SECONDA GUERRA MONDIALE - Uni3 Ivrea
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Badoglio è preso tra l’incudine e il martello: da una parte la pressione degli Alleati, sempre più violenta per costringerlo a capitolare, dall’altra l’incombente minaccia di una dura occupazione dei tedeschi, ogni giorno più sospettosi sul comportamento dell’Italia post-mussoliniana. Alla notizia della caduta di Mussolini, Hitler ha avuto una delle sue solite crisi di rabbia. Rabbia contro l’Italia, alleato che a suo modo di vedere non gli ha portato alcun vantaggio ma solo dato nuovi problemi; rabbia contro il duce che si è fatto giocare dal re e dai militari anti-tedeschi nonostante i numerosi avvertimenti del Führer. Per Hitler e la Germania il significato del cambio della guardia è chiaro: l’Italia si prepara a «tradire» il Patto d’Acciaio, a nulla vale l’assicurazione di Badoglio (che i tedeschi non hanno mai amato) secondo il quale «la guerra continua». E subito scatta il dispositivo tedesco che vuole fare dell’Italia un campo di battaglia capace, per le sue stesse caratteristiche geofisiche, di dare molto filo da torcere alle avanzanti armate alleate (conclusa la campagna in Sicilia, si prevede il passaggio sul continente). Viene dunque deciso di rafforzare sostanzialmente i reparti già presenti nella penisola: il Brennero diventa un punto di transito convulso di uomini e di mezzi diretti verso il sud. Si studiano anche misure atte a neutralizzare l’azione del governo italiano nel caso di tentativo dello stesso di abbandonare la lotta a fianco della Germania. Badoglio, conscio di questa situazione di estremo pericolo da parte tedesca, tenta di correre ai ripari. Il suo uomo di fiducia a Berlino, l’addetto militare Efisio Marras, propone a Hitler un incontro con Vittorio Emanuele III, ma il dittatore tedesco respinge subito la proposta. Agli occhi del Führer il piccolo sovrano, che da sempre detesta perché ha sempre considerato il più serio ostacolo al fascismo di cui Mussolini è stato incapace di liberarsi, è un traditore. Anche perché i suoi servizi segreti lo hanno sicuramente informato dell’attività di emissari italiani alla ricerca, all’inizio infruttuosa, di contatti con gli Alleati. Ribbentrop contropropone un incontro tra i due ministri degli Esteri, accompagnati dai capi di stato maggiore dei due paesi e propone come località per il convegno Tarvisio. L’incontro è fissato per il 7 agosto. Ma intanto a Berlino si studiano con meticolosa precisione alcuni piani per il «recupero» dell’Italia. Subito dopo il 25 luglio si pensa da parte tedesca di cogliere di sorpresa il nuovo regime di Badoglio nella fase critica di consolidamento, rovesciando la situazione e ristabilendo il regime fascista. Il piano è articolato in alcune operazioni fondamentali: liberazione di Mussolini, occupazione di Roma e insediamento di un governo fascista, blitz per impadronirsi della flotta italiana, occupazione dei punti chiave militari della penisola, mettendo fuori causa l’Esercito italiano. È interessante a questo proposito il racconto che Eugen Dollmann, che avrà una parte importante durante la Repubblica di Salò, ha fatto nelle sue memorie dei progetti concepiti dai tedeschi i primi giorni dopo il 25 luglio. Nottetempo truppe d’assalto tedesche paracadutate dovevano impadronirsi dei punti nevralgici della capitale italiana, fare prigionieri i personaggi più in vista del nuovo regime (re e Badoglio compresi), disarmare truppe e carabinieri che, si presumeva, avrebbero opposto una resistenza sporadica, isolare il Vaticano. Il tutto doveva svolgersi senza esitazioni né remore. In caso di resistenza particolarmente accanita le truppe d’assalto non dovevano porsi limiti, potevano trasformare la loro operazione in una specie di «notte di San Bartolomeo», senza esclusione di colpi e senza risparmiare nessuno.
Berlino vuole «garanzie di fedeltà» Questo piano non si attua per alcuni motivi fondamentali. Anzitutto i tedeschi non hanno fretta perché nessuna opposizione, al flusso di truppe attraverso il Brennero, è fatta da parte dei nuovi governanti di Roma; in secondo luogo tutto il piano ruota intorno al ristabilimento del regime fascista sotto la direzione di Mussolini, per la cui liberazione ai tedeschi manca un dato essenziale: il luogo in cui il duce è tenuto prigioniero. Ma è soprattutto la prima considerazione che probabilmente induce Hitler a rinunciare ad azioni precipitose, cui probabilmente lo incoraggerebbero le presenze di Farinacci e Pavolini, due esponenti «radicali» del fascismo, che certo sarebbero felici di vedere applicata, anche dallo straniero, la maniera forte per punire i seppellitori del fascismo. Il 7 agosto si svolge il convegno di Tarvisio. Ribbentrop e Guariglia si riuniscono separatamente dai militari, Keitel e Ambrosio, per esaminare la situazione. L’incontro dei due ministri degli Esteri è dominato dalla requisitoria di Ribbentrop che espone a chiare lettere al collega italiano la tesi di Hitler: Berlino non può considerare alla stessa stregua il precedente regime e l’attuale, apprezza la volontà espressa di continuare la guerra a fianco della Germania, ma pretende che siano date prove concrete di tale volontà; ammonisce Roma sui pericoli rappresentati dai movimenti antifascisti, soprattutto comunisti e socialisti, che vogliono l’uscita dell’Italia dal conflitto; non condivide alcune misure interne, soprattutto quelle che riguardano la soppressione di tutte le strutture del passato regime; la Germania è disposta ad aiutare ancora l’Italia militarmente ma vuole più precise garanzie di fedeltà; infine il Führer esige precise garanzie sull’incolumità di Benito Mussolini. Le risposte di Guariglia sono ambigue, perché ambigua in quel momento è la posizione dell’Italia, di Badoglio, che è costretto obiettivamente a dare da una parte assicurazioni ai tedeschi per evitare che si scatenino in un’azione di ritorsione, dall’altra a cercare disperatamente il contatto con gli Alleati, che vogliono trarre il massimo vantaggio dalla situazione e sono animati, soprattutto gli inglesi, dalla precisa volontà di mettere definitivamente in ginocchio, anche per il futuro, l’Italia come grande potenza nel Mediterraneo. Il ministro degli Esteri di Badoglio rassicura intanto Ribbentrop sulla sorte del duce la cui incolumità, afferma, sta a cuore al re e al maresciallo quanto ai tedeschi; aggiunge che i timori di Berlino per la politica interna italiana sono infondati perché la situazione è sotto lo stretto controllo di un governo di fatto militare che non lascia spazio a manifestazioni di forze politiche organizzate; infine che la politica estera italiana non è cambiata, che la fedeltà all’alleanza italo-tedesca è per Roma indiscutibile e che in base a tutto questo Badoglio chiede ai tedeschi fiducia e comprensione. Ribbentrop accoglie con fredda cortesia diplomatica le assicurazioni di Guariglia, mentre tra i due capi di stato maggiore il colloquio è assai più tempestoso: ognuno rinfaccia all’altro movimenti di truppe che considera ostili, soprattutto nell’Italia centrale e in particolare intorno a Roma. Poi tutto si conclude con le solite dichiarazioni ufficiali di fiducia nella vittoria finale e con l’auspicio che al più presto si possa realizzare un incontro tra Hitler e Vittorio Emanuele. L’Italia in fiamme
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fianco della Germania, ma pretende che siano date prove concrete di tale volontà;<br />
ammonisce Roma sui pericoli rappresentati dai movimenti antifascisti, soprattutto<br />
comunisti e socialisti, che vogliono l’uscita dell’Italia dal conflitto; non condivide alcune<br />
misure interne, soprattutto quelle che riguardano la soppressione di tutte le strutture<br />
del passato regime; la Germania è disposta ad aiutare ancora l’Italia militarmente ma<br />
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ai tedeschi per evitare che si scatenino in un’azione di ritorsione, dall’altra a cercare<br />
disperatamente il contatto con gli Alleati, che vogliono trarre il massimo vantaggio dalla<br />
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definitivamente in ginocchio, anche per il futuro, l’Italia come grande potenza nel<br />
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Il ministro degli Esteri di Badoglio rassicura intanto Ribbentrop sulla sorte del duce la<br />
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che i timori di Berlino per la politica interna italiana sono infondati perché la situazione è<br />
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Ribbentrop accoglie con fredda cortesia diplomatica le assicurazioni di Guariglia, mentre<br />
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all’altro movimenti di truppe che considera ostili, soprattutto nell’Italia centrale e in<br />
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fiducia nella vittoria finale e con l’auspicio che al più presto si possa realizzare un<br />
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L’Italia in fiamme