresto da una squadra di carabinieri al comando del capitano Taddei. Che cosa successe in quella notte è ancora un mistero. Secondo il rapporto di Taddei, dalla pineta partono raffiche di mitra, probabilmente di soldati tedeschi che si sarebbero accampati nella zona; Muti cerca di fuggire. Nel rispondere al fuoco i carabinieri lo colpiscono, uccidendolo. In realtà il colpo è preciso, quasi a bruciapelo, e alla nuca. E il racconto di Taddei risulta subito un ripiego per tutti. Le ipotesi saranno molte, ovviamente i fascisti di Salò sosterranno la tesi dell’omicidio, ordinato da Badoglio per togliere di mezzo un elemento «pericoloso» per il suo regime. Altri sosterranno che Muti, avendo stretti contatti col SIM, il servizio di controspionaggio militare, forse era a conoscenza dei passi del governo Badoglio nei confronti degli Alleati e avrebbe potuto rivelare tutto ai tedeschi. È un fatto che l’uccisione di Muti è un sinistro segno del precipitare della situazione; se si tratta di un omicidio su commissione, come troppi elementi fanno ritenere, c’è da chiedersi come mai la ripugnante operazione sia stata condotta in modo tanto maldestro, lasciando ai fascisti un argomento propagandistico di indubbia importanza per dimostrare le «losche trame» di Badoglio e compagni. Perché anche la gran massa dell’opinione pubblica, certamente ostile al fascismo in quel momento, conclude in un solo modo: «lo hanno fatto fuori perché scomodo», e l’azione è comunque giudicata riprovevole. Ma Badoglio è ormai in difficoltà nelle trattative con gli Alleati, per dare peso alle reazioni dell’opinione pubblica di fronte agli «incidenti» interni. A cavallo tra agosto e settembre si svolge freneticamente, tra alti e bassi, la missione del generale Castellano, che porterà alla conclusione dell’armistizio, anticipato l’8 settembre dall’annuncio alleato. Badoglio cerca con tutti i mezzi di convincere gli Alleati che è necessario avere una «copertura» di cospicui sbarchi in Italia per proteggere il paese dalla rappresaglia tedesca. Ma gli Alleati deludono ogni aspettativa sbarcando, dal 1° settembre, sulle coste Calabre. Ormai il re, Badoglio, coloro che hanno determinato o favorito la caduta di Mussolini, capiscono che le sciagure per l’Italia non sono finite. Con i tedeschi che scendono dal nord e gli Alleati che si apprestano a risalire lentamente la penisola dal sud, l’Italia è destinata a diventare un grande campo di battaglia. Ciò che forse poteva essere evitato prima con piani tempestivi di
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completamente abbandonate in Sicilia dalle divisioni tedesche che si sono ritirate in<br />
Calabria, stanno per concludere la loro resistenza di fronte alle preponderanti forze<br />
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Il convegno di Tarvisio è servito a prendere tempo: ai tedeschi che continuano a fare<br />
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territorio tedesco; a Badoglio che cerca di stabilire il contatto con gli Alleati, e che si<br />
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Ambrosio, a Lisbona, mentre altri uomini, come il diplomatico Berio, hanno già avuto<br />
una prima risposta (destinata a non mutare) da parte degli anglo-americani: per l’Italia<br />
c’è una sola soluzione, la «resa incondizionata».<br />
E gli stessi Alleati non mancano di sottolineare la loro richiesta con pesanti mezzi di<br />
«persuasione». Churchill, parlando alla Camera dei Comuni a fine luglio, ha dichiarato:<br />
«Noi, per usare una frase corrente, dovremmo lasciar cuocere per un poco gli italiani<br />
nel loro brodo e accendere al massimo il fuoco, allo scopo di accelerare il corso degli<br />
eventi fino a che otterremo dal loro governo e da chiunque possieda la necessaria<br />
autorità, soddisfazione a tutte le nostre indispensabili richieste, per condurre la guerra<br />
contro il nostro principale e capitale nemico, che non è l’Italia, ma la Germania».<br />
Che cosa intenda il premier britannico con l’espressione «accendere al massimo il<br />
fuoco» diventa sinistramente chiaro per gli italiani con i bombardamenti indiscriminati<br />
dell’agosto contro una serie di città italiane, Torino, Milano, Genova, Bologna, Roma,<br />
Napoli, oltre ad una serie nutrita di città minori, da Novara a Catanzaro. Il bilancio, per<br />
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Milano la notte del 13 agosto subisce l’attacco di 302 quadrimotori Lancaster e di 103<br />
quadrimotori Stirling, che sganciano complessivamente, e indiscriminatamente, su<br />
obiettivi e case civili 1904 tonnellate di bombe; la stessa notte Torino è attaccata da<br />
206 quadrimotori Halifax, che rovesciano 996 tonnellate di ordigni; poi il 15 agosto è<br />
ancora la volta di Milano sulla quale 340 bombardieri fanno cadere altre 1534 tonnellate<br />
di esplosivo. Sia Torino che Milano hanno già ricevuto incursioni «minori» la notte dell’8<br />
agosto, rispettivamente con 450 e 429 tonnellate di bombe sganciate da 98 e 94<br />
quadrimotori inglesi da bombardamento.<br />
Il 13 agosto, in pieno giorno, 274 aerei da bombardamento d’ogni tipo (tra cui le<br />
«Fortezze volanti» B-17), americani questa volta, partiti dalle basi del Mediterraneo,<br />
attaccano Roma (che già era stata bombardata per la prima volta il 19 luglio)<br />
sganciandovi 454 tonnellate di bombe. La popolazione subisce durissime perdite, è in<br />
preda al panico; molti, che non erano sfollati con i grandi bombardamenti dell’autunno<br />
1942, fuggono disordinatamente con un minimo di masserizie verso la campagna, in<br />
cerca di scampo, aggravando ancora di più la situazione già precaria dei rifornimenti<br />
alimentari.<br />
È una situazione ormai incontrollabile, con gli Alleati alle porte dell’Italia continentale e<br />
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